Due notizie
mi hanno molto colpito nei giorni scorsi: i tedeschi sono tra i cittadini più poveri d’Europa, e le situazione sanitaria della Grecia ormai
è prossima a quella di una nazione in guerra. Eppure, come ampiamente risaputo,
i poveri tedeschi sono costretti da alcuni anni, attraverso i contorti
meccanismi del MES e dei precedenti fondi di salvataggio europei, ad essere i
maggiori finanziatori dei piani di salvataggio di Portogallo, Grecia, Cipro,
Spagna, paesi economicamente disastrati dove gli abitanti sono però mediamente
più ricchi di quelli “virtuosi”.
Capite bene che quando in un sistema qualsiasi, economico, sociale, naturale
che sia, si vengono a creare simili
disfunzioni e anomalie si vede che c’è qualcosa di folle e sbagliato alla
base. Oppure i dati non raccontano esattamente la realtà dei fatti. O meglio
ancora, esiste oggi in Europa una miscela esplosiva chiamata moneta unica che
partendo da un errore iniziale di costruzione sta facendo impazzire tutti i
dati attualmente rilevati. La verità insomma è molto più complessa di come
appare e il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli.
Secondo uno
studio della BCE, la ricchezza netta media
(finanziaria e reale) delle famiglie (o meglio dei nuclei abitativi, di coloro
che in altre parole vivono sotto lo stesso tetto) è così distribuita in ordine
decrescente nell’eurozona: Lussemburgo €710.100, Cipro €670.900, Spagna €291.400,
Italia €275.200, Germania €195.200, Olanda €170.200, Finlandia €161.500, Portogallo
€152.900, Grecia €147.800. Tuttavia se prendiamo la mediana, ovvero il valore che divide esattamente a metà la distribuzione dei dati, vedremo che la
differenza di ricchezza fra i tedeschi e il resto degli europei del sud si fa
stranamente ancora più marcata: Cipro €266.900, Spagna €182.700, Italia €173.200,
Grecia €101.900, Portogallo €75.200, Germania €51.400. Ciò significa innanzitutto
che in Germania (ma anche a Cipro, nazione di banchieri falliti) c’è una
piccola frazione di famiglie ricchissime che alza di parecchio la media, mentre
la maggioranza della popolazione non possiede nemmeno una casa di proprietà. E
questa circostanza conferma in pratica ciò che abbiamo spesso ripetuto sull’assurda e iniqua dinamica di funzionamento dell’eurozona: gli straordinari surplus commerciali della Germania sono stati fatti
soprattutto a spese dei lavoratori tedeschi a cui sono stati chiesti i maggiori
sacrifici in termini salariali, mentre ad arricchirsi è stata sempre e soltanto
una ristretta casta di banchieri e imprenditori tedeschi.
Un fenomeno
così evidente di disparità
redistributiva è molto diffuso nelle nazioni che fondano la loro ricchezza
interna principalmente sulle esportazioni (vedi la Cina) e su un atteggiamento
aggressivamente “mercantilista”. E
dovrebbe fare riflettere quella parte di opinione pubblica di pseudo-sinistra
(e anche del Movimento 5 Stelle) ancora così convinta sulla bontà del progetto eurista e delle
magnifiche “virtù” del sistema
tedesco. In Germania, a differenza di ciò che avviene in Italia o in Spagna, oltre la metà delle famiglie non ha una
casa di proprietà e vive magari con una serie di minijob da 400 euro al
mese. Tuttavia è anche vero che lo stato tedesco può utilizzare parte della sua
spesa pubblica per sostenere il reddito e pagare l’affitto alle famiglie più
disagiate, perché non deve dilapidare una cospicua frazione delle sue uscite di
bilancio per pagare gli interessi sul
debito pubblico, come purtroppo accade in Spagna e Italia. Unendo questi
due fattori, bassi salari e stato sociale forte, con la compressione dei prezzi interni, la Germania
ha costruito negli anni buona parte del suo vantaggio competitivo nei confronti degli altri paesi europei (non
solo della periferia, visto che anche il Belgio e l’Olanda hanno a più riprese
denunciato la concorrenza scorretta operata dai “cugini” tedeschi), contraddicendo sfacciatamente il presunto “spirito
di cooperazione” evocato solo a parole nei trattati europei.
