Il dibattito intorno alla correttezza del PIL (Prodotto Interno Lordo)
come misuratore della ricchezza di un paese comincia a farsi davvero
interessante. Da una parte ci sono i sostenitori della “decrescita felice”, i
quali credono che con una costante riduzione del PIL staremmo tutti meglio e
dall’altra c’è la classe dirigente attuale, formata da tecnocrati della
finanza, politicanti, sindacalisti, giornalisti di regime che continuano tutti
i giorni a ripetere la solita solfa della “crescita” a tutti i costi, perché
solo così potremo garantire una maggiore
occupazione e soprattutto rimborsare
i debiti contratti in passato con banche e società finanziarie, che alla
fine della fiera sono i veri burattinai finali di questo teatrino di
commedianti. Ovviamente, come spesso avviene in questi casi, la verità sta sempre in mezzo e chi si
pone agli estremi del dibattito rischia di cadere in uno di quei contorti
avvitamenti della logica che finisce poi per gettare discredito sulla parte sana
e condivisibile della sua rivendicazione.
Innanzitutto perché il PIL è un numero e in quanto tale non può essere buono o cattivo a
prescindere: il giudizio di merito sul PIL dipende dal percorso e dalle
modalità utilizzate per ottenere quel numero e non dal numero in se stesso. In
secondo luogo perché il PIL è un
elemento della contabilità nazionale che computa a consuntivo ciò che è
avvenuto in un certo paese in un determinato periodo di tempo, limitandosi a
quantificare l’esistente senza dare alcuna indicazione su ciò che può o
dovrebbe essere fatto in futuro. Malgrado tutti i tentativi di riportare la
questione sul campo etico, politico, umano, psicologico, il PIL è e rimarrà un
numero neutro, che misura l’effetto dell’azione umana e non può essere in alcun
modo incluso fra le cause che spingono l’azione umana a fare determinate scelte
o a percorrere particolari direzioni invece che altre.
Facciamo subito un esempio per capirci. Immaginiamo che nell’anno 1 il PIL del nostro paese sia
uguale a 100 e nell’anno 2 abbiamo avuto una crescita del 5% che ha portato il
nostro PIL a 105. Questo è un bene o un
male? L’aumento del PIL condurrà automaticamente ad una maggiore
occupazione o no? Il benessere nel nostro paese è cresciuto davvero oppure si
tratta soltanto di un’illusione passeggera? A quale prezzo e rinunce gli uomini
devono essere disposti a sacrificarsi per avere quel 5% in più di PIL? La
risposta più corretta a queste domande è quella espressa prima: “dipende”.
Se il PIL è aumentato perché è cresciuto il numero di incidenti stradali, di
omicidi, di morti per cancro ai polmoni causato dall’inquinamento, di ordigni bellici e armamenti venduti, non penso che
eticamente si possa considerare la crescita del PIL un bene. Se invece il PIL è
cresciuto grazie ad investimenti nel campo delle energie rinnovabili,
installazione di pale eoliche e pannelli fotovoltaici, opere di
riqualificazione degli edifici per ottenere un maggior risparmio energetico,
non credo che un qualunque simpatizzante della decrescita felice possa
considerare umanamente questo evento un male assoluto. D’altra parte se questo
aumento del reddito nazionale è stato ottenuto facendo ricorso ad un maggiore
indebitamento con l’estero, non reputo sensato che dovremmo essere così
contenti di avere oggi più soldi sul conto corrente, sapendo che domani saremo
costretti a restituirli tutti con gli interessi agli investitori stranieri.
Infine, se la crescita del PIL è stata ottenuta grazie ad innovazioni tecnologiche
nel campo della produttività dei nostri macchinari elettronici a
controllo numerico, che riducono l’incidenza del lavoro umano per unità di
prodotto, siete così convinti che l’aumento del PIL porterà ad una minore
disoccupazione?
Il discorso quindi è molto complesso e non può essere banalizzato
oltre una certa misura, perché si rischia di perdere di vista il vero obiettivo
della discussione: il miglioramento
delle forme di convivenza civile e non l’andamento di un numero nel corso
del tempo, che può incidere sulla vita delle persone fino ad un certo punto (io
posso pure accettare riduzioni del reddito se ciò implica un maggiore benessere
collettivo, ma se la riduzione del reddito è fine a stessa e lascia inalterato
il degrado ambientale, allora si tratta di una doppia fregatura). Coloro che si
pongono dalla parte della “decrescita”, dovrebbero quindi essere
un po’ più elastici nel considerare quali aumenti di PIL ammettere e quali no,
soprattutto in funzione di una complessiva riduzione
futura dei consumi energetici, della conversione degli impianti di
produzione verso le energie rinnovabili
e di un aumento dell’occupazione e delle
competenze nei settori chiave che presto o tardi diventeranno strategici
per ogni nazione. Il sospetto che dietro la martellante campagna
propagandistica a favore della decrescita ci sia una certa parte della sinistra italiana che con la sua
adesione convinta al progetto europeista ha condotto questo paese allo sfascio,
diventa ogni giorno sempre più forte. Sembra quasi di sentirli parlare i vecchi
e nuovi cialtroni della nomenclatura del PD, DS, PDS, PCI, in cerca di un
qualsiasi appiglio per salvare la faccia e non essere fustigati in pubblica
piazza dai lavoratori, che con l'euro hanno perso il posto o il diritto ad un salario
decente: “va bene, avete ragione, è vero,
avallando il progetto fascista di ingresso nell’unione monetaria europea
abbiamo distrutto il nostro tessuto produttivo e ridotto all’osso il salario
dei lavoratori (vedi alla voce svalutazione
interna), ma questo è un bene, perché
così facendo abbiamo favorito la decrescita del PIL e l’aumento della nostra
felicità”.
Certo ci vuole molto coraggio e faccia tosta per sostenere
una simile tesi, ma la ribollente
insofferenza generale, che solo grazie a delicati equilibrismi interni alla
nostra nazione non sfocia in aperta rivolta, potrebbe spingere al ripiego sulla
decrescita un maggior numero di politicanti
asserviti della pseudo-sinistra italiana, che spesso sono gli stessi
personaggi inqualificabili che a suo tempo si sono resi responsabili del
disastro europeista. In effetti, è ormai riconosciuto a livello internazionale
che la sinistra italiana ha una capacità
ineguagliabile di raggirare il proprio elettorato, facendo passare per
buone e necessarie tutte le riforme che vanno contro gli interessi dei propri
elettori. Sempre nel nome della “pace del
mondo”, della “solidarietà universale”,
“dell’abbracciamoci compagni perché siamo
tutti fratelli” e “beviamoci una
birra ascoltando musica alla festa del partito perchè l’economia è noiosa e
bisogna lasciarla gestire a chi ne capisce”, ovvero i nostri compagni
deputati e senatori Bersani, D’Alema, Fassina, Franceschini, Bindi (???). Non è
escluso dunque che questi indegni
ciarlatani ammantati dalla buona retorica della sinistra riescano un giorno
a fare bere allo zoccolo duro dell’elettorato (quelli che votano PD a scatola
chiusa, senza nemmeno sapere chi e cosa votano) anche quest’ultima buffonata
della decrescita felice.
Sul versante opposto però si staglia ancora più
potente la voce di chi invoca la “crescita economica” come unica
soluzione a tutti i mali del mondo, dagli stessi scranni del PD (famoso anche
per l’incoerenza e il cerchiobottismo) passando per PDL,
sindacati, confindustria, fino alla cricca dei tecnocrati al governo, che è
sempre bene precisare di tecnica economica capiscono poco o nulla e i numeri della
loro disfatta ormai parlano chiaro (ma forse non era per questi numeri che sono
stati nominati alle loro cariche, essendo notoriamente sponsorizzati da banche
e società finanziarie, che hanno bisogno di ben altri numeri rispetto a quelli
che servono a noi cittadini). Anche qui i sostenitori della crescita dovrebbero
fare delle doverose precisazioni sui modi in cui intendono raggiungere questa
crescita e sulle finalità ultime di questo aumento a tappe forzate del reddito
nazionale. A cosa servirà mai questa crescita se come contropartita richiede la
distruzione massiccia delle nostre risorse ambientali? Da dove arriverà mai la
crescita se oggi nessuno spende per paura della crisi? Vogliamo di nuovo
riprendere a drogare la crescita con l’aumento dell’indebitamento privato? O
peggio ancora con l’aumento del debito estero, che gli investitori stranieri si
fanno pagare a caro prezzo sotto forma di interessi e profitti esportati
all’estero? Oppure vogliamo svendere il patrimonio pubblico senza avere la
minima certezza che ciò comporti davvero una reale crescita economica? Ma
soprattutto, siamo sicuri che questo aumento della ricchezza nazionale
corrisponderà ad una più equa redistribuzione dei redditi e non servirà invece ad arricchire i soliti noti?
