martedì 30 ottobre 2012

LA MONETA DI STATO PRIVA DI DEBITO E LA RIFORMA DEL SISTEMA BANCARIO MODERNO


Se non ora quando? Questo slogan che tanto successo ha avuto qui in Italia, dovrebbe essere esportato a livello mondiale per mobilitare la gente intorno ad una questione centrale all’interno del dibattito internazionale, più culturale o politica che economica, che coinvolge la vita di tutti noi: la Moneta. L’argomento è spinoso e complesso, ma non di rado i modi per attaccarlo e addomesticarlo sono di una semplicità disarmante e soprattutto accessibili a tutti: tecnici, economisti, ingegneri, operai, casalinghe, anziani e…bambini. Anzi, molto spesso sono proprio i bambini in virtù della loro innocenza e apertura mentale ad avere gli strumenti giusti per districare la matassa, mentre per una volta noi adulti dovremmo stare zitti in disparte ad ascoltare, osservare ed imparare. Sulla moneta in particolare sono sicuro che ne vedremmo delle belle, perché se ci pensate bene i bambini, ancora prima delle banche, degli stati, della finanza internazionale, delle teorie economiche dei premi Nobel sono i primi ad inventarsi sistemi monetari inattaccabili, con i loro bigliettini di carta colorata, che si passano di mano in mano in cambio di oggetti, giocattoli, giri in bici, ciottoli levigati. Se osservate bene come giocano, vi accorgerete che i bambini non solo stabiliscono subito degli accordi per accettare esclusivamente una tipologia di biglietti e non altri, ma sono così attenti e rigorosi da creare soltanto la quantità di biglietti strettamente necessaria e sufficiente al corretto funzionamento dei loro giochi. Non un biglietto in più e non uno in meno. I bambini quindi conoscono a meraviglia il rudimentale concetto di misura, legato principalmente all’equilibrio fra i mezzi monetari e i beni scambiati, che tanta confusione e panico crea negli adulti. Una saggezza istintiva, ancestrale che dovrebbe farci riflettere.


Detto questo, riprendo il lungo cammino di scardinamento di alcuni miti e leggende popolari intorno alla moneta, visto che dai riscontri avuti dai lettori ho ricavato la necessità di fare ulteriori chiarimenti che potrebbero aiutarci a compiere insieme un altro passo avanti in questo fondamentale percorso a ritroso di conoscenza: dalle sicurezze della maturità dobbiamo andare indietro, giù, giù, fino agli anni della spensierata e ingenua infanzia. Magari questa premessa vi sembrerà un po’ strana, bizzarra, ma più andrete avanti nella lettura e più capirete che di tecnico, economico, finanziario qui non c’è nulla, tranne pochi immediati concetti di contabilità, mentre tutto il resto sono valutazioni logiche o linguistiche alla portata di tutti. Ovviamente cercherò di semplificare al massimo alcuni passaggi, ognuno dei quali meriterebbe un capitolo a parte, ma con lo scopo specifico di dare priorità per adesso al discorso generale. La struttura di fondo dei ragionamenti è basata principalmente dai contributi forniti a riguardo dal movimento culturale ed economico inglese Positive Money, che insieme al gruppo americano della Modern Money Theory MMT, è riuscito secondo me a spiegare e sviscerare molto bene le dinamiche di funzionamento del sistema monetario moderno, avanzando anche le migliori proposte di riforma. Ma c’è anche una grande novità: a questa banda di professori di economia sovversivi ed eretici, si è unito di recente nientemeno che lo stesso Fondo Monetario Internazionale, ovvero l’organismo che sovraintende la politica monetaria mondiale, considerato molto spesso, non a torto, lo strenuo difensore delle logiche predatorie della cosiddetta finanza speculativa.