Ma come fa giustamente
notare l’analista tedesco Wolfgang
Munchau sul Financial Times, lo
studio della BCE conferma anche un’altra verità (che in Italia peraltro è già
nota grazie all'eccellente lavoro di divulgazione dell’economista Alberto Bagnai): fin dalla sua introduzione nel 1999 non è mai esistita una moneta unica
nell’eurozona, perché l’euro tedesco è molto diverso da quello spagnolo o
greco o italiano, a causa del diverso
regime dei prezzi registrato nei rispettivi paesi. Malgrado la moneta unica
abbia cancellato il tasso di cambio nominale, è rimasto sempre operativo
nell’eurozona un tasso di cambio reale,
che ha avvantaggiato i paesi a bassa
inflazione come la Germania, a discapito di paesi a maggiore inflazione
come Grecia, Spagna, Italia. Di conseguenza la ricchezza finanziaria in
Germania non è paragonabile a quella spagnola o greca, perché con la stessa
quantità di euro si possono comprare maggiori beni reali (soprattutto quelli prodotti
internamente e non importati) in Germania rispetto a ciò che invece possono
comprare spagnoli e greci. L’esempio della casa è molto significativo in questo
senso: prima dello scoppio della bolla immobiliare i prezzi delle case in
Germania sono stati sempre più bassi rispetto a quelli di analoghi cespiti in
vendita in altri paesi. Ancora oggi, una casa a Monaco (la città più ricca
della Germania) costa molto meno di una casa a Milano.
Fin
dall'inizio della sciagurata avventura dell’eurozona, i salari e i prezzi al consumo sono rimasti sostanzialmente
costanti in Germania, mentre crescevano altrove, soprattutto nell’Europa
meridionale. Durante l’ultimo decennio, questo differenziale persistente di inflazione ha portato ad un grande
divario nei prezzi delle attività. Ecco perché un appartamento a Milano costa
molto di più di uno a Monaco di Baviera, la città con i prezzi delle case più alti
di tutta la Germania. L'indagine quindi mostra non i differenziali di
ricchezza, ma i tassi di cambio reale tra le economie dell'eurozona, perché
queste misurazioni non rappresentano tanto un indicatore affidabile del patrimonio
netto, ma testimoniano invece la presenza di squilibri interni all’eurozona,
che sono enormi e in continua crescita. Tuttavia siccome è difficile spiegare
ad un tedesco (e anche ad un italiano medio imbevuto della solfa sinistrorsa delle
“virtù teutoniche” e dei “vizi italici”, per la verità) cosa sia e
come funziona il tasso di cambio reale, è molto probabile che questi numeri
renderanno ancora più aspro e ostile il dibattito in Germania nei confronti dei
piani di salvataggio europei. Rendendo sempre più verosimile quella profezia
(speriamo auto-avverante) che dice che sarà proprio la Germania ad uscire per prima dalla zona euro, grazie al duplice
effetto della protesta popolare dal basso e dell’impossibilità per imprenditori e
banchieri tedeschi di continuare a fare redditizi affari nella periferia sempre
più allo sbando.
La propaganda che opera in modo opposto in
paesi come Germania e Italia, facendo apparire i tedeschi più poveri degli
spendaccioni meridionali e il sistema tedesco un modello virtuoso da imitare, è
falsa in entrambi i casi, perché in termini reali la ricchezza patrimoniale
della Germania è molto più elevata e il sistema tedesco fondato sulle
esportazioni non può essere replicato contemporaneamente in tutti i paesi
dell’eurozona, soprattutto in un periodo di recessione quando la domanda
aggregata cala ovunque. Ma mentre la propaganda tedesca, animata anche dal nuovo e combattivo partito euroscettico “Allianz fur Deutschland”, sta
amplificando la distanza della Germania dai piani di autoconservazione della
Commissione e dei burocrati di Bruxelles, il regime mediatico più che mai
attivo oggi in Italia, fondato sull’asse inossidabile PD-PDL-Monti-Rai-Mediaset-stampa, spinge per un rafforzamento dei programmi deflazionistici
e recessivi della tecnocrazia europea. Incentivando quella corsa folle al ribasso messa in moto
dall’euro che ha ormai creato uno stato
di emergenza permanente e innescato una guerra fratricida interna fra i paesi dell’eurozona. E alla fine
della fiera, sia il paese che vince la gara, tagliando prima e meglio degli
altri, come la Germania, sia chi rimane indietro, dovrà per forza di cose
fronteggiare una situazione di
insofferenza e malessere sociale che decreterà prima o dopo la fine di
questo scellerato esperimento sociologico-finanziario di
asimmetria redistributiva della ricchezza sia interna che esterna ad ogni
stato.