Questo atteggiamento di invocare la crescita a tutti i costi, senza
specificare tempi e modi, è molto più attinente con la foga di chi ha fretta di
utilizzare i soldi pubblici per salvare
le banche e ripagare presto e subito
i più importanti creditori dello stato, che sono gli stessi che finanziano
in modo non tanto occulto i nostri governanti e parlamentari (vedi la pratica
indecente dei politici di aprire fondazioni culturali benefiche dove fare
transitare le gentili donazioni dei magnati della finanza), piuttosto che con
la reale intenzione di fare con questa nuova ricchezza qualcosa di utile per la
collettività. La crescita serve insomma da specchietto delle allodole per
attirare nuovi investitori nella trappola dello Schema Ponzi del debito pubblico italiano e non ha alcun legame con
il concetto di benessere della comunità. Fra l’altro, quando comincia a
spargersi la voce che lo stato italiano è puntuale nei rimborsi e ripaga a
qualunque prezzo tutti i suoi creditori, state pur certi che presto o tardi ricominceranno
ad arrivare i famosi capitali esteri che servono a rinnovare il debito in
scadenza e a tenere in piedi tutto il sistema malato di indebitamento senza
fine. Sempre che la caduta dell’euro
non anticipi e scombini i piani dei nostri solerti truffatori finanziari e
curatori fallimentari.
Ma tralasciando per un attimo il meccanismo
artificioso con cui spesso si arriva in Italia alla creazione di due fazioni
opposte (crescita o decrescita, sinistra e destra, nord e sud), tanto caro a
chi cerca di polarizzare le posizioni, esacerbare il dibattito ed impedire alla
gente di ragionare seriamente e serenamente sulle cose, focalizziamo adesso la
nostra attenzione sul significato di Prodotto
Interno Lordo, come semplice numero utilizzato nella contabilità nazionale,
e sui metodi più usati per calcolarlo. Per poi trarre le conclusioni finali. Innanzitutto
il Prodotto è detto “Interno” perchè per il suo calcolo
viene usato il criterio geografico e
non quello di residenza: se un cittadino italiano lavora negli Stati Uniti, il
suo reddito rientrerà nel PIL americano e non in quello italiano. Quando invece
si utilizza il criterio di residenza si suole parlare di Prodotto Nazionale Lordo
(PNL), che è la somma dei redditi
percepiti dai cittadini di un dato paese, indipendentemente se tale reddito è
stato prodotto nel paese stesso o all’estero. Dal raffronto fra i due valori,
si può valutare, ad esempio, in che misura un’economia è dipendente dalle rimesse estere dei lavoratori (valore
che rientra anche nel conto delle partite correnti della bilancia dei
pagamenti), ossia dai trasferimenti di denaro dei connazionali che risiedono
all’estero. Nella maggior parte dei paesi occidentali le due grandezze
divergono di pochi punti percentuali, diversamente da ciò che accade invece nei
paesi poco sviluppati ad alto tasso di emigrazione.
Il Prodotto Interno si chiama “Lordo” perché nel suo
calcolo vengono esclusi gli ammortamenti
dei beni a utilità pluriennale (macchinari, edifici, automobili etc), tramite i
quali vengono distribuiti su più esercizi i costi di tali beni. In pratica nel
valore del PIL non viene inclusa la componente
di usura e deprezzamento dei beni capitali, mentre la differenza fra il PNL
e gli ammortamenti (Il Prodotto Nazionale Netto, PNN) fornisce una misura del grado di obsolescenza di un certo sistema
economico e della necessità di rimpiazzare i beni capitali usurati per
lasciare invariata la capacità produttiva del sistema. Altra differenza
fondamentale è quella fra PIL nominale, misurato a prezzi
correnti, e PIL reale, calcolato valutando la produzione fisica ai prezzi
prevalenti nell’anno base in cui viene stabilito il confronto. Il rapporto fra
PIL nominale e PIL reale si chiama deflatore del PIL e misura in quale
percentuale la crescita del PIL nominale è dovuta al semplice rialzo dei prezzi,
ovvero in che percentuale i prezzi sono aumentati nell’arco di tempo
considerato. Il deflatore del PIL è cosa assai diversa concettualmente
dall’inflazione o tasso tendenziale di aumento dei prezzi al consumo, perché a
differenza di quest’ultimo che misura la variazione dei prezzi dei soli beni di
consumo presenti sul mercato interno e inclusi in un certo paniere di
osservazione, il deflatore si riferisce a tutti i beni prodotti in un
determinato paese (siano essi beni di consumo o di investimento, consumati da
residenti o esportati all'estero).
Secondo i più accreditati testi di macroeconomia
(Blanchard) esistono principalmente tre
diverse modalità per pensare al PIL all’interno di un sistema economico:
1) Il PIL è il valore dei beni e servizi finali prodotti in un’economia in un
dato periodo di tempo: questa è
la maniera che abbiamo usato fin qui per definire il PIL, intendendo per beni e
servizi finali tutte le materie prime o i prodotti finiti destinati al consumo
da parte dell’acquirente finale, all’investimento o all’esportazione. Dal
computo del PIL vengono quindi esclusi tutti quei beni intermedi o semilavorati
che dalle materie prime portano ai prodotti finiti, per evitare duplicazioni
degli stessi valori.
2) Il PIL è la somma del valore aggiunto nell’economia in un dato periodo di
tempo: questa
definizione discende dalla prima e sottolinea la necessità di escludere dal
computo i beni intermedi per evitare duplicazioni. Il semplice esempio del pane
può essere utile a capire come funziona il meccanismo: il grano (materia prima)
e il pane (prodotto finito) rientrano nel calcolo del PIL, mentre la farina
(bene intermedio) no, perché in caso contrario verrebbe conteggiata due volte
(nel valore della farina venduta ai panettieri e nel costo del pane venduto ai
consumatori finali).
3) Il PIL è la somma dei redditi di tutta l’economia in un dato periodo di
tempo: in questo
caso bisogna effettuare alcuni passaggi che una volta conclusi daranno la
perfetta equivalenza fra il PIL, come definito al primo punto, e la somma dei
redditi effettivamente percepiti dai lavoratori e i profitti delle imprese.
Nell’attività produttiva infatti si sopportano costi per l’acquisto di beni e
servizi da consumare o trasformare (i consumi intermedi) e costi per la
remunerazione dei fattori produttivi (capitale e lavoro): se noi sottraiamo dai
costi della produzione il valore dei consumi intermedi avremo al netto la somma
delle retribuzioni dei fattori (ovvero i profitti delle imprese e i salari dei
lavoratori)
Partendo da questa ultima accezione del PIL,
equivalente al reddito nazionale di
un certo paese, possiamo fare subito una considerazione importante: se la gente non spende, non acquista beni e
servizi, nessuno potrebbe percepire alcuna tipologia di reddito, né sotto
forma di salari dei lavoratori e profitti delle imprese, né come tasse sul
reddito da corrispondere al governo. Senza la spesa e il consumo immediato o
ripartito nel tempo, l’economia in un
certo senso si fermerebbe, perché giusto o sbagliato che sia, nel mondo
moderno lo sviluppo economico di un determinato paese dipende dalla quantità e
dal valore delle transazioni finanziarie
che vengono effettuate in un dato periodo di tempo. Il baratto
e l’autosostentamento, per quanto
pratiche eticamente corrette ed encomiabili che avvengono in assenza di
passaggio di soldi, non rientrando nel conteggio del PIL non consentirebbero
una sufficiente ed efficace redistribuzione
dei redditi a tutti indistintamente: in fondo, eliminate le transazioni
finanziarie in moneta, quali operatori economici potrebbero accedere al baratto
o assicurarsi l’autosufficienza? Soltanto coloro che sono già in possesso dei mezzi produttivi (terreni, uffici,
macchinari, competenze) per fabbricare beni o fornire servizi in autonomia da
utilizzare negli scambi, mentre tutti gli altri sarebbero esclusi dal commercio
e destinati alla fame. Può essere gestita male o bene, ma la moneta a questo
serve: a facilitare gli scambi e a consentire a tutti, proprietari, detentori
di capitale, prestatori di manodopera, percettori di reddito pubblico, di
rientrare nel sistema dei commerci che caratterizza il paese di appartenenza.
Ora possiamo discutere quanto vogliamo
sull’opportunità di affiancare al PIL, che misura il reddito finanziario di una
nazione, altri parametri, come il FIL
(Felicità
Interna Lorda), che ignorano del tutto gli andamenti degli indici
economici e sono molto più coerenti nella misura dello stato di salute e
benessere dei cittadini, ma ciò non toglie che il PIL rimarrà un elemento fondamentale e imprescindibile nella
contabilità nazionale, perché consente ai funzionari dello stato di
valutare la ricchezza finanziaria disponibile a cui rapportare le altre
grandezze di riferimento, di procedere ad una corretta gestione delle politiche
di sviluppo sostenibile da perseguire e di applicare i regimi di tassazione più
adeguati per favorire una migliore redistribuzione dei redditi. Perché in fin
dei conti l’economia è un numero e
se quel numero non lo abbiamo, per svogliatezza o convinzione propria, non
possiamo fare nessuna analisi o considerazione
quantitativa sull’effettiva ricchezza fisica che circola nel nostro paese o
programmare ciò che è più corretto e ammissibile prevedere per il futuro. Se il FIL ci fornisce una serie di valori qualitativi utili a capire come
il soggetto percepisce la sua esistenza all’interno della comunità (standard di vita basilari, differenza e diversità culturali, ricchezza di
emozioni e sentimenti, salute fisica e mentale, livello di istruzione e di
cultura, gestione del tempo e progettualità di vita, ambiente ed ecologia,
grado di attività e partecipazione), il PIL rimane l’unico indicatore che ci
dice oggettivamente quanto mangiano i cittadini? Come mangiano? Troppo o troppo
poco? Quali beni consumano maggiormente? Come si procurano il reddito? Quanto
reddito pro-capite hanno mediamente a disposizione? Come stanno investendo per
rimanere al passo con la migliore tecnologia produttiva?
