venerdì 31 agosto 2012

LA BCE DI DRAGHI PUO’ FRENARE GLI SPREAD MA NON LA RECESSIONE DELL’EUROZONA


La BCE viene ritenuta spesso il fattore determinante e risolutivo dell’attuale crisi finanziaria dell’eurozona. Sulla banca centrale di Francoforte sono puntati da tempo tutti i riflettori dei maggiori analisti e osservatori internazionali, come se dal consiglio direttivo della banca centrale possa improvvisamente uscire la soluzione ad ogni problema del vecchio continente: la bassa crescita, la disoccupazione, il calo della domanda e la conseguente riduzione della produttività, l’aumento delle esportazioni nei paesi extra-eurozona dovuto all’unica variabile che la BCE ha sempre osteggiato fin dal primo giorno della sua fondazione nel 1999, la svalutazione dell’euro. Insomma, molti si aspettano che la BCE possa tirare fuori da un giorno all’altro il classico coniglio dal cilindro, mettendo la parola fine sull’agonia lenta ma irreversibile che sta dilaniando tutti i popoli europei. Ma è davvero così? La BCE può davvero essere così decisiva nella partita che si sta giocando in questo momento fra la sopravvivenza e il crollo della moneta più sbagliata di tutti i tempi?


La risposta secca è abbastanza scontata: no. Ma ora cerchiamo di argomentarla. La BCE nasce come Banca Centrale Europea nel 1999, in vista appunto dell’introduzione effettiva dell’euro nei mercati commerciali (nei mercati finanziari e interbancari l’euro già si utilizzava) che sarebbe avvenuta tre anni dopo, e il suo scopo principale è come risaputo il mantenimento della stabilità dei prezzi, con un obiettivo dichiarato di tenere l’inflazione nel medio-lungo periodo intorno al 2%. Abbiamo già visto in altri articoli che in verità con le armi che ha oggi una banca centrale, la sua influenza sulle oscillazioni dell’inflazione è davvero irrisoria perché la banca centrale con le sue operazioni di rifinanziamento può solo immettere nuove riserve bancarie nei conti di deposito che le banche private detengono presso la banca centrale. Queste riserve bancarie elettroniche sono in verità una tipologia di moneta molto particolare che non circola nell’economia reale, dato che le riserve non escono mai materialmente dai conti di deposito della banca centrale e servono principalmente alle banche per regolare i loro pagamenti incrociati (attraverso il famigerato sistema di compensazione chiamato TARGET2) e per acquistare azioni e titoli nel mercato azionario e obbligazionario. A parte la limitata quantità di banconote che noi preleviamo al bancomat e custodiamo per le nostre spese giornaliere (circa il 3% della moneta circolante totale, formata soprattutto dai depositi bancari a vista e di risparmio), queste riserve non fanno altro che rimbalzare innumerevoli volte da un conto di riserve all’altro presso la stessa banca centrale o altre banche centrali (nel caso di investimenti finanziari all’estero).

sabato 25 agosto 2012

RITORNO ALLA LIRA: LA BILANCIA COMMERCIALE ITALIANA E I VANTAGGI DELLA SVALUTAZIONE


Mentre continua imperterrita e sempre uguale se stessa la telenovela strappalacrime dell’eurozona, animata soprattutto dalla fuga “tecnicamente possibile” della Grecia e dalle successive smentite ipocrite e false condite da romanzesche necessità di rimanere tutti insieme appassionatamente perché “uniti siamo più forti”, qualcosa si muove nell’economia reale che dovrebbe farci riflettere sui motivi per cui oggi come oggi l’uscita dall’euro dell'Italia e il ritorno alla nostra moneta nazionale, la lira, sarebbe per il nostro paese la scelta economicamente più conveniente. Anticipiamo subito che quella che segue è una trattazione tecnica, fredda, asettica dove vengono sfrondati tutti quegli elementi irrazionali e inconsci basati sulle paure per il futuro, l’incertezza e la precarietà che tanta importanza poi hanno sulla gestione pratica dell’economia. Per intenderci, eliminate le visioni catastrofiste che non hanno alcun fondamento scientifico, che dipingono l’Italia della lira travolta da uragani di svalutazione e tempeste di inflazione, e le discussioni da bar del tipo “io con l’euro in tasca mi sento più sicuro” o “con la nostra liretta non possiamo combattere contro i cinesi”, cerchiamo di capire insieme i motivi per cui un politico italiano onesto intellettualmente (ma anche penalmente) e che abbia a cuore la sorte del suo paese dovrebbe recarsi oggi stesso (ma poteva farlo anche ieri) a Bruxelles a dire: “OK, è stato bello. Ci avete provato a distruggere il popolo e l’economia italiana e ci abbiamo provato a darvi una mano a distruggerli, ma questi italiani sono cocciuti e resistono. Quindi noi ci ritiriamo dalla guerra dei trent’anni (e più, visto che è iniziata nel lontano 1979, con l’ingresso dell’Italia nello SME) e ritorniamo a fare politica economica attiva (e non passiva: il classico pigiamento dei bottoni in parlamento perché “ce lo chiede Europa!”) nel nostro Bel Paese. Buona fortuna a tutti e amici come prima”.