In un'unione
monetaria il contenimento degli
squilibri può infatti avvenire solo attraverso i movimenti reali dei prezzi
e dei salari (verso l’alto nei paesi in surplus e verso il basso nei paesi in
deficit), e siccome la Germania non
è intenzionata a modificare il suo regime
di bassa inflazione, non c’è alcuna possibilità nel lungo periodo di avere
un’attenuazione o addirittura una soluzione definitiva della crisi attuale. Quindi
è chiaro che la conclusione più prevedibile del progetto eurista sarà il ritorno alle monete nazionali o qualche altra strana alchimia di adozione di una doppia valuta. Di fronte allo scempio
umanitario che si sta consumando in Grecia, ormai da tempo si vocifera che
nelle segrete stanze la banca centrale greca stia già operando in accordo con
la BCE per introdurre la nuova dracma
che agirà come valuta parallela all’euro per consentire al governo di attuare politiche fiscali finalmente espansive
e alle aziende greche di ricevere un minimo di slancio con una svalutazione della moneta nazionale
rispetto all’euro. Il successo di una tale operazione dipende però da un rigido controllo dei movimenti dei capitali
per evitare una fuga caotica verso l’estero prima e dopo il passaggio alla
nuova valuta e dalla fiducia che gli
operatori di mercato avranno sulla possibilità che lo stato e la banca centrale
greca riusciranno a mantenere un tasso di cambio stabile nel tempo. Si tratta
ovviamente di una soluzione temporanea di compromesso che riesce a mettere
insieme le istanze dei creditori,
che vogliono avere il rimborso dei loro prestiti in euro, e quelle dei debitori, che non possono più fare
nuovi debiti con la vecchia valuta perché sono ormai tagliati fuori dai mercati internazionali dei capitali e sopravvivono solo grazie al supporto finanziario della trojka
FMI, BCE, UE.
E’ notizia
di questi giorni che lo stato greco ha chiesto un aggiustamento dell’ultimo
piano di salvataggio, con un nuovo pacchetto di aiuti da €10 miliardi: €2,8 miliardi finiranno per coprire i
deficit di parte corrente dello stato, mentre €7,2 miliardi serviranno per
finanziare la ricapitalizzazione delle banche greche sempre più in crisi. In
cambio di questi aiuti della trojka, il governo di Atene si impegna a
licenziare altri 4.000 impiegati del
settore pubblico entro il 2013 e 11.000
nel 2014. In totale i licenziamenti
complessivi saranno 180.000 entro il 2015, cosa che porterà il tasso di disoccupazione ben oltre
l’attuale livello record del 27,2%,
con le ovvie ricadute sociali ed economiche che ciò comporta. Se facciamo un
parallelo storico, vedremo che nel periodo che va dal 1999-2002 l’Argentina ha registrato una
contrazione economica del 18% e un tasso di disoccupazione del 25%, mentre dal
2008 ad oggi in Grecia abbiamo assistito ad un calo cumulativo del reddito
nazionale del 20% e ad una disoccupazione appunto del 27,2%, superando quindi
in termini negativi la peggiore crisi economica-finanziaria del dopoguerra.
Considerando che il collasso a cui abbiamo assistito in Argentina ha provocato il
disastro socio-umanitario più esteso mai avvenuto nella storia in assenza di
guerra o di catastrofe naturale, non stupisce che anche oggi in Grecia
continuino inesorabilmente ad aumentare i tassi
di mortalità e i ricoveri in
ospedale.