La questione
dell'attendibilità del PIL come effettivo misuratore del benessere di un paese è molto annosa e controversa
(basta solo ricordare il celebre discorso pronunciato dal senatore Bob Kennedy, poco prima di essere
assassinato nel 1968) e meriterebbe ben altro spazio. Come abbiamo già visto,
il PIL è la somma di tutto ciò che viene prodotto, acquistato e consumato
all'interno di un paese, a prescindere dalla reale utilità o pericolosità dei beni o servizi prodotti. Nel
conteggio del PIL rientra un pò di tutto: le spese sanitarie, i farmaci, le
armi, la benzina, l'inquinamento, le catastrofi naturali e finanche
la morte, perchè morire comporta una spesa e quindi il suo costo viene
subito valorizzato come ricavo dell’agenzia di pompe funebri. Altra
faccenda molto contraddittoria è che il PIL valuta soltanto le transazioni in denaro e quindi non
include tutte quelle attività fornite dal volontariato
e dalle società no-profit, che alla fine creano la vera ricchezza e coesione di
un paese. In buona sostanza, molto spesso per far crescere il PIL non serve
essere generosi e solidali, ma è più importante essere avidi, ingordi,
egoisti e questo non depone di certo a favore del misuratore in questione, che
come tutti gli altri indici utilizzati in economia, deve essere trattato per
quello che è: un numero, un semplice numero neutro che fornisce indicazioni
utili di contabilità da cui poi devono essere sempre gli uomini a trarne le
conseguenze.
Riallacciandosi a questo discorso, al valore puramente
numerico e indicativo del PIL, risulta molto interessante rileggere con
attenzione ciò che scrive sul sito New Economic Perspectives l’economista
americana Stephanie Kelton, uno dei
più autorevoli esponenti del movimento Modern Money Theory MMT dell’Università del Missouri. La Kelton comprende lo
scetticismo di chi pensa che l’aumento della spesa non sia di grande aiuto per
l’economia, perché collegata in qualche modo con l’accumulo di maggior debito.
In particolare, se ci limitiamo al solo debito pubblico, le intenzioni di dare
lavoro ad un maggior numero di americani per investire nelle infrastrutture,
nel sistema educativo, nell’innovazione energetica etc possono rivelarsi uno
stimolo poco efficace, perché quando si spende troppo, ci si indebita sempre di
più e questo non è il modo giusto per far crescere l’economia. La risposta
della Kelton è molto sintetica e lapidaria: la spesa non è il modo giusto
per far crescere l’economia, ma è il solo
modo che noi conosciamo. Riprendendo la diretta relazione che esiste fra la
spesa di qualcuno e il reddito di qualcun altro, se nessuno spende non si può
avere in alcun modo una crescita complessiva del reddito nazionale, alla faccia
di tutti gli imbonitori stralunati e tecnocrati del nulla che imperversano in
Europa, secondo cui un taglio della
spesa a tutti i livelli (e della spesa pubblica in particolare), una
riduzione dei salari dei lavoratori, porterà prima o dopo (guarda caso, non
dicono mai quando e rimangano sempre vaghi sulle modalità) ad una crescita del PIL.
Ciò è impossibile, per una semplice ragione contabile,
aritmetica. Essendo il PIL un numero che serve a misurare l’economia, e
ricordando che questo numero si ottiene come somma di tutte le spese (a prezzi di mercato) per nuove produzioni di
beni e servizi effettuate dagli utenti finali, se queste spese per una
ragione o per un’altra non vengono fatte, il PIL sarà destinato a contrarsi nel
tempo, i redditi diminuiranno, le imprese aumenteranno le scorte, ridurranno la
produzione e saranno costrette a licenziare, creando le condizioni per un
ulteriore contrazione del PIL nell’anno successivo. Ma se il PIL misura quanti soldi vengono spesi nell’economia, chi sono
gli utenti finali che spendono? Siamo noi. Tutti noi. La nostra famiglia,
la famiglia del nostro vicino di casa, l’intero settore privato che nella spesa per consumi finali (C)
normalmente acquista circa il 70% del prodotto interno di un paese. Poi abbiamo
le spese per investimento (I)
effettuate dalle aziende per costruire fabbriche, uffici, ampliare capannoni,
acquistare computer e macchinari che ci serviranno per costruire nuovi
prodotti. Le spese del governo (G)
che servono per pagare gli stipendi dei lavoratori pubblici, i materiali di
consumo usati negli uffici statali, i letti di ospedale, le infrastrutture
stradali, ferroviarie ed energetiche. Infine ci sono le spese incrociate con il resto del mondo (X-M) che indicano quanti beni
e servizi importiamo dai produttori stranieri (vacanze all’estero, viaggi
d’affari, automobili tedesche o giapponesi) e quanti prodotti locali esportiamo
ai governi, alle imprese e ai consumatori stranieri.
Il fattore esportazioni
nette (esportazioni-importazioni) rientra sia nel PIL, per circoscrivere il
solo prodotto interno nazionale, che nel conto
delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, per misurare il saldo commerciale con l’estero e la
propensione dei residenti a consumare, risparmiare e investire utilizzando
principalmente prodotti e servizi locali oppure esteri. Raccogliendo in
un’unica formula l’insieme di queste spese, avremo la classica relazione keynesiana che definisce il PIL come reddito
nazionale percepito dalle famiglie e dalle imprese in un determinato paese
equivalente alla somma di tutte le spese:
Y = C + I + G + (X-M)
Come si fa allora a far crescere
l’economia? Aumentando
il nostro PIL. E come facciamo ad
aumentare il PIL? Aumentando la combinazione di uno o di alcuni dei quattro
componenti del PIL elencati sopra. Non ci sono altre scorciatoie o passaggi
intermedi. Senza l’aumento di uno o più componenti della spesa totale, non
avremo mai un aumento del PIL. Poi possiamo ragionare sull’opportunità di far
aumentare o meno il PIL, seguendo le indicazioni accattivanti della decrescita felice, ma non possiamo
lamentarci se i nostri redditi per
comprare beni di prima necessità o semplici accessori diminuiranno perché
la matematica, così come la natura, non è un’opinione e non fa salti: se A+B=C
e diminuiamo contemporaneamente A e B, C si ridurrà della stessa quantità. Punto.
Meglio saperlo prima che rimanere sorpresi dopo, quando ci ritroveremo senza
soldi per comprare il pane. Se analizziamo infatti la relazione annuale
aggregata di contabilità nazionale degli Stati
Uniti (vedi documento sotto), noteremo che anno per anno il PIL è uguale al centesimo alla somma delle
quattro componenti di spesa citate. In particolare per l’anno 2011 avremo:
C) Spesa per consumi finali: $10.722,6 miliardi
I) Spesa per investimenti: $1.913,6 miliardi
G) Spesa del governo: $3.029,7
miliardi
NX) Esportazioni nette: -$578,2
Y) PIL=10.722,6+1.913,6+3.029,7-578,2=$15.087,7
Ora però arriva la parte difficile del discorso. Nella
situazione attuale di recessione, stagnazione
o crescita debole diffusa sia negli Stati Uniti che in Europa, quale
settore può permettersi di aumentare la spesa per rilanciare l’economia e far
crescere il PIL? Vediamo nel dettaglio i nostri quattro settori e le diverse
opzioni che possiamo valutare:
1) Settore delle famiglie: attualmente sta procedendo al rimborso dei debiti contratti in passato (deleveraging), vive nell’incertezza di perdere
il lavoro o parte del reddito, preferisce risparmiare per affrontare meglio le
difficoltà future
2) Settore delle imprese: nonostante le migliori condizioni di prestito (almeno sulla carta, perché
sappiamo che poi le banche usano altri criteri per valutare il merito di credito
di una specifica azienda) e la montagna di soldi che circola nel mercato
finanziario dopo le iniezioni monetarie delle banche centrali, le imprese sono
molto titubanti ad affrontare nuovi investimenti perché data l’enorme incertezza
dei mercati e il calo dei consumi hanno
pessime previsioni sui ritorni economici futuri dell’investimento.
3) Settore del Governo: è l’emittente unico e monopolista della propria moneta, che può spendere
come e quando vuole, anche e soprattutto nei periodi in cui l’economia ristagna
e gli altri settori non possono e non vogliono spendere (almeno negli Stati
Uniti, che sono ancora una nazione sovrana, mentre nell’Eurozona ciò non può
più avvenire, perché l’emittente unico e monopolista della moneta è diventato
un ente esterno, autonomo e indipendente dal Governo, che è la Banca Centrale
Europea, BCE)
4) Settore estero: sappiamo
che i paesi emergenti come Cina, India, Brasile, Russia stanno rallentando la
loro crescita, l’Eurozona tranne Germania, Finlandia, Olanda (la cui
contrazione dell’economia e della produzione è ormai acclarata dai numeri) è in
piena recessione o stagnazione, gli Stati Uniti hanno un ripresa debole. Come
possiamo sperare di aumentare la spesa del settore estero, quindi le nostre
esportazioni, in queste prospettive di recessione globale.