Questa considerazione iniziale prende spunto principalmente dall’andamento di una variabile economica che è fondamentale per il benessere e la sostenibilità a medio e lungo termine di un sistema paese: la bilancia commerciale. Che cos’è la bilancia commerciale? La bilancia commerciale è un elemento della contabilità nazionale che misura e registra il flusso di importazioni ed esportazioni di beni e servizi di un certo paese da e verso l’estero. Quando il saldo della bilancia commerciale è positivo significa che il paese sta esportando beni e servizi più di quanto ne importa e che nel paese stanno entrando più capitali di quanti ne escono (con i quali poi si possono pagare successive importazioni, rimborsare i debiti contratti in passato con l’estero, acquistare titoli o fornire prestiti ai residenti stranieri). La bilancia commerciale però è solo una parte del flusso finanziario totale che attraversa in entrata e in uscita il paese, perché bisogna mettere in conto anche le rendite da capitale (gli interessi sugli investimenti finanziari incrociati fra il paese in questione e il resto del mondo) e i redditi da lavoro (i profitti delle partecipazioni in società per azioni nazionali o delle aziende straniere portati all’estero e le rimesse che gli emigranti inviano nei loro paesi d’origine).

lunedì 20 agosto 2012

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI: QUANDO L’ITALIA SI DECIDERA’ AD USCIRE DALL’EURO?


L’afa continua ad imperversare sulla nostra penisola e secondo le più accreditate previsioni meteo durerà fino a fine agosto. Fa caldo, molto caldo, e i tecnocrati e politicanti europei, fra cui il nostro presidente del consiglio Mario Monti, hanno approfittato di questo lungo periodo di pax olimpica per godersi delle immeritate vacanze: dopo 4 anni precisi dall’inizio della crisi finanziaria in Europa queste macchiette che si atteggiano a statisti non sono riusciti a risolvere nemmeno uno dei punti più spinosi della questione e non sono stati capaci di mettere un argine all’ondata di recessione economica che ha travolto il vecchio continente. Un vero record di incompetenza e inettitudine. Se non fosse stato per la presenza della banca centrale BCE, che ogni volta ha rimandato con le sue discutibili  operazioni di politica monetaria il momento del tracollo, l’eurozona sarebbe già stata un triste ricordo da archiviare in fretta nell’immensa collezione dei colossali fallimenti della storia umana. Nata con il pretesto di unire e pacificare i popoli, l’eurozona è riuscita nel difficile intento di risvegliare gli attriti e le tensioni sopite che circolavano sottotraccia fra i paesi membri di questa sconclusionata ammucchiata di faccendieri, affaristi e lobbisti. Anche questo, a suo modo, è un record ineguagliabile.


Ad ogni modo, data la scarsa rilevanza dei fatti accaduti in questi ultimi giorni, approfitto anche io del periodo di tregua per fare il punto della situazione e abbozzare un riassunto delle puntate precedenti, che possa aiutare chi si avvicina per la prima volta a questo lungo interminabile racconto del misfatto e chi invece si è perso qualche pezzo durante il tragitto. Di questi tempi il volume degli scambi in borsa è talmente basso che qualunque dato su spread, indici e tassi di cambio non ha alcuna significatività, ma serve solo alla propaganda di regime per accendere facili entusiasmi fra i lettori e gli ascoltatori più distratti. Quindi nella nostra analisi ci riferiremo soprattutto a dati e serie storiche, trascurando del tutto la situazione congiunturale (per intenderci, che lo spread in questi ultimi giorni sia sceso sotto i 420 punti base per me non significa assolutamente nulla, mentre mi interessa molto di più l’andamento dello spread in questi ultimi mesi). Dato che alcuni lettori mi hanno legittimamente accusato di essere confuso e ambiguo nelle mie descrizioni, mi sembrava opportuno fare un po’ di chiarezza sulle premesse dei miei discorsi per dissipare le ombre che qualcuno ancora si ostina a vedere nelle conclusioni. Iniziamo.