Nonostante
ci troviamo ormai al sesto anno
consecutivo di recessione, il governo di Atene abbia ricevuto
complessivamente €240 miliardi di aiuti,
e sia stato effettuato un taglio del 75%
del debito pubblico in mano ai creditori privati, la Grecia non sembra
neanche lontanamente vicina a ciò che possa assomigliare ad un’avvisaglia di
uscita dalla crisi economica. Essendo ormai priva da anni della fiducia dai
mercati dei capitali internazionali, la dipendenza
del governo di Atene dagli aiuti della trojka è ormai completa ed irreversibile,
perché è rimasta l’unica fonte di finanziamento disponibile per lo stato greco,
che a dispetto dei tagli massici alla spesa pubblica continua a patire un incremento del debito a causa del calo
dei consumi, delle scarse entrate fiscali e di una riduzione ancora più
profonda del PIL nazionale. La teoria
economica irrazionale e sconclusionata secondo cui la deflazione salariale,
favorita da un alto tasso di disoccupazione, porterà prima o dopo ad una
ripresa dell’economia e degli investimenti, si scontra brutalmente con i dati
reali che ci dicono invece che senza un adeguato
livello di domanda aggregata nessuna ripresa economica sarà mai possibile.
Secondo le ultime rilevazioni di Eurostat,
la Grecia è in assoluto il paese europeo che dal 2008 al 2012 ha applicato il più
drastico processo di deflazione interna
con un taglio dei salari nominali del -11,2%, contro il -1,4 della Lituania, il
+0,8 dell’Irlanda, il +1,3% della Lettonia, il +7 dell’Estonia, il +8,3% della
Spagna.
Eppure, malgrado tutti questi sacrifici ingiusti e ingiustificati richiesti ai lavoratori, nessun beneficio concreto è arrivato per
l’economia greca in termini di competitività, anche perché come dimostra
l’esperienza, si regista spesso una maggiore rigidità dei prezzi rispetto ai
salari, con il conseguente aumento della quota profitti delle imprese
focalizzate sulle esportazioni, il collasso della domanda interna e un
turbolento inasprimento delle iniquità redistributive e delle tensioni sociali.
Aggiungendo a questo quadro generale scoraggiante, la situazione di doppia crisi di liquidità e di insolvenza del sistema bancario greco, si comprende
perfettamente per quale motivo la Grecia non possa venir fuori presto dal
pantano, rimanendo di fatto inchiodata alla speranza vana che si realizzi la
profezia dei folli e demenziali sostenitori dell’"austerità espansiva". Come si
può vedere nel grafico sotto, la continua fuga di capitali, la mancanza di
nuovi depositi, i fallimenti a catena dei debitori e la caduta del reddito
nazionale, hanno portato ad un innalzamento della quota di prestiti in sofferenza fra gli attivi delle banche greche dal 5%
del 2007 al 15% attuale. Cosa che renderà in pratica ancora più indispensabili
e decisivi i continui piani di
ricapitalizzazione con fondi pubblici e quindi indirettamente gli interventi esterni della trojka.
In un tale drammatico contesto, l’introduzione di una moneta nazionale
parallela in Grecia può essere sicuramente una buona soluzione tampone per
arginare l’emorragia, ma lascia intatto il problema del debito estero (pubblico e privato) accumulato fino ad oggi dal sistema
paese, che rimarrebbe ancora denominato in euro. E siccome l’euro tedesco
continuerà ad avere un potere di acquisto costantemente superiore all’euro
greco, è molto probabile che la fuga dei capitali dalla Grecia continuerà
imperterrita anche in presenza di garanzie e di rassicurazioni della banca
centrale greca di mantenere un tasso di cambio e di inflazione stabile nel
tempo. E si verrà a creare una necessità, come già accaduto a Cipro, di isolare
il paese e controllare i movimenti dei capitali, avvalorando la tesi che in
modo più o meno palese ogni nazione stia
lentamente ritornando per altra via ad una propria valuta nazionale: l’euro
greco, spagnolo, italiano, portoghese e cipriota che sarà ancora troppo
sovrastimato, e l’euro tedesco, olandese, finlandese che è invece
abbondantemente sottostimato.