Non serve dunque un fulmine di guerra in economia o
matematica per capire che oggi come oggi soltanto il settore governativo potrebbe dare una svolta decisa al declino che
si prospetta davanti a noi. Sempre che ciò si possa ancora fare, perché già
sappiamo che i paesi dell’eurozona hanno deciso politicamente di impedire la
possibilità di spesa a deficit del governo per imporre la disciplina del pareggio di bilancio in costituzione (“castrandoci nei secoli di ogni possibile
politica economica” usando le parole del segretario del PD Pierluigi
Bersani, guarda il video datato agosto 2011, che con la coerenza che contraddistingue tutto il suo partito di
pseudo-sinistra ha poi votato in parlamento la modifica dell’articolo 81 della
costituzione ad aprile scorso, per inserire appunto la norma del pareggio di
bilancio). Si tratta ovviamente di scelte
politiche e non economiche che contrastano apertamente con le regole di
contabilità spicciola di cui abbiamo parlato sopra e tuttavia, avendo appurato il palese errore politico, nessuno può escludere che in futuro si possa tornare
indietro sui nostri passi, rinunciando non solo al pareggio di bilancio ma
anche alla forzatura innaturale di una
moneta unica gestita da un ente esterno al governo nazionale. Se anche il Fondo Monetario Internazionale in un
suo documento ufficiale ci ricorda che l’austerità,
intesa come politica di consolidamento dei conti pubblici in periodo di
recessione, favorisce la contrazione
della domanda interna e del PIL, significa che di fronte all’evidenza dei
numeri anche le menzogne dei ciarlatani e dei politicanti di turno sono
costrette ad arretrare.
Questo lungo ragionamento sul PIL serve in pratica per
respingere non solo l’efficacia ma anche l’esistenza della cosiddetta “austerità
espansiva”, ovvero la possibilità di aumentare la crescita economica
aumentando sia i tagli alla spesa pubblica che le tasse, relegandola al novero
delle scempiaggini senza senso,
perché contraddice lo stesso meccanismo
matematico-logico con cui abbiamo definito il PIL: l’aumento delle tasse si riflette su una maggiore riduzione dei
consumi (C), perché le famiglie hanno meno soldi da spendere, il taglio della spesa pubblica (G) ha un doppio
effetto recessivo perché incide negativamente sul PIL sia in modo diretto che in
modo indiretto, dato che le famiglie e le imprese riceveranno meno soldi dallo
stato per i consumi (C) e gli investimenti (I). La favola che viene ripetuta ad
oltranza da tutti i tromboni
dell’attuale regime (tecnocrati, politicanti, giornalisti, sindacalisti,
imprenditori) secondo cui “la prima
azione da fare per favorire la crescita economica nel paese è la riduzione del
debito pubblico” è appunto una favola strumentale, che serve ad
avvantaggiare certi interessi di casta rispetto al benessere della
collettività. Perché in un paese “normale”
il debito pubblico, così come il PIL, è un semplice numero neutro della
contabilità nazionale che è messo lì senza dare fastidio a nessuno e ha anzi un
rapporto diretto di tipo espansivo con la crescita economica: più aumenta la
spesa pubblica, più si riducono le tasse, più aumenta il debito pubblico e di
conseguenza cresce il PIL del paese. Sono le azioni di contrasto all’aumento del debito pubblico accompagnate da
rigide norme di austerità che
causano la contrazione economica e
non il valore assoluto del debito
pubblico, come molti vogliono farci credere, che è in se un numero abbastanza insignificante, dato
che anche per il debito pubblico vale la solita regola di capire come e con chi
è stato creato per valutarne l’efficacia o la pericolosità.
Ancora una volta, non si tratta di curiose teorie
economiche che fanno storcere il naso ai benpensanti, perché in verità non ci
stiamo inventando nulla, ma sono sempre i numeri a parlare. Se poi l’Italia si trova ingabbiata nella trappola
neoliberista e recessiva dell’eurozona, perché il suo governo ha deciso
qualche decennio fa di adottare una moneta straniera e di chiederla in prestito
ai mercati per ogni singola necessità di spesa, privandosi per sempre del
supporto della sua banca centrale di emissione per finanziare i deficit di
bilancio, questo fatto rientra come detto nella fattispecie delle scelte politiche che contrastano apertamente con
i freddi dati della contabilità nazionale. Inserita in una simile struttura,
era quasi certo che l’Italia, così come tutti gli altri paesi della periferia
che non hanno saputo combattere adeguatamente la guerra fratricida tutta interna all’eurozona contro i paesi
mercantilisti più organizzati nelle esportazioni (Germania e Olanda
soprattutto), prima o dopo sarebbe andata incontro ad una recessione, dalla quale sarebbe poi stato impossibile uscire, se
non cambiando le regole stesse del sistema. Non deve quindi stupire che
l’Italia sia ormai incastrata nella spirale
della crescita zero da almeno trenta anni (con picchi positivi che non
superano il +2 dal 2000, e il clamoroso picco negativo del -5% del 2009) o che
l’austerità con cui si è cercato disperatamente e ostinatamente di contrastare
la diffusione della crisi finanziaria del 2008 abbia prodotto nell’eurozona gli
agghiaccianti dati di disoccupazione
giovanile riportati nel grafico sotto (con punte preoccupanti superiori al
50% della forza lavoro attiva, in Grecia e Spagna, e al 30% in Italia,
Portogallo e Irlanda). Era normale che ciò accadesse, perché rientrava
nell’ordine delle cose e dei “numeri” della contabilità nazionale.
Che poi tutte queste norme di austerità siano invece una pacchiana macchinazione per coprire la volontà della nostra classe
dirigente, formata da banchieri e da uomini vicini all’ambiente finanziario, di
rimborsare in fretta i grandi creditori dello stato prima che il giocattolo si
rompa o di rimarginare i buchi di bilancio
delle banche private causati dalla loro gestione dissennata, questo è tutto
un altro discorso e rientra più nei crimini
che andrebbero perseguiti per legge (vedi i processi ai dirigenti dei
grandi gruppi finanziari e bancari, ritenuti i maggiori responsabili della
crisi dei subprime del 2007, che si
stanno celebrando oggi negli Stati Uniti), rispetto alle normali regole
dell’economia.
E’ notizia di questi giorni che anche il governo francese, guidato dalla pseudo-sinistra di Hollande e del ministro delle finanze Moscovici, si stia adoperando per
mettere in sicurezza una delle principali banche specializzate in mutui
immobiliari, la 3CIF del gruppo CIF (Credit Immobilier de France), apponendo la garanzia statale sulle emissioni obbligazionarie e sui prestiti della
banca (ovvero se la banca non riesce a rimborsare le sue obbligazioni in
scadenza pagano i cittadini o se i debitori non rimborsano le rate del mutuo
alla banca, i cittadini tutti si sostituiscono ai titolari insolventi pagando
la banca) o addirittura nazionalizzando
direttamente la banca, ai cui vertici è già stato messo un uomo vicino al
governo. Così come aveva fatto a suo tempo il governo americano con Fannie Mae e Freddie Mac, il governo belga con Dexia, il governo italiano con Banca
Monte Paschi di Siena, il governo spagnolo con Bankia e le altre banche
fallite, il governo irlandese con il suo intero sistema finanziario in bancarotta. Per chi non lo avesse
ancora capito a questo serve l’austerità: i governi nazionali si espongono per
coprire le banche e successivamente i cittadini devono pagare per coprire
queste esposizioni e ridurre i disavanzi pubblici che si sono vertiginosamente
allargati (che per intenderci sono soldi letteralmente bruciati che non
producono reddito e non vengono conteggiati nel PIL nazionale, alla voce Spese
del Governo).
Il caso italiano in questo senso è il più eclatante di
tutti, perché il ministro dell’economia
Grilli, che aveva già concesso la garanzia sulle emissioni e i prestiti bancari con il decreto Salva-Italia (già ribattezzato non a torto Salva-Banche), ha deciso di procedere con meno prudenza e tatto rispetto al collega
francese, contando forse sulla maggiore
apatia e complicità dell’opinione pubblica nostrana: lo stato italiano ha
comprato circa €3 miliardi di obbligazioni dalla Monte Paschi di Siena ad un
valore ampiamente sopravvalutato e la banca senese utilizzerà questi soldi sia
per ricapitalizzarsi che per acquistare titoli di stato ad un rendimento
maggiore, guadagnando subito sullo scarto di interesse (la Monte Paschi pagherà
per esempio all’1% le sue obbligazioni allo stato e incasserà al 2%, 3%, 5%, 6%
i titoli di stato di diversa durata acquistati). Una forma di nazionalizzazione mascherata, in cui a
pagare saranno sempre e solo gli ignari cittadini (con la solita formula della socializzazione delle perdite e
privatizzazione dei profitti) e a guadagnare invece saranno i banchieri vicini
agli ambienti di governo (vedi l’attuale presidente della Monte Paschi Alessandro Profumo fratello del ministro dell’istruzione Francesco Profumo). E tutto questo viene condito con i soliti
annunci di austerità e contenimento della spesa pubblica, aumento delle tasse,
manovre deliberatamente recessive che si rendono necessarie non perché la
disciplina economica le richiede, ma perché il governo ha già preso precisi impegni per salvare le sue banche,
rimanere nella gabbia fascista dell’euro
(Fiscal Compact e MES), garantire il pareggio di bilancio entro il 2013. Non c’è nulla di “economico” in tutto questo, ma ogni
tassello fa parte di un chiaro disegno di espropriazione della ricchezza dalla cittadinanza e di occupazione totalitaria e finanziaria di
quelle che un tempo erano istituzioni democratiche e sovrane dello stato
(ministeri, parlamenti, banche centrali, associazioni di categoria).