lunedì 22 ottobre 2012

FINE DELL’EURO ATTO TERZO: LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA, ORA TOCCA ALL’ITALIA


Che cosa è un’opera buffa? L’opera buffa è un genere teatrale che si diffuse prima in Italia e poi nel resto d’Europa a partire dal XVIII secolo, avendo come scopo principale quello di presentare storie semplici, commedie, personaggi di estrazione popolare, problemi più quotidiani e comuni in cui si poteva riconoscere la maggioranza del pubblico pagante e non solo i nobili e i monarchi. Come ho già detto altre volte l’Unione Europea, e l’eurozona in particolare, è diventata da tempo, da quando tutti i nodi sono venuti al pettine, un grande immenso palcoscenico a cielo aperto in cui a cadenza pressoché giornaliera si recita a soggetto. Un circo itinerante che da Bruxelles, Berlino, Francoforte, Parigi, Madrid, Roma, arriva fino ad Atene per poi ricominciare il giro, con gli attori più esilaranti e comici che impresario poteva mai sperare di ingaggiare: abbiamo Merkel la cattivona, Hollande l’ipocrita, Monti il viscido, Rajoy il furbo, Samaras il codardo, Draghi il subdolo. Se non fosse per i risvolti drammatici di tutta la faccenda, che coinvolge direttamente noi spettatori paganti sia in termini economici che umani, ci sarebbe di che sbellicarsi dalle risate ad ogni ora, ad ogni dichiarazione dei buffoni all’opera. Anche la morte di un uomo greco di 66 anni, deceduto durante le sommosse ad Atene e gli scontri con la polizia dei giorni scorsi, diventa subito un fatto grottesco ed inverosimile: le persone muoiono quasi sempre di infarto, perché essendo anziane e cagionevoli vengono travolte e spaventate da una folla di giovani inferociti e incappucciati. Mentre la circostanza che queste persone possano essere state spintonate, percosse, manganellate dalla polizia prima di cadere esanimi sul campo, non viene mai presa in considerazione. No, questo non è previsto dal copione.


Nel primo atto dell’interminabile commedia europea avevamo descritto lo scricchiolio del ramo sul quale è seduta la Germania, che i suoi governanti si stanno impegnando a segare con una solerzia che ha dell’incredibile e del paradossale: ogni imposizione di austerità e rigore fiscale in più nei paesi della periferia, significa una proporzionale quantità di merci che la Germania non esporta più in quei paesi, affossando di fatto la sua stessa economia. Tuttavia siccome i tedeschi non capiscono questa semplice relazione contabile e nella prossima primavera ci saranno le elezioni, la cancelliera Merkel per tenersi buono l’elettorato deve mostrare buon viso a cattivo gioco, facendo la voce grossa al Bundestag contro i paesi spendaccioni e poi cercando accordi sottobanco con gli altri buffoni suoi pari per limitare i danni e tenere in piedi baracca e burattini. Nel secondo atto invece avevamo assistito alla miserevole disfatta della Spagna, che dopo Irlanda, Portogallo, Grecia era puntualmente caduta come un birillo, mostrando al mondo intero in tutta la sua grandezza il fallimento del suo sistema bancario e l’insostenibile leggerezza dei conti pubblici, che un tempo erano tra i più virtuosi della terra e oggi sono stati sventrati appunto per fornire salvataggi di emergenza alle banche. Nel terzo atto che raccontiamo oggi la trama è molto più semplice e dozzinale, perché si articola tutta intorno ad un motto di spirito abbastanza noto ai mercanti: “Prima vedere cammello, poi pagare moneta!”. Con un colpo di scena finale ad effetto, in cui si scoprirà chi e cosa è il “cammello” in questione.  

giovedì 18 ottobre 2012

BANCA CENTRALE E COMMERCIALE: CREAZIONE, TRASFERIMENTO E DISTRUZIONE DI MONETA


Riprendiamo il nostro percorso di approfondimento del sistema monetario moderno attraverso le semplici descrizioni illustrate fornite dal movimento culturale ed economico inglese Positive Money. La crisi finanziaria attuale come abbiamo detto spesso non è solamente una delle tante crisi congiunturali di sovrapproduzione (più di prestiti e strumenti finanziari che di beni reali) o calo della domanda, ma una crisi sistemica che coinvolge dall’interno la struttura stessa del sistema bancario internazionale e il suo modo di operare e gestire le fasi di creazione, trasferimento e distruzione della moneta. Capire come funziona il sistema finanziario e trovare eventualmente delle soluzioni attuabili diventa fondamentale per evitare che si rimandi ancora, attraverso le massicce iniezioni di liquidità, il momento della verità: non è difficile infatti prevedere che la prossima crisi che si sta già preparando sarà ancora più grave di quella attuale, essendo superiori le masse monetarie in gioco. Quest’ultima crisi quindi, molto più delle precedenti, a causa della sua portata e della sua profondità, coinvolge il modo stesso di considerare la moneta dopo la fine degli Accordi di Bretton Woods del 1971, ponendo delle domande ormai ineludibili: che cos’è esattamente la moneta? E’ un bene negoziabile al pari di tutti gli altri? E’ un mezzo di pagamento per favorire gli scambi e i commerci? E’ una semplice unità di conto che serve a misurare i debiti e i crediti contratti tra le controparti?