Questo è ciò che accade quando si cerca di unificare in modo innaturale e artefatto
economie tradizionalmente diverse da ogni punto di vista: inflazione,
produttività, incidenza delle esportazioni, dipendenza dalla domanda interna,
regimi fiscali e assistenziali, mercato del lavoro. La natura prima o dopo si
ribella e rimette a posto tutti gli squilibri creati artificialmente dagli
uomini. E anche se per qualcuno, soprattutto per quegli strani individui che
vivono immersi nell’idolatria e nel misticismo montati ad arte dell’euro, sarà
difficile capire fino in fondo questi dettagli, chiediamo solo di avere ancora
un po’ di pazienza in attesa che la
natura faccia per intero il suo corso.
Bravo!
RispondiEliminaGrazie 48...anche se spesso non ho il tempo materiale di commentare i tuoi post, sappi che ti sto marcando stretto e sto diffondendo in modo capillare le preziosissime informazioni che ci fornisce...ormai li stiamo accerchiando e pare che qua e la, qualcuno del vecchio regime cerchi ogni tanto di uscire dall'accerchiamento, criticando e dissociandosi pubblicamente dall'euro e dall'eurismo...a questo proposito, mi hanno colpito queste dichiarazioni del sottosegratario Polillo all'Ultima Parola di venerdì scorso...addirittura ha evocato un ritorno alle politiche keynesiane per uscire dalla crisi!!! Ma cosa ha avuto una folgorazione sulla via di Damasco oppure sa delle cose che noi al momento non sappiamo??? Chissà...
Eliminadai un occhio anche qui!
RispondiEliminahttp://www.voxeu.org/article/are-germans-really-poorer-spaniards-italians-and-greeks
e qui
http://www.bundesbank.de/Redaktion/DE/Downloads/Presse/Publikationen/2013_03_21_phf_praesentation.pdf?__blob=publicationFile
Ottime segnalazioni, che rafforzano ancora di più quello che andiamo da tempo sostenendo sull'iniqua distribuzione della ricchezza in Germania...e sulle presunte "virtù" del modello tedesco!!!
EliminaDubbio... Dici "mediana, ovvero il gruppo in assoluto con più alta frequenza all’interno del campione": quella non e' la moda? La mediana e' il valore al di sotto del quale cade la meta' dei dati.
RispondiEliminaLa conclusione e' comunque giusta: se la mediana e' piu' bassa della media significa che che la maggior parte dei dati del campione sono su valori bassi.
Bravissimo Stefano, hai notato effettivamente una svista che avevo commesso confondendo la mediana con la moda...ho corretto subito, grazie!!! Resta il fatto che sottolinei anche tu e l'articolo di De Grauwe segnalato sopra, la ricchezza in Germania è concentrata in poche mani, nella parte alta della distribuzione...
EliminaDomani giro il tuo post almeno a cinque colleghi che, come me, lavorano spesso in trasferta in Francia ma sono sempre ostici ad accettare l'idea che, per cambiare l'Italia, sono sì indispensabili le riforme, ma non è certamente possibile attuarle con una tale situazione economica e finanziaria in corso. Il punto è che pensano sempre che l'euro è una salvezza per l'Italia e che ci meritiamo (ricordate Tafazzi che si martellava le zone basse con una bottiglia?) quello che stiamo passando.
RispondiEliminaL'ultima che ho sentito è che l'euro ci ha consentito di vivere bene in questi dieci anni.
Saluti,
Lorenzo Marchetti
sono palle è solo per far credere che non solo noi italiani siamo nella merda e tenerci calmi buoni ma ormai la rivoluzione è alle porte a breve IL POPOLO ITALIANO ALZA LE BRACCIA E LOTTA PER FARSI GIUSTIZIA CONTRO UNA CASTA DI MERDA E MASSONI MERDOSI NEL NOSTRO SISTEMA POLITICO CHE CI VUOLE MORTI DA FAME PER OPPRIMERCI MEGLIO e metterci l’uno contro l’altro non cedete e iniziamo a lottare a buttarli fuori e giustiziarli in pubblica piazza a sta merda che ci sta governando
RispondiEliminaspero di riuscire a postare perchè son bloccato non so se verrà pubblicato sul mio facebook per quella merda della boldrini e non mi fa pubblicare nemmeno qui con mio profilo facebook
Bravo Piero, preciso e di facile comprensione come sempre...grazie...