Come abbiamo già detto in altre occasioni, l’unico
elemento o variabile indipendente che potrebbe mandare all’aria i piani dei
tecnocrati e banchieri europeisti è il grado
di sopportazione della gente e la coesione
sociale che verrà messa a dura prova ancora per lungo tempo (almeno fino al
crollo definitivo dell’euro, evento questo sempre allontanato ma mai
scongiurato dalle iniezioni monetarie antispread della BCE) con graduale
riduzione del tenore di vita, tasse, tagli ai servizi pubblici e tentativi di
estorsione in piena regola dei redditi e dei risparmi. In un recente studio del CEPR (Center for Economic Policy Research) dal titolo emblematico “Austerità
e Anarchia”, due economisti hanno analizzato i dati dal 1919 al 2008 in
Europa per verificare la relazione fra la riduzione
forzata della spesa pubblica e le manifestazioni,
i disordini sociali, le sommosse, gli scioperi generali, evidenziando un aumento significativo di questi
eventi in corrispondenza di una maggiore riduzione della spesa pubblica dall’1%
al 5% (vedi grafico sotto).
Poteva essere altrimenti? Se tu continui a sottrare ininterrottamente
reddito e occupazione ai cittadini, non è normale che prima o dopo la gente
scenderà in strada per protestare? Per quanto riguarda l’eurozona, e l’Italia
in particolare, la questione ormai non è più se ci stiamo infilando in un vicolo cieco di instabilità sociale,
dato che evidentemente è così, ma quando verrà raggiunto il punto di rottura (in tutti i sensi) e
la gente, i lavoratori, i disoccupati, i pensionati muteranno il loro
atteggiamento dalla passiva
sopportazione all’aperta contestazione. Se arrivati a quel punto, le
persone avranno capito che la loro indigenza è causata da un diabolico sistema monetario che aumenta
gli squilibri sia interni che esterni
ad ogni paese e impedisce a monte qualsiasi intervento dello stato per risanare questi squilibri, allora la
rivendicazione non sarà più solo vagamente indirizzata alla richiesta di lavoro
e diritti in generale, ma alla fine
dell’adozione irresponsabile di una moneta straniera come l’euro e ad un
ritorno ad una più naturale moneta sovrana e gestione pubblica dell’emissione. Perché se nessuno, per svariati
motivi, fornisce redditi sufficienti alla gente per comprare il pane, è chiaro
che deve essere lo Stato in ultima
istanza a dare questi soldi o a fornire ai suoi cittadini gli strumenti
necessari per produrre grano, farina e pane. Queste cose non sono invenzioni
estemporanee, ma vengono direttamente dai “numeri”
e dai “dati” della contabilità
nazionale. Dal PIL.
Piero, davvero ottimo per chiarezza analitica ed espositiva. (Mi) ci voleva
RispondiEliminaMah...io e te mi sa che abbiamo le idee abbastanza chiare...ma purtroppo ho l'impressione che molti ancora vagano nelle tenebre con i soliti "Più Europa!!!", "Stati Uniti d'Europa!!", La colpa è di Berlusconi!!!", "La colpa è di quella cattivona della Merkel!!!"....speriamo di riuscire a chiarire un giorno le idee anche a loro...che sono tanti, davvero tanti e tutti italiani brava gente...
EliminaCiao Piero,
RispondiEliminavorrei un commento da parte tua su questo articolo
apparso oggi:
http://www.repubblica.it/politica/2012/09/05/news/napolitano_non_dimenticare_i_meriti_dell_ue-41996304/
Si tratta dell'intervento del Presidente della Repubblica, il sig. Giorgio Napolitano che oggi ha partecipato a Merano alla cerimonia per il quarantesimo anniversario dell'autonomia della provincia di Bolzano.
Inizia così: "Non c'è dubbio che c'è stata una forte ripresa di fiducia verso l'italia, lo dicono tutti gli indicatori, anche per merito della personalità di Monti".
Scusa Piero, ma di che indicatori parla il Presidente della Repubblica?
Se ci fosse Paolo Barnard non avrebbe peli sulla lingua e tuonerebbe contro di lui...ed avrebbe ragione.
Io mi chiedo: " Come fa la massima carica di una Nazione a dare delle informazioni del genere al SUO Paese?".
Complimento ancora per il tuo OTTIMO BLOG.
Continua così perché ti considero veramente un punto di riferimento.
Michele
Ti do un solo aggettivo per definire Napolitano: ripugnante...il suo lavoro di tessitore del regime fascista di cui fa parte e che ha in gran contribuito a creare serve a stemperare i toni, a dare sicurezza ai cittadini, a ricucire gli strappi e a stigmatizzare tutto ciò che cerca di svincolarsi dal regime (vedi gli attacchi al movimento 5 stelle di Grillo)....
EliminaIn una qualsiasi dittatura, c'è sempre un funzionario che deve avere il compito di dire che tutto va bene anche quando le cose stanno andando malissimo, e in Italia questo compito è stata affidato a Napolitano...ora cercare di capire a quali indicatori si riferisca questo uomo indegno della sua carica è impresa ardua, perchè ogni settimana Istat e Banca d'Italia ci mettono al corrente che tutti i dati stanno peggiorando: disoccupazione, consumi, produzione, crescita, inflazione...l'unica consolazione è stato il saldo positivo della bilancia commerciale dovuto però alla svalutazione dell'euro e non ad un reale aumento di competitività e produttività delle imprese italiane...quindi o Napolitano deve fare pace con il cervello, cercando di rendere meno inverosimili le sue veline di regime, oppure si deve mettere in contatto con i funzionari dell'Istat e di Banca d'Italia per sapere come stanno effettivamente le cose nel paese in cui vive...l'unica consolazione è sapere che questo uomo indecoroso che ha sempre manovrato nell'ombra contro gli interessi del suo paese e del suo popolo sparirà dalla scena politica nel 2013...almeno uno ce lo leviamo di mezzo, anche se quelli che stanno dietro non promettono nulla di buono...anzi...
Non ci vedo nulla di fascista in Napolitano, ma molto del vecchio migliorista del PCI sponsorizzato dal CFR.
EliminaOvvero, è semplicemente quello che Berlinguer non ebbe il tempo di diventare.
Come non ci vedo nulla di fascista nell'idea effettivamente bislacca dell'"Austerità espansiva", dato che il grande merito di Mussolini (a meno di non voler essere trinariciuti e sciocchi) fu la creazione dell'IRI.
Io sono pienamente d'accordo con quello che dice Piero.
EliminaA proposto, leggi quest'altro articolo Piero:
http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=168991
La parte "migliore" dell'articolo è questa:
"E' vero che la "ripresa non la si vede nei numeri ma io invito a constatare che la ripresa, se riflettiamo un attimo, è dentro di noi ed è una cosa che adesso è
alla portata del nostro paese e credo anche che arrivera' presto". Lo ha detto il presidente del Consiglio Mario Monti in una intervista al direttore del Tg Norba 24 Enzo Magistà in vista dell'inaugurazione della 76° edizione della Fiera del Levante a Bari, venerdì.
Robbe da matti! Ci vuole un coraggio allucinante a pronunciare certe parole, soprattutto se sei il Presidende del Consiglio di un Paese che si chiama Italia.
Tu che ne pensi Piero?
Michele
Michele
@Cyrano
EliminaIn genere quando utilizzo il termine "fascista" non mi riferisco al fascismo storico italiano (riconosco anche io che Mussolini qualche merito e qualche credito nei confronti dello sviluppo economico del nostro paese ce l'ha...anche se in quanto statista e al modo sbrigativo in cui conduceva la politica estera ed intera, possiamo dire senz'altro che non ne sentiremo mai la mancanza...), ma un modo di intendere e intrattenere i rapporti politici e sociali autoreferenziale, totalitario e antidemocratico, del tipo: "si fa come dico io, perchè tu non capisci...", "io sono il bene (?) e la parta sana (?) di questo paese, quindi posso permettermi di prendere decisioni al posto tuo", "questo è un bene e questo è un male, perchè te lo dico io, quindi non c'è bisogno di iniziare un dibattito su questo argomento...", con questo metodo fascista il PD ha costruito tutte le sue fortune e Napolitano ne è un degno rappresentante...
@Michele
Cosa posso dirti??? Che Mario Monti è uno dei più grandi cialtroni che abbiamo avuto in Italia (dopo Prodi, ovviamente, il mortadella è insuperabile...) penso non ci siano dubbi...mi pare di sentire parlare "Quelo" di Corrado Guzzanti, quando diceva che "la risposta è dentro di noi, però è sbagliata!"...un comico praticamente!!! Che differenza c'è fra Monti di oggi e Berlusconi di ieri che diceva che la crisi non esisteva perchè i ristoranti erano pieni??? Nessuna, tutte e due patetici, falsi, ipocriti...solo che Monti viene ammantato da questa aurea mistica della rispettabilità e credibilità internazionale grazie al lavoro di propaganda di Repubblica, Corriere, Stampa, mentre Berlusconi era avversato dai giornali dei banchieri perchè appunto apprezzato negli ambienti della finanza che conta e troppo impelagato nelle sue beghe personale...ricordiamoci poi che Monti non è affatto un verginello della politica come vogliono farci credere, perchè è stato consulente al Ministero del Tesoro con Andreatta e con Pomicino per tanti anni, ed era presente e favorevole al famigerato divorzio fra Banca d'Italia e Tesoro nel 1981...quindi, è il caso più evidente di come sia facile in Italia, quando hai la stampa dalla tua parte, causare un problema e poi proporti agli ignari cittadini come la soluzione di quel problema che tu stesso hai causato...
favorevole al famigerato divorzio fra Banca d'Italia e Tesoro nel 1981...