In effetti nel sistema monetario moderno, il denaro assume contemporaneamente le tre accezioni prima esposte ed è dalla confusione che ne deriva, dalla preferenza per l’una o l’altra forma della moneta, che affonda la causa principale della crisi attuale, perché se la moneta è un bene infinitamente negoziabile e liquido, diventa conveniente per alcuni tesaurizzarlo a scopi precauzionali, sottraendo nel contempo ad altri i mezzi di pagamento necessari al corretto funzionamento dei mercati commerciali e soprattutto rimandando al prossimo futuro, con continui rilanci di nuova liquidità, il momento della chiusura dei conti tra debitori e creditori. Tuttavia prima di entrare direttamente nelle infinite contraddizioni del sistema monetario moderno, è opportuno avere ben chiaro attraverso semplici esempi come funziona esattamente tale sistema, in modo da sapere chi crea, come si alimentano, dove si annidano i paradossi di cui abbiamo parlato. Malgrado le complicazioni tecniche che vengono continuamente tirate in ballo, il sistema in verità è molto semplice e non servono particolari conoscenze di contabilità per capire gli schemi che verranno utilizzati.


lunedì 15 ottobre 2012

IL COSTO DELLA POLITICA E I PRIVILEGI DELLA CASTA NON SONO IL PROBLEMA DELL’ITALIA


Suppongo che vi sarete già accorti che in queste ultime settimane l’attenzione mediatica e giudiziaria è tutta puntata sulla famelica casta della politica italiana, che nonostante il clima ostile nei suoi confronti continua sfacciatamente le ruberie, infilandosi in uno scandalo dopo l’altro. Le regioni, dalla Sicilia al Lazio, alla Lombardia, per adesso sono nel mirino della Magistratura e della Guardia di Finanza, ma non è escluso che fra qualche giorno si passerà alle province, ai comuni, alle aree metropolitane, fino a rientrare di nuovo nel parlamento per scovare altri Lusi, BelsitoScilipoti, Razzi. Lavoro da fare ce n’è tanto, perché non ci vuole molto a capire che il migliore della nostra attuale classe politica e dirigente ha la rogna. Basta guardarli in faccia e sentirli parlare per capire quale sia il loro spessore politico, etico o culturale e gli studi di Lombroso e Freud potrebbero aiutare non poco in questa analisi psico-fisiognomica. Ma lasciarsi trascinare dal clima di caccia alle streghe e credere che tutti i problemi dell’Italia derivino soltanto dai soldi pubblici sottratti dai politici alle casse dello stato è un errore di leggerezza e superficialità colossale, che serve a sviare l’attenzione degli italiani dalle faccende realmente importanti e cruciali per il destino del nostro paese.


Per carità, un po’ di pulizia ci voleva e ci vuole sempre sia in tempo di crisi che di abbondanza, perché dei vari Fiorito, Zambetti, Lombardo, Maruccio non sentiremo mai la mancanza ed è giusto che paghino per le loro colpe, ma le questioni in ballo in questo momento per l’Italia non sono nell’ordine dei milioni di euro rubati a destra e a manca dai faccendieri d’accatto infiltrati nella politica, ma dei miliardi di euro, che giorno dopo giorno vengono sottratti alla gestione ordinaria della spesa pubblica e convogliati sotto silenzio verso altre destinazioni, i cui maggiori beneficiari sono quasi sempre le grandi lobbies finanziarie europee e internazionali. La sproporzione informativa fra i fiumi di parole spesi per denunciare i crimini indegni ma contabilmente irrilevanti dei vari politicanti corrotti e il silenzio che regna intorno alle grandi manovre finanziarie di proporzioni ciclopiche, dal salvataggio pubblico di Banca Monte Paschi di Siena alla chiusura dei contratti derivati con Morgan Stanley, dalle quote di partecipazione al Meccanismo Europeo di Stabilità al Fiscal Compact, è la prova più convincente del fatto che in Italia ormai si è instaurato un possente regime totalitario autoreferenziale, che vive e prospera sul legame stretto fra i centri privati di potere nazionali e internazionali e gli organi di informazione asserviti. Snoccioliamo subito alcuni numeri per capire di quali dimensioni stiamo parlando.