RispondiEliminala unica salvezza è uscire dall'euro e tornare ogniuno alla moneta sovrana e smettere di pagare la BCE che non fa altro che aumentare il debito pubblico di ogni paese in questa europa , la BCE è lo strozzino europeo autorizzato dalle caste politiche dei paesi membri
RispondiEliminaCiao Piero,
RispondiEliminaSobrio ed incisivo.
Con stile, come dovremmo essere opportunamente e sempre tutti noi ma, ahimé, i molti di noi che guardano alla realtà con occhi d'invidia, rispetto a palesi privilegi e sperequazioni nella distribuzione della ricchezza, sono più facilmente attratti e risucchiati dal terrorismo mediatico e dal pensiero dominante che tende a scaricare inevitabilmente sul prossimo ogni tipo di responsabilità evitando quindi opportunamente di riconoscere le proprie.
E le proprie responsabilità oggi sono più che mai intellettuali, ritengo.
Poiché se da un lato regole, tecniche, politiche e conoscenze non sono libero governo di tutti, al tempo stesso l'intelletto suppongo (?) sia o possa quantomeno essere patrimonio di molti.
Pertanto, la possibilità di un'analisi che vada oltre ciò che per convenienza altrui viene imposto come dogma, dovrebbe essere discretamente alla portata di ognuno.
Ogni individuo che abbia la volontà di esercitare la propria capacità critica.
Ora, partendo da un'esame semplificato su alcune tematiche qui individuate come la comparazione tra i diversi livelli di ricchezza dei nuclei familiari dei paesi dell'eurozona, sarei portato ad asserire che, in merito alla situazione italiana, l'equilibrio generale di tali nuclei, seppur fragile, ancora tiene.
E ciò poiché, in molti casi, l'assetto è tenuto in pieni dal sostegno delle precedenti generazioni (quelle pensionistiche, per intenderci, formate da un gruppo eterogeneo di soggetti).
Tiene sia in termini finanziari che patrimoniali e socio-culturali...
...
...(continua)
RispondiEliminaIl nucleo familiare italiano, nel bene o nel male, rappresenta ancora una solida ancora attorno alla quale gravitano, cercando di rimanere a galla, le vittime presenti e passate dell'odierno sistema economico-finanziario.
Al tempo stesso, quel nucleo è figlio dello stesso sistema perverso, in declinazione patriottica, che ha generato (per questioni opportunistiche di genesi varia) pensioni insostenibili nel tempo e con il tempo.
Aggiungendo a questo l'archetipo del pachiderma burocratico statale (in nome dell'austerity in Europa tanto vituperato e combattuto) sul quale una vasta schiera di lavoratori e contribuenti hanno basato la loro "sussistenza" (oggi definita ricchezza poiché i parametri sono quelli dell'alchimia dei conti), la costatazione di una struttura che prima o poi collasserà su se stessa dovrebbe essere inevitabile.
Lo dimostrano le ripetute riforme studiate e praticate a partire dagli anni novanta sul sistema pensionistico ed in ultimo la bomba ad orologeria dei debiti occulti dell'ex Inpdap.
Oggi molte famiglie vivono di pensioni maturare con sistemi contributivi "allegri" attraverso le quali sostengono familiari in difficoltà (disoccupati, inoccupati, precari o espulsi dal mondo del lavoro). Il frutto dei risparmi passati è servito loro per acquistare immobili nei quali ora vivono e lasciano vivere i loro figli e che rappresentano, al tempo, un peso fiscale spesso non indifferente. E le differenze tra i diversi redditi lordi di tali pensionati non cambiano, paradossalmente, la sostanza dei loro comportamenti o situazioni particolari. Nuclei con redditi superiori di poco o di molto o di tanto ai 10.000 euro si trovano ad affrontare le stesse difficoltà di quelli con reddito inferiore a quella che definirei una soglia di sopravvivenza.
Eppure sopravviviamo, senza focalizzare "anacronisticamente" ed "intellettualmente" il nocciolo dei problemi.
Problemi che "settariamente" vengono definiti per compartimenti stagni: politica, stato, banche, lassismo, privilegi, Europa, Euro, capitalismo, comunismo, socialismo, sovranità monetaria...