Eliminain effetti la politica di monti è in perfetta continuita' dal 1981
-nel senso che fa l'interesse della grande finanza e dei rentiers -
con la differenza caro piero che nel 1981 probabilmente non veniva
salutato dalla folla della ^sinistra^ come il nostro uomo , il nostro leader
la cosa paradossale è che monti è diventato il beniamino della ^gente^ di sinistra
in italia (pazzesco)
Ti ringrazio per i tuoi splendidi e chiarissimi articoli non di parte.
RispondiEliminaRiesci sempre a fare chiarezza.
Grazie!
Grazie a te!!! Non so se quel "non di parte" era ironico, perchè chiaramente io mi sento eccome di parte...dalla parte delle costituzione sovrana del popolo italiano e dei diritti democratici fondamentali dell'umanità...quindi esattamente all'opposizione di tutti i partiti italiani di oggi, con l'eccezione del M5S, che ancora non ho capito bene da quale parte stia...e forse non lo capirò mai, visto che non ha intenzione di crearsi una classe dirigente seria e competente che spieghi ai cittadini quali sono le sue idee programmatiche di politica economica, politica estera, politica sociale, diritto costituzionale, politica del lavoro etc...insomma Grillo può essere utile per accalappiare qualche pesce nella rete, ma chi ha letto due o tre libri in più della media, lo sa che non si può governare una nazione complessa in un mondo complesso con due o tre post ben fatti in un blog...
EliminaPIERO PREMIER !
RispondiEliminaMah...io avrei preferito "Santo Subito!", perchè sai com'è l'eternità è lunga da passà...però mi accontento volentieri della carica di premier!!!
EliminaCaro Piero, la chiarezza epositiva è eccellente così come l'opera divulgativa. Il problema è far passare questo messaggio: in un paese arretrato per accesso alla rete e spesso facilmente manipolabile da grandi fratelli televisivi e/o giornalistici, l'unico modo per arrivare ad un punto di rottura è che aumentino le persone che si incazzano. Da noi l'unica strada sarà quella di non avere da mangiare o comunque avverrà nel momento in cui le persone saranno costrette a lavorare per pagare solo lo stato in tutte le sue forme dirette o indirette come Equitalia.
RispondiEliminaStoricamente l'italiano tende a ribellarsi dopo un pò alle dittature in tutte le sue forme e spero che anche questa volta non faccia differenza.
Io sono più che convinto che se vi fosse un politico con le palle, che spiegasse i pro e i contro dell'uscita dall'€, le persone forse maturerebbero l'idea. Io sono fra quelli che, prima di analizzare la cosa, non mi vergogno a dirlo, pensavo che la responsabilità dei nostri problemi fosse solo di B. (anche se continuo a non stimarlo per nulla..) e che l'avvento di Monti portasse una ventata nuova. Era esclusivamente un problema di mezzi di valutazione della cosa e ora riesco a vedere il tutto sotto un'altra luce.
Siamo in due...perchè anche io credevo fino ad una decina di anni fa che in Italia ci fossero i buoni (la sinistra, Repubblica, l'Espresso, Guzzanti, Santoro, Dandini etc) e i cattivi (la destra, il Foglio, il Giornale, Libero, Berlusconi, Ferrara, Belpietro etc), ma quando invece cominci a studiare meglio il contesto soprattutto bancario e finanziario internazionale, ti accorgi che sono entrambi portatori e difensori degli stessi interessi, a danno dei diritti democratici dei cittadini che vengono letteralmente calpestati...si tratta di un'èlite, un'oligarchia unica, compatta, che come tutti i gruppi di potere si divide al suo interno in fazioni, correnti, lobbies...queste opposizioni maldestramente ostentate in pubblico e manifestamente false servono a dare l'impressione ai cittadini che esista una vera democrazia, un dibattito, un'alternanza che in realtà non c'è e non è mai esistita, almeno in Italia (ma non è che all'estero vada molto meglio)...in questo gioco delle parti è fondamentale la manipolazione strumentale di tutti i mezzi di comunicazione, che devono essere abili a mascherare bene questa assenza di democrazia e ad impedire che qualcuno si interessi alle cose che contano davvero, deviando continuamente il dibattito su argomenti insignificanti...quindi a noi cittadini non rimane altro che rimanere vigili, attenti, obiettivi e per quanto possibile riuscire lentamente a togliere consenso all'oligarchia e a trovare le informazioni che contano da altre parti, sulla rete, su internet...in modo che quando la gente si ribellerà perchè gli mancherà il pane, ci sia qualcuno accanto che gli apra gli occhi e gli spieghi il motivo per cui gli manca il pane...oggi siamo in due a vedere il tutto sotto un'altra luce, ma domani chissà saremo in tre, quattro, cinque...le rivoluzioni che hanno avuto successo nella storia così avvengono, anche se rivoluzione, oggi come oggi, con tutti i mezzi di controllo e soppressione che esistono, è una parola più che mai utopistica e visionaria...nel 1789 la gente scese in strada perchè era affamata, ma se in mezzo a loro non ci fossero stati i vari Robespierre, Danton, Marat, che avevano abbastanza chiari i motivi per cui la gente era affamata, la rivolta sarebbe stata sedata nel giro di uno o due giorni...
EliminaCiao Michele,
RispondiEliminaIl famigerato ragionier Ugo, alias Mario Mont-ozzi, è di una COMICITA' ben superiore a quella fantozziana, è ai livelli di vertici Super-Mega-Iper-Galattici, saprebbe far morire dalla risate persino i pesci piragna, prima che lo divorino vivo!!!!
Adesso sembra vivere in una dimensione mistico-spirituale ai limiti della paranoia, indotta dall'assunzione massiccia di un cocktail micidiale di sostanze alluginogene:
"Non posso dire quando, ma grazie a Me ci sarà la ripresa",
"Io vedo la Luce",
"voi non capite nulla, la ripresa non è nei numeri, Ma E' Dentro di Noi"
adesso chissà quando dirà: "Io sento le voci Dentro di Me";
Prima ancora era stato addirittura escatologico all'inizio dell'anno:
"Grazie al Mio decreto sulle liberalizzazioni, il PIL crescerà dell'11%"
"Adesso grazie a me l'Italia è un Paese virtuoso, e siamo sulla via della crescita e dello sviluppo"
"D'ora in poi lo spread non salirà più, ma anzi continuerà a scendere"
"Con le misure approvate al vertice europeo di fine giugno, abbiamo ottenuto un grande successo, possiamo dire che siamo fuori dall'emergenza",
Cioè per lui l'approvazione del famigerato MES, sarebbe stato un grande successo per l'Italia, salvo poi fare una giravolta ad U, qualche settimana dopo, dicendo che sarebbe meglio, che l'Italia non facesse mai ricorso al MES!!!!
E' davvero un comico trafatto di roba davvero buona!!!!!!
saluti, Nicola.
Ci siamo caro Piero!!!!!
RispondiEliminaTi ricordi come all'inizio dell'anno, parlavamo del sogno incoffessabile dei banchieri di eliminare il contante, e avere solo moneta elettonica?
Ebbene, il governo dei dei Poteri Forti Internazionali, il governo Gold-Monti, si appresta a fare da apripista in Europa e nel Mondo, per materializzare tale sogno, naturalmente con la "nobilissima" scusa della repressione all'evasione fiscale. Ma come sono nobili questi banchieri!!!! Per il nostro bene e per colpa dell'evasione faranno la cosa giusta per loro!!!!
"Il governo vuol far sparire i contanti?
Dal 1° luglio 2013 tutti i commercianti e i professionisti dovranno dotarsi di una macchinetta per accettare i pagamenti elettronici per gli importi superiori a 50 euro (poi la soglia scenderà). Lo prevede una bozza del decreto sulla crescita all'esame del governo. Protesta Confcommercio: "Si riducano piuttosto i costi e le commissioni". E la Lega: "Il governo vuole uno stato di polizia"
link: http://www.ilgiornale.it/news/economia/governo-vuol-far-sparire-i-contanti-835241.html
saluti, Nicola
Che Monti sia una persona ridicola e impresentabile a livello tecnico, questo ormai lo abbiamo capito bene...ma purtroppo quelli che tengono le fila, i burattinai dei poteri forti, delle lobbies proprio di queste persone hanno bisogno, persone che hanno faccia tosta e non hanno paura di rendersi ridicole di fronte alla parte più sveglia dell'opinione pubblica...
