Dopo aver ascoltato bene la
puntata di giovedì scorso di Servizio Pubblico, penso che molte persone si siano fatte un’idea abbastanza chiara
su ciò che sta avvenendo oggi in Italia. Al contrario di quello che traspare da
tutti gli inutili dibattiti politici attuali, esistono nel nostro paese due soli partiti e orientamenti politici: il PUD€ (il Partito Unico
dell’Euro), il cui rappresentante più esemplare e prototipo perfetto è Marco Travaglio, e il Partito degli Italiani, ovvero una
formazione disorganizzata e disomogenea di persone ragionevoli e innamorate del
proprio paese, in cui spicca per integrità e competenza tecnica il professore Alberto Bagnai. Le tesi disfattiste del PUD€ possono essere riassunte nelle parole lapidarie di Travaglio: “Con l’euro o senza l’euro noi italiani saremmo
la merda che siamo sempre stati!”. Mentre le analisi pacate e difficilmente
confutabili di Bagnai, trovano una giusta collocazione grazie all’utilizzo della metafora del Titanic: “Per affrontare l’iceberg
della globalizzazione è meglio essere a bordo di una grande nave impossibile da
sterzare, oppure su un agile kayak che può essere manovrato agevolmente?”. In
altre parole, l’Italia avrebbe oggi le risorse umane e tecnologiche per
competere alla pari con tutti gli altri paesi del mondo senza farsi ingabbiare dai "vincoli esterni" e comandare a
bacchetta dai tecnocrati di Bruxelles? Oppure è meglio mettersi in riga e
ubbidire ciecamente agli ordini che arrivano dall’estero, quantunque folli e
irrazionali essi siano, perché da soli non sapremmo gestire nemmeno un pollaio?
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mercoledì 20 novembre 2013
USCITA DALLA CRISI: CONVEGNO A PALERMO PER RAGIONARE INSIEME SULLE CAUSE E LE SOLUZIONI
venerdì 25 ottobre 2013
ACCORDO DI LIBERO SCAMBIO USA-UE: UN’ALTRA MAZZATA PER LA NOSTRA ECONOMIA
A grande richiesta, oggi
inauguro una nuova linea editoriale di questo blog, basata su articoli più
brevi e notizie più circoscritte. Ciò non significa che non cercheremo di volta
in volta di tirare le conclusioni e fare una sintesi degli argomenti trattati,
ma questo avverrà come quando si costruisce un grande mosaico partendo da
piccole tessere sparpagliate e disperse. Ogni tessera deve essere collocata al
posto e al momento giusto per avere una visione
d’insieme sempre più obiettiva e chiara di ciò che sta accadendo intorno a
noi. E cominciamo subito con la più stretta attualità: l’accordo di libero scambio in corso d’opera fra Stati Uniti e Unione Europea, il quale è stato di recente messo in discussione
sia dai francesi che dai tedeschi a causa della “rumorosa” e più che mai “tempestiva”
diffusione dello scandalo Datagate. Inspiegabilmente, i
servizi di spionaggio francesi e tedeschi si accorgono solo oggi che l’intelligence
americana, attraverso il programma NSA
(National Security Agency),
controllava da anni ogni foglia che si muoveva in Europa. Come mai? E’ una pura
coincidenza che questa indignazione unanime dei paesi europei sia arrivata
proprio a conclusione degli accordi di libero scambio, oppure c’è dell’altro?
martedì 15 ottobre 2013
SCALFARI E CACCIARI: LA DEMOCRAZIA FUNZIONA SOLO QUANDO E’ OLIGARCHICA
Ci siamo. Pressati
dall’attualità e dalle contingenze, molti degli osannati e sempre troppo sovrastimati
“intellettuali” italiani sono
costretti ad uscire allo scoperto e a confessare in modo schietto e diretto
come la pensano su certi temi delicati e oltremodo cruciali della politica
interna e internazionale. Eugenio Scalfari
e Massimo Cacciari sono senza dubbio
i campioni della “real politik” nostrana, quella secondo cui con la caduta del
muro di Berlino e la fine delle ideologie, bisogna guardare con un certo
disincanto la storia e adattarsi con concreto pragmatismo al corso degli
eventi. Il loro assunto più propagandato a furor di popolo è il seguente: “siccome c’è la globalizzazione, e la competizione economica avviene su scala
globale, non si può più competere rimanendo piccoli stati sovrani isolati, ma
bisogna unire le forze creando federazioni e confederazioni di stati, come sta
avvenendo oggi in Europa”. Tradotto in termini più semplici il loro
famigerato sillogismo suona così: “siccome
c’è la Cina, bisogna creare per forza di cose gli Stati Uniti d’Europa, in caso contrario saremo spacciati e verremo
travolti dalla marea gialla!”. Inutile ricordare che qualcuno (per la
precisione Claudio Borghi Aquilini)
ha già smontato questa tesi bizzarra con straordinaria capacità di sintesi e
immaginazione: l’economia non è mai stato
un gioco di tiro alla fune in cui più siamo e meglio è, ma è una complicata questione di organizzazione,
efficienza, sinergia, competenza, conoscenza, ripartizione, distribuzione,
in cui vince chi riesce ad utilizzare meglio le proprie risorse umane e materiali.