mercoledì 10 ottobre 2012

LA BANCA CENTRALE PUBBLICA DELL’ARGENTINA E’ UN FARO PER LA DEMOCRAZIA NEL MONDO


Quando l’equipaggio di una nave si trova in mare aperto, nel mezzo di una tempesta, e di una Tempesta Perfetta per giunta, l’unica cosa che vorrebbe disperatamente scorgere all’orizzonte è la luce di un faro. La salvezza, la terraferma. In Argentina, all’estremità sud del paese, poco più a est della Terra del Fuoco, si trova una piccola isola, quasi uno scoglio in verità, dove c’è un antico faro dal nome evocativo: il Faro della Fine del Mondo. Poco più in là c’è l’Antartide, con le sue immense distese di ghiaccio, voltandosi indietro si intravedono invece le sconfinate e rigogliose praterie argentine. E in mezzo il Faro. Un luogo magnifico ai confini del mondo, che non a caso lo scrittore francese di romanzi d’avventura Jules Verne, l’autore di “Ventimila leghe sotto i mari”, ha utilizzato per ambientare uno dei suoi libri meno conosciuti: “Il faro in capo al mondo”. In effetti a partire dal 1991, il faro argentino ha perso il primato di essere quello più a sud del mondo, perché né è stato costruito uno a Capo Horn in Cile, ma rimane sicuramente il monumento più antico e famoso, che oggi più che mai rappresenta un vero spartiacque simbolico di civiltà. Una speranza per tutti i naviganti che transitano da quelle parti e sono sommersi e travolti dalle onde della Tempesta Perfetta globale, senza sapere ancora come venirne fuori e quali strumenti utilizzare per domarla.


In perfetta analogia, l’Argentina guidata dalla presidentessa Cristina Kirchner, così come il Venezuela di Chavez, l’Ecuador di Correa, la Bolivia di Evo Morales, è diventato un faro, una speranza per quei popoli del mondo, dall’Europa alla Cina passando per gli Stati Uniti, che oggi aspirano a ripristinare un regime democratico al servizio dei cittadini e dei diritti umani, dopo essere stati soppressi e repressi dall’occupazione quasi militare dei tecnocrati, dei faccendieri, dei politicanti, degli elefantiaci apparati dirigisti che lavorano alacremente  soltanto per tutelare gli interessi delle lobbies finanziarie, dei comitati d’affari, delle corporazioni multinazionali. Un abisso di distanza in termini di cammino evolutivo della civiltà, che è ancora più accentuato dal fatto che la censura della propaganda di regime dilagante in Europa impedisce a noi cittadini di sapere cosa stia accadendo esattamente in Sudamerica, visto che gli organi di informazione su ordine preciso dei loro potenti committenti hanno completamente tagliato fuori dai circuiti della stampa e della televisione le notizie provenienti da quei paesi. Senza andare troppo per il sottile, il continente sudamericano è stato letteralmente cancellato dalle carte geografiche del mondo, perché i cittadini lobotomizzati e teleguidati d’Europa e degli Stati Uniti non devono sapere nulla dei cambiamenti che stanno avvenendo laggiù. I drastici mutamenti di paradigma rispetto al dogmatismo medievale dell’Occidente, con il loro cattivo esempio, potrebbero infatti spezzare di colpo la catena psicologica su cui si fonda gran parte dell’egemonia totalitarista che ci governa: TINA, There Is No Alternative, non c’è nessuna alternativa alla tecnocrazia neoliberista, si fa come dicono loro e basta. E invece, al pari di ogni altra questione che coinvolge la vita umana, l’alternativa c’è, eccome se c’è. E si chiama Argentina.