EliminaSul fatto dell'eliminazione del contante certo che mi ricordo, come ricordo di quella indegna puntata di Report della Gabanelli dove si faceva un'altrettanta indegna pubblicità al passaggio al pagamento elettronico per stanare l'evasione fiscale...ma secondo voi i finanzieri possono davvero stare dietro a tutti i pagamenti che partono o arrivano nel circuito elettronico? Per capire chi sta pagando cosa e quando? E poi chi lavora in nero chiederà pure al datore di lavoro di dotarsi della macchinetta? E la vera evasione, non quella del bottegaio sotto casa, si combatte con una limitazione del genere? Ma chi è esporta capitali nei paradisi fiscali, cosa diamine gli importerà se in Italia dovrà pagare con il bancomat???
E' chiaro invece che questa proposta rientra nel piano ben noto di lasciare alle banche tutte le riserve di cui hanno bisogno per le loro speculazioni finanziarie, impedendo a noi di utilizzare parte delle loro riserve prelevando i soldi al bancomat...in questo modo, insieme alle limitazioni sul prelievo che possibilmente introdurranno in un secondo momento, il cerchio sarà chiuso, perchè saremo costretti a rimanere per forza all'interno del sistema bancario, qualunque cosa accada, e nessuno potrà farsi, come è legittimo che sia, una propria riserva di banconote, perchè diffida dall'operato delle banche...che avranno un controllo assoluto dell'intera massa monetaria circolante...per non parlare di tutte le commissioni e i balzelli che potranno liberamente applicare sui nostri conti correnti e sulle operazioni elettroniche di pagamento...ma serve ancora tanto per capire quali interessi difende questo criminale di Monti??? Ma quando la gente aprirà gli occhi???
la Gabanelli è montiani come pochi ...è una persona squallida lo è sempre stata
Eliminafino ho guardato un paio di serie di report nel passato (trovandole utili per farmi un
idea su zone d'italia che non conoscevo ) da un paio d'anni almeno è una trasmissione inutile e fasulla...
Ciao Piero,
RispondiEliminaoggi è apparso sul sito del sole 24 ore questo articolo:
http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-09-06/ecco-come-funzionera-scudo-153309.shtml
Si tratta del famigerato SCUDO ANTI - SPREAD.
Mi piacerebbe che spiegassi con la tua proverbiale saggezza
nonché perfetta e semplice esposizione,
come funziona tale meccanismo e perché è una misura che
non risolve il problema ma allunga solo l'agonia
di questa UNIONE MONETARIA EUROPEA.
Grazie,
Michele
Grazie per lo spunto Michele, perchè non avevo capito che chi aderiva al programma di acquisto sul secondario, doveva prima attivare il MES per il primario...in questo momento sto cercando di accumulare informazioni in giro (dai siti esteri soprattutto...), quando l'intera faccenda mi sarà più chiara, scriverò un articolo riepilogativo e descrittivo...ma la situazione è davvero ingarbugliata, quindi mi sa che questa volta la chiarezza andrà a farsi benedire...io ce la metto tutta per cercare di semplificare al massimo i discorsi, ma qui Draghi & C remano contro...e il motivo per cui complicano la vita alla gente è invece abbastanza chiaro... altroché se è chiaro!!!!
EliminaPerfetto Piero!
RispondiEliminaSe per caso non l'hai visto ti giro il link del video che ha fatto la sig.ra ISABELLA BUFACCHI
http://video.ilsole24ore.com/SoleOnLine5/Video/Finanza%20e%20Mercati/In%20primo%20piano/2012/bufacchi-bce-spread-6-set-12/bufacchi-bce-spread-6-set-12.php
nel sito de Il Sole 24 ore.
Grazie Piero per il lavoro che fai!
Michele
La spiegazione è molto chiara e ben fatta, ma come tutte le cose scritte dal sole24 è troppo di parte, evidenziando solo gli aspetti positivi (l'abbassamento degli spread) rispetto a quelli negativi (l'austerità ad oltranza imposta dalla trojka)...comunque grazie ancora per la segnalazione che mi è servita molto a mettere ordine nelle mie prime impressioni sulla manovra Draghi...
EliminaQuesto è il tuo Premier.
RispondiEliminaSono l’unico in Italia a dire queste cose. Vanno ripetute.
L’economista austriaco Friedrich August Hayek così definì il concetto di giustizia sociale:
una formula vuota… strettamente e interamente vuota e senza significato… (II: 68, 69, xi) - una frase che non significa assolutamente nulla… (II: xii, 33) - un antropomorfismo primitivo… (II: 62, 75) - una superstizione… (II: 66) - come credere alle streghe… (II: 75) - un incubo che oggi rende bei sentimenti come strumenti per la distruzione di tutti i valori della civiltà libera… (II: xii) - una insinuazione disonesta, intellettualmente sconcia, il segno di una demagogia e di un giornalismo squallido di cui gli intellettuali onesti dovrebbero vergognarsi… (II: 97).
(da Social Justice, Socialism and Democracy, di F. A. Hayek)
Hayek, l’economista più sociopatico della Storia, ispira il tuo Premier di oggi. Mario Monti è un suo adepto, ed è stato premiato per la sua dedizione all’austriaco nel 2005, col premio della Friedrich August von Hayek Foundation:
“Onoriamo oggi un uomo (Monti) che è stato fedele nelle parole e nei fatti ai principi di Friedrich August Hayek. La sua vita, il suo lavoro, e la sua personalità non potrebbero essere meglio caratterizzati e onorati se non da un premio che porta il nome del grande economista Friedrich August Hayek”.
Questo è il tuo Premier. Odia la giustizia sociale.
Tu sei uno qualunque, o tu sei stato licenziato, o tu stai fallendo, e tu ti chiedi perché si danno 1.000 miliardi di euro alle banche ma si tagliano le pensioni, i letti d’ospedale, gli stipendi dei padri di famiglia. Ti chiedi perché non esista più traccia di giustizia sociale nella tua vita. Rileggi sopra.
Paolo Barnard.
Fonte: http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=432
saluti, Nicola.
Ciao Nicola,
Eliminaavevo letto questo articolo su DEMOCRAZIA MMT ITALIA.
Non ho parole, veramente, sono rimasto ALLUCINATO!!
Se uno va su WIKIPEDIA e cerca FRIEDRICH AUGUST VON HAYEK
trova:
Friedrich August von Hayek (Vienna, 8 maggio 1899 – Friburgo, 23 marzo 1992) è stato un economista e filosofo austriaco, tra i più importanti economisti del XX secolo. Esponente storico del liberalismo, è stato uno dei più importanti rappresentanti della scuola austriaca ed uno dei MAGGIORI CRITICI DELL'ECONOMIA PIANIFICATA e centralista.
Sempre su WIKIPEDIA se uno cerca "ECONOMIA PIANIFICATA", tra i vantaggi di questa soluzione trova:
Lo stato ha una visione globale dell'economia e di conseguenza può dirigere le risorse nazionali in base agli specifici obiettivi del paese. La destinazione di ingenti risorse verso gli investimenti produttivi GENERA ELEVATI TASSI DI CRESCITA. Vi è la possibilità di subire in modo assai limitato gli effetti del ciclo economico. La domanda intermedia è infatti determinata dal sistema di pianificazione. Un'accorta allocazione del lavoro in base alle esigenze produttive e alle abilità dei lavoratori consente di EVITARE ELEVATI TASSI DI DISOCCUPAZIONE. Inoltre il reddito nazionale può essere distribuito PIU' EQUAMENTE oppure in base ai bisogni individuali.
Infine le ripercussioni sociali del processo di produzione e consumo (ad esempio gli effetti sull'ambiente) possono essere ridotte, a patto che lo stato sia in grado di prevederle e valutarle correttamente.
Non penso serva aggiungere altro.
Un saluto sia a Nicola che a SUPER Piero!
Michele
Mi sembra ottimo ricordare sempre da quali premesse partono questi criminali...distruggere le democrazie perchè alla fine della fiera favoriscono una distribuzione più equa delle risorse...l'oligarchia invece da loro proposta ed attuata sta raggiungendo ad uno ad uno tutti gli obiettivi che si erano preposti: ridurre i salari e i diritti dei lavoratori, impedire allo stato che potesse intervenire in materia economica per riportare un certo equilibrio nella distribuzione della redditi, spostare grosse quantità di denaro dal sistema produttivo e dei profitti a quello speculativo-finanziario e delle rendite... insomma il loro piano è stato realizzato, ma non hanno messo bene in conto, secondo me, la reazione del popolo, che prima o poi, fra uno, due, tre anni ci sarà...come sempre è avvenuto nella storia quando un oligarchia ha troppo esagerato con la mano pesante e la dittatura...
EliminaSegnalo un'articolo francamente inquetante:
RispondiEliminaMorgan Stanley is Insolvent – Only a Matter of Time Before Total Financial Collapse
Fonte: http://occupycorporatism.com/morgan-stanley-is-insolvent-only-a-matter-of-time-before-total-financial-collapse/
Speriamo che sia tutto falso, altrimenti non oso immaginare il caos globale che si scatenerebbe!!!
saluti, Nicola.
Sarà per questo che la FED si prepara a mettere mano ad un altro QE3???? Forse questa volta bisogna salvare Morgan Stanley??? E chi sarà poi il prossimo???