Senza unire, come piace dire a Bagnai, i puntini.
Il sistema è perverso nella sua complessità ed ogni elemento è connesso all'altro in un meccanismo in cui ogni tassello è artefice o conseguenza del prossimo o precedente. Ogni pedina trova il suo posto su di una scacchiera creata ad arte, dove l'allegro debito si sviluppa per potere politico e per volere "teocratico" e questo genera privilegi che divengono per alcuni intoccabili e per altri inarrivabili, producendo inevitabilmente opportunismi e.o meccanismi di difesa che a loro volta contribuiscono a degenerare l'intera architettura sino a quando giungerà il punto di non ritorno, il punto di rottura ed implosione od esplosione.
Spero, in questa lunga filippica, di essere stato almeno un poco chiaro!
Un saluto,
Elmoamf Massimo Paglia
il problema è che non è vero che la germania sia più povera. io non so perché dicono ste cose ma ci sono oggi due Paesi in cui noi italiani dovremmo andare ad abitare. Uno è la Germania con una crescita eccezionale, prezzi al consumo bassi e stipendi quasi legendari (un operaio appena assunto prende non meno di 5000 euro al mese, un professore di scuole medie 12000 euro appena assunto, la benzina costa .59 centesimi al litro e il diesel 0.12!)
RispondiEliminala germania, come mi piace sempre ricordare, è l'unico Paese occidentale a non essere mai fallito e l'unico a non aver mai combattuto una guerra negli ultimi 3 secoli.
l'altro Paese in cui andare è la Spagna. si può trovare facilmente lavoro e la disoccupazione è meno che in germania.
è un Paese in forte crescita.
Mi scompiscio!
EliminaSolo una piccola precisazione, il partito tedesco a cui credo tu ti riferisca è chiamato "Alternative for Germany" (AfD Alternative für Deutschland). "Allianz for Germany" menzionato nel tuo articolo è stato comunque un partito, nel 1990 in Germania dell'Est.
RispondiEliminaColgo l'occasione per congratularmi per la tua opera di divulgazione e per i contenuti del tuo blog. Continua così!
Nicolò Ferronato
Ciao, ho scoperto per caso il tuo blog, mi complimento per le tue analisi, ma nel contempo mi avvito su me stesso perchè la RABBIA che ho dentro e la FRUSTAZIONE causata dall'impossibilità di poter far qualcosa per uscire da questa follia che arriva dalla seconda guerra mondiale, attraverso lo sganciamento del dollaro dalle riserve aurifere, alla supervalutazione della moneta del più fallito e arrogante dei paesi europei quale è la Germania, fino alla sventura della svenduta Sovranità Monetaria e alla dichiarazione di fatto dell'incostituzionalità del concetto di economia Keynesiana a favore dll'€uroBCE, mi opprime.
RispondiEliminaVorrei avere il POTERE.... Vorrei poter essere "un dittatore a tempo" per poter portare il Nostro Paese fuori da questa follia della moneta unica a tutti i costi, costi quel che costi, (la repetitio non è casuale) e fare come quel profeta giapponese che lucido Keynesiano, STAMPA MONETA PER INCENTIVARE L'IMPRESA, anche se per motivi diversi (vedi deflazione e necessità d'innalzare di 1/2 punti percentuali l'inflazione interna)...
Non so se sono riuscito nell'intento di esprimere il mio pensiero e stato d'animo, sono veramente frustrato, dalle risposte che mì arrivano quando accenno certi discorsi...
Penso ai miei 2 figli, che ne sarà del loro futuro (mi sto adoperando per farli andar via, iniziare nuova vita fuori dall'Europa), non so se sarà una soluzione, ma non vedo altro.
Scusa lo sfogo, ma assistendo inerme ai recenti accadimenti (policici di serie z e pseudo professori liberisti (monti minuscolo) che annichiliscono e svendono un Popolo, sono veramente frustrato, incazzato... Rivoglio la mia Italia, qualla della £ira prima della svendita alla Banca d'Italia... Voglio scendere...
Ti seguirò e consiglierò il tuo blog.
Saluti, Depau Salvatore - Cagliari.
Ciao signore / signora
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