domenica 7 ottobre 2012

LA SPENDING REVIEW E IL SALVATAGGIO DI STATO DELLA BANCA MONTE PASCHI DI SIENA


Ci vado giù pesante: la Spending Review è la più grande truffa mai ordita ai danni dei cittadini italiani da parte del governo dei banchieri guidato da Mario Monti. E purtroppo non è la prima e non sarà l'ultima. L’argomento in verità è stato trattato e dibattuto più volte, ma siccome in Italia esiste da sempre la tendenza di occuparsi della pagliuzza dimenticandosi della trave, fare un bel ripasso di certo non guasta. Il decreto legge “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini” approvato in gran fretta dal parlamento il 7 agosto scorso doveva contenere una serie di norme indirizzate ad una maggiore razionalizzazione della spesa e soprattutto introdurre tagli per limitare gli sprechi della politica. Eppure pochi giorni fa il governo Monti è stato costretto a varare un altro decreto legge d’urgenza per una revisione più accorta delle spese folli e degli sperperi della casta. Delle due l’una: o il primo decreto era insufficiente o il secondo è ridondante. E riformulando meglio la domanda, dovremmo chiederci: cosa conteneva davvero di così urgente il primo decreto della Spending Review? Visto che per raggiungere l’obiettivo inizialmente dichiarato è stato necessario emanare un secondo decreto legge?


Andiamo con ordine. Gli sprechi, gli sperperi e la corruzione della politica sono un danno assoluto per la democrazia a cui bisogna porre sempre rimedio con tempestività e determinazione, utilizzando qualsiasi strumento legislativo e avvalendosi del supporto delle istituzioni pubbliche preposte al controllo e alle indagini, in particolare Corte dei Conti, Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza e Magistratura. Questa attività di prevenzione e repressione deve essere svolta in qualsiasi momento, sia in periodo di crisi che di crescita economica, perché il mancato contrasto crea squilibri intollerabili e odiosi sia nell’uno che nell’altro caso. I tagli lineari della spesa pubblica sono invece una scemenza, perché aumentano gli squilibri in fase di crescita e amplificano gli effetti recessivi pro-ciclici, originati principalmente dal calo dei consumi e degli investimenti, nel periodo di contrazione. Fatta questa premessa, vediamo a grandi linee le misure contenute nel primo decreto della Spending Review, per capire quale reale incidenza aveva sulla lotta agli sprechi, a qualsiasi livello:

mercoledì 3 ottobre 2012

NO MONTI DAY DEL 27 OTTOBRE A ROMA, LA MANIFESTAZIONE CHE RISCATTA GLI ITALIANI


L’Italia s’è desta. Finalmente gli italiani, così come gli spagnoli e i greci, hanno deciso di scendere in piazza per manifestare il loro dissenso (in certi casi vera e propria "rabbia costruttiva") contro i governi dei tecnici inviati da Bruxelles, Francoforte e Wall Street. Gli emissari dei poteri forti che stanno dissanguando gli stati, al solo scopo di tenere in piedi la moneta più stupida del mondo e mantenere intatte le posizioni di privilegio dei grandi gruppi finanziari e della minoranza benestante della popolazione che vive di rendita e non di lavoro. Sabato 27 ottobre a Roma ci sarà una grande manifestazione dallo slogan più che mai azzeccato e pertinente, a cui ognuno potrà dare la propria connotazione: No Monti Day. Non vogliamo più Mario Monti e la sua cricca di cialtroni, che hanno peggiorato e non poco le condizioni finanziarie, politiche ed economiche dell’Italia. Non vogliamo più la finanza e i "mercati" come unici enti dirigisti e monopolisti della politica economia di un paese democratico, riportando l'accento sui diritti dei cittadini e le dinamiche del bene comune. Non vogliamo più i presunti tecnici mai eletti democraticamente che di tecnica economica capiscono poco o nulla e difendono in modo più che mai evidente e palese interessi plutocratici e privatistici diversi da quelli collettivi.