EliminaMi pare interessante questo articolo http://www.ilponterivista.com/article_view.php?intId=78 (riportato da http://www.main-stream.it/ ) risalente all'entrata dell'Italia nello SME, in cui i problemi che oggi si presentano in forma drammatica con l'euro erano già presenti allora, e la classe politica era consapevole dei grossi sacrifici che la moneta unica avrebbe imposto agli italiani. Singolare poi il fatto che il Monti del 1978 era perplesso e riluttante a entrare subito nello SME ("Arduo con la nostra inflazione assumere vincoli di cambio"), e Napolitano, sì proprio lui, nel suo intervento alla Camera disse che le regole dello SME avrebbero prodotto una "perdita di competitività" delle industrie italiane e comportato "la necessità di adottare drastiche politiche restrittive". Poi, lungo la via di Damasco (quella che porta a Berlino e a New York), hanno avuto entrambi la "rivelazione".
RispondiEliminaInteressantissimo articolo, che fa vedere chiaramente come anche all'epoca dell'entrata nello SME il dibattito fosse molto acceso e le perplessità fossero molto motivate...singolare il fatto che i tecnici, gli economisti veri fossero quasi tutti contrari allo SME, mentre favorevoli all'entrata erano soprattutto i politici, che in buona o cattiva fede consideravano le ragioni tecniche secondarie rispetto a quelle politiche di maggiore integrazione europea, che avrebbero dovuto portare a questa fantomatica "Europa Federale" o gli "Stati Uniti d'Europa" (ancora stiamo aspettando, ma questa di questa mitica unione politica ancora non se vede l'ombra...anzi...)...
EliminaSu Monti e Napolitano invece stendiamo un velo pietoso...diciamo che come dici bene da Wall Street, da Berlino e da Washington sono arrivate le illuminazioni sulla via Damasco di questi due mercenari che hanno sempre agito nell'ombra e palesemente per difendere gli interessi stranieri in Italia e non il contrario...
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=-AF13ej-vDg
RispondiEliminaIl 18 Marzo del 1968 Robert Kennedy pronunciava, presso l'Università del Kansas, un discorso nel quale evidenziava, tra l'altro,
l'inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere delle Nazioni economicamente sviluppate.
Tre mesi dopo veniva ucciso durante la sua campagna elettorale che lo avrebbe probabilmente portato
a divenire Presidente degli Stati Uniti d'America.
Ecco il testo tradotto:
Non troveremo mai un fine per la Nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico,
nell'ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, nè i successi del Paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.
Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei
fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro che cercano di forzarle.
Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini.
Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare
la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte e non fa che aumentare quando sulle
loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago.
Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici
dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali né dell'equità nei rapporti fra di noi.
Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al
nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.
Robert Kennedy
Mi piacerebbe che il nostro Piero parlasse di quali indicatori potrebbero essere utilizzati in alternativa al PIL e come, secondo, tali nuovi indicatori, le nazioni verrebbero classificate.
Grazie,
Michele
L'unica alternativa che proporrei al PIL è il PIL stesso, perchè non esistono alternative alla possibilità di misurare la ricchezza finanziaria di una nazione...se invece crediamo di misurare il benessere e la salute psico-fisica dei cittadini allora ci sbagliamo di grosso, perchè il PIL non serve affatto a questo e bisognerebbe affiancare al PIL il FIL, come già è stato proposto in molti paesi e alcune nazioni in via sperimentale stanno già facendo (vedi la Francia, e il piccolo principato del Bhutan, che è all'avanguardia da questo punto di vista...
EliminaPer me quello che andrebbe eliminato è invece l'associazione fra altri indicatori come debito pubblico/PIL come misuratori dell'efficienza e virtuosità di un paese, perchè in realtà spesso è proprio il contrario: il paese sovrano che riesce a spendere di più e meglio i suoi soldi è anche il migliore, perchè il debito pubblico è un dato contabile che non ha alcun valore dal punto di vista della sostenibilità o solvibilità di un intero sistema paese...per quanto riguarda la misurazione dell'efficienza di uno stato in un sistema privo dell'assillo puramente demagogico e propagandistico del debito pubblico, io agirei così: invece del rapporto debito/PIL, che non avrebbe più senso, si dovrebbe utilizzare il rapporto Spese Energia/PIL, in questo modo lo stato virtuoso risulterebbe quello che mantiene un buon livello di sviluppo economico e commercio (PIL) minimizzando le spese per l'energia (riduzione dei consumi energetici, miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici, utilizzo di energie rinnovabili e riduzione del ricorso agli idrocarburi, che con il tempo diventeranno sempre più costosi)...analogamente, a parità di spese energetiche, lo stato più virtuoso sarebbe quello che riuscirebbe a massimizzare la sua capacità produttiva (aumento del PIL, piena occupazione, efficienza delle infrastratture, ottimizzazione dei trasporti, efficacia della spesa pubblica, aumento del saldo netto esportazioni-importazioni)...un modo razionale per legare l'economia di un certo paese con lo sviluppo sostenibile nel medio-lungo periodo...
Leggete questo articolo:
RispondiEliminahttp://www.linkiesta.it/fermare-il-declino-PIL-debito
Che ne dite?
Michele
Michele,
Eliminaho letto l'articolo che è interessante come puro esercizio di ragioneria, ma dal punto di vista pratico non serve a nulla, perchè l'economia non può essere trattata solo con numeri, previsioni deterministiche e calcolabili, ma bisogna mettere in conto anche tante altre variabili che sfuggono ai matematici, come i comportamenti di consumo e risparmio, la disoccupazione (guarda caso non menzionata nell'articolo), la riduzione del gettito dovuta al calo dei redditi e all'aumento dell'evasione, la fuga di capitali...
Molto più interessanti invece i commenti riportati in fondo all'articolo, che dimostrano come la propaganda di regime basata sui tagli di deficit non funziona più e qualunque taglio della spesa pubblica ha effetti recessivi sul PIL...ma poi cosa se ne farà mai di questi avanzi primari? Si aspetta che i mercati gli fanno l'applauso perchè ha raggiunto il 100% del debito/PIL? Forse al ragioniere sfugge che i mercati non investono più in Italia non perchè abbia i conti pubblici in disordine ma perchè non credono più nel sistema euro nel suo complesso, che è fondamentalmente recessivo e insostenibile...l'Italia a livello di conti pubblici ha fatto i salti mortali in questi ultimi venti anni, ma è il quadro generale della moneta unica, mancato coordinamento fra politica monetaria e fiscale, assenza di programmazione che non gli consente di ottenere vantaggi economici dal suo impegno inutile di risanamento...
Da manuale il commento di Roberto Seven, come anche molti altri riportati nell'articolo... chissà come ci sarà rimasto male il ragioniere neoliberista nello scoprire che ormai i loro trucchetti numerici e le loro alchimie da stregoni non acchiappano più nessuno...
@Michele
RispondiEliminaL'esatto contrario di quello che si dovrebbe fare. E' la ricetta neoliberista applicata da manuale.
Inizia già male dicendo che l'obiettivo è ridurre il deficit e le tasse, invece di tornare a crescere.
Ho scritto un commento che ribatte punto su punto, ma temo che non me lo pubblicheranno, vediamo.
Roberto Seven
Roberto, complimenti per il commento al ragioniere neoliberista...vale più delle mille chiacchiere e tabelle riportate dal ciarlatano di turno, che pensa solo che l'economia si migliori soltanto per virtù dello spirito santo riducendo i deficit pubblici...quando invece sappiamo che è esattamente il contrario!!! Comunque è apprezzabile il fatto che non ti abbiano censurato...
EliminaArticolo mainstream preoccupante: http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=169105....""Siamo in una fase pericolosa" perche' "in Europa c'e molto populismo che mira a disintegrare anziche' integrare e sono molto lieto che il presidente Van Rompuy abbia colto la mia idea di un vertice ad hoc", in cui si parli del fenomeno di "rigetto a cui stiamo assistendo": cosi' Monti durante l' incontro stampa con Van Rompuy.
RispondiEliminaIn Europa "c'e' il rischio che mentre la costruzione europea si perfeziona, si producano grandi, crescenti e pericolosi fenomeni di rigetto e di antagonismo"."....Che dire...non tollerano il dissennso questi umanoidi..L'idea parte da Monti...un summit per capire come bastonarci a dovere,,,Sono convinto che ci siamo beccati "il più invasato e fanatico"...premier d'Europa....è pericoloso...Prima o poi troveranno soluzioni per i blog con informazione "contro".
Linko una cosetta di Cesaratto...:http://temi.repubblica.it/micromega-online/i-draghi-e-i-focolai-della-crisi/. "I più grandi problemi che abbiamo sono: l'euro, lo spread e l'austerità...con l'acquisto dei titoli di stato si frena un pelino il secondo, dimenticandoci il primo e aggravando il secondo"...Condivido pienamente...
Stesse cose dice Brancaccio: http://www.emilianobrancaccio.it/2012/09/07/la-svolta-di-draghi-e-la-sovranita-nazionale/
Saluti Santo
Io tradurrei le preoccupazioni di Monti sull'anti-europeismo dilagante: "attenzione in Europa c'è troppa gente che comincia a ragionare con la sua testa, troviamo urgentemente un accordo per aumentare le dosi di propaganda, i programmi di disinformazione, le trasmissioni di Maria De Filippi...perchè se no questi scoprono il trucchetto dell'euro e cominciano ad incazzarsi sul serio..."
EliminaInteressanti come sempre le analisi di Cesaratto e Brancaccio, anche se sono spesso rivolte a far ragionare i piddini...cosa praticamente impossibile, perchè i piddini sono ormai irrecuperabili...