Queste ultime affermazioni vanno ovviamente motivate, ma non lo farò tanto con le mie parole che possono essere troppo faziose e di parte, quanto con quelle di un vero tecnico che lavora ogni giorno sui dati e sui fatti: il presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino. Il funzionario pubblico ha già fatto sapere ieri agli incompetenti pivelli al governo ammantati dall’aura fumosa del tecnicismo che la loro gestione è stata un disastro e forse farebbero meglio a ritornare nelle aule dell’università a studiare un po’ di tecnica economica. L’occasione è ufficiale e non ufficiosa, ci troviamo all’audizione di fronte alle Commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato per commentare il Documento di Economia e Finanza (DEF), presentato dal governo. Cominciamo con la prima stoccata. La somministrazione di dosi crescenti di austerità e rigore al singolo Paese, in assenza di una rete protettiva di coordinamento e di solidarietà, e soprattutto se incentrata sull'aumento del prelievo fiscale, si rivela, alla prova dei fatti, una terapia molto costosa e in parte inefficace. E che, neppure, offre certezze circa il definitivo allentamento delle tensioni finanziarie. Tradotto in sintesi: aumentare le tasse in periodo di recessione è una scelta folle che non serve nemmeno a rassicurare i “mercati” e abbassare lo spread, visto che fra l’altro non esiste in Europa alcuno strumento compensativo che consenta al singolo stato di redistribuire per altra via i soldi sottratti con le tasse. Continuiamo.

lunedì 1 ottobre 2012

ANATOCISMO ED USURA: COME LE BANCHE STANNO DISTRUGGENDO LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE


Andando per strada e incontrando gente impari molte più cose che stando a casa a leggere libri o scrivere articoli. Questa è una verità che difficilmente potrà essere smentita e non è un caso che il saggio Molière ci ricordava spesso che “tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico”. Ed io di amici ne ho incontrati tanti durante questo lungo giro per l’Italia, ognuno con la propria storia da raccontare e le proprie esperienze da condividere. Con un unico filo conduttore: la speranza. La speranza che le cose possono e devono cambiare, la speranza che la coscienza umana non ha prezzo e non può essere acquistata, la speranza che quando si uniscono le forze e si fa rete non esiste ostacolo o avversario che non possa essere abbattuto, piegato, contrastato. La speranza che l’Italia è ancora un grande paese e non merita la sorte a cui sembra essersi già rassegnata, fra la delirante austerità della gabbia europeista e i continui attacchi alle istituzioni democratiche e al tessuto produttivo sferrati dalla finanza internazionale. Questa speranza non deve morire, deve essere nutrita, deve unire al di là delle differenze, ed è il vero bene scarso che siamo obbligati a tramandare ai posteri, come segno tangibile della nostra esistenza.


Parafrasando una canzone di Vasco Rossi, posso dire con certezza perché ne ho le prove che in Italia c’è ancora “chi dice no!”. E lo fa mettendo a rischio la propria sicurezza personale, la stabilità emotiva, il proprio tornaconto economico, la serenità della propria famiglia, facendo scelte drastiche e coraggiose che meritano innanzitutto il rispetto di tutti noi e in secondo luogo il diritto di essere ascoltate. Quando uomini e donne, da soli o in gruppo, a mani nude o con equipaggiamenti leggeri, si mettono contro un intero esercito agguerrito, implacabile, compatto, ramificato in tutto il mondo, costituito oggi dai poteri forti finanziari e bancari, di cui la classe politica attuale rappresenta soltanto l’ultima propaggine, significa che la guerra fra democrazia e finanza di cui tante volte abbiamo parlato non è ancora persa e va combattuta fino in fondo. Se sul piano politico il processo di creazione di un nuovo movimento unitario contro la dittatura della finanza, la follia dell’euro, per il recupero della sovranità monetaria, economica, democratica va ancora a rilento perché spesso prevalgono gli egoismi, i personalismi, le ambizioni individuali, i dibattiti sterili rispetto alla necessità di fare fronte comune, a livello pratico posso invece constatare con estrema soddisfazione che stanno nascendo sul territorio realtà insieme politiche ed economiche che giorno per giorno lottano concretamente per arginare e contrastare efficacemente lo strapotere finanziario dei grandi colossi bancari, che rischia di mettere in ginocchio (e in molti casi purtroppo lo ha già fatto) le nostre piccole e medie imprese. Il cuore pulsante dell’economia nazionale.