Belle parole, ma del tutto inefficaci nel nostro caso, perché Cacciari e
Scalfari hanno sempre ragione.
Infatti, nonostante la tesi
quantitativa sia la più nota del duo delle meraviglie, Cacciari e Scalfari sono
anche i mostri della tuttologia italiota, quelli del “so tutto io”, quelli dell’opposizione
bieca a qualsiasi tipo di contraddittorio che non confermi ed esalti le loro
conclusioni: si va dalla filosofia, alla storia, fino alla letteratura,
all’economia, alla gastronomia, al taglio e cucito. Qualsiasi sia la materia
del contendere, quando arriva la sentenza di uno dei due saggi barbuti, bisogna
ascoltare in religioso silenzio e accettare senza battere ciglio le loro
illuminanti dissertazioni. Puoi anche sforzarti di sottoporre al duo quintali
di studi e documenti vergati di proprio pugno da premi Nobel ed economisti di caratura internazionale, che spiegano
in modo accessibile a tutti come le unioni monetarie, politiche e commerciali
tra stati diversi funzionino solo quando sussistono delle particolari condizioni
al contorno, ma questo impegno si dimostrerà presto del tutto vano e
infruttuoso: di fronte all’infinita saccenteria del duo, anche le vette più
alte del sapere umano si sciolgono come neve al sole. Per intenderci, se in
giornata di grazia, Cacciari e Scalfari sarebbero pure capaci di stravolgere il
relativismo di Einstein o la teoria quantistica di Planck. Figurarsi, quindi,
se in un dibattito serrato non sfiderebbero sfrontatamente gli impegnativi
studi e le ricerche sul campo di umilissimi premi Nobel dell’economia.
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venerdì 12 luglio 2013
L’ALTRA FACCIA DELLA MONETA: L’UNICO MODO PER FARE ECONOMIA ATTIVA PER I CITTADINI
Dopo due settimane di
fitti colloqui, incontri, convegni, conferenze, progetti editoriali è giunto il
momento di tirare il fiato e fare un breve bilancio di ciò che ho visto e
sentito un po’ in giro: l’Italia c’è, la Sicilia si muove, gli italiani stanno
iniziando a capire, ma hanno le idee ancora piuttosto confuse e urgente bisogno
di metabolizzare tutte le novità che gli stanno venendo addosso in questo
ultimo periodo. E vorrei vedere dopo trent’anni e passa di lavaggio del
cervello e propaganda di regime degna delle peggiori dittature: debito
pubblico, inflazione, svalutazione, potere d’acquisto dei salari, mutui, tassi
di interesse, costo della benzina e delle materie prime, posizione geopolitica
dell’Italia all’interno dello scacchiere internazionale. I loro dubbi e le loro
domande su un eventuale scenario di uscita
dall’euro e recupero della sovranità
monetaria e politica nazionale
sono quasi sempre le stesse. Ma il fatto che la gente si faccia assalire dai
dubbi è già qualcosa: il dubbio è spesso un chiaro sintomo di risveglio,
volontà di ricerca e desiderio di consapevolezza. Senza dubbio non esiste
alcuna verità, sia essa economica, scientifica o filosofica.
Tuttavia la mia
sensazione quando qualcuno mi chiede la solita domanda sui costi e benefici dell’uscita dell’Italia dall’euro è quella di
parlare ad uno schiavo con le catene
alle caviglie che ha davanti una scodella riempita di scarti e frattaglie:
invece di pensare a quanto cibo avrai domani nella scodella, non sarebbe meglio
cominciare a preoccuparti di quelle grosse catene di ferro che ti impediscono
di essere libero? Non che il cibo non sia importante, ma sei sicuro che vivere
per sempre con gli scarti della cena del padrone sia meglio che cominciare a
cercarti da solo la frutta, i semi, la selvaggina nel bosco? Come si può
pensare a mangiare quando sull’altro piatto della bilancia ci stiamo giocando
la nostra libertà di popolo? E’ meglio un uomo libero a pancia vuota o un malnutrito
in catene? Capite bene che disquisire di costi e benefici, discorso utilitaristico
comunque da fare, quando qui si sta parlando di libertà politica-economica e autodeterminazione
democratica di una nazione risulta agli occhi di un disincantato idealista
come me una questione abbastanza risibile. Con pazienza mi metto a snocciolare
numeri, grafici, tabelle, ragionamenti ma nel mio intimo penso: “questi ancora non hanno capito un emerito c…
di quello che ho detto prima”.
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venerdì 17 maggio 2013
STORIA DI UN ROMANZO CRIMINALE: LA NASCITA DEL SACRO ROMANO IMPEURO
Esistono diversi modi per
raccontare la Storia. Uno è quello cronologico-analitico, che mette in fila
le date e i fatti cercando di creare delle precise connessioni di causa ed effetto
e dei collegamenti sempre più ampi e intrecciati degli eventi. L’altro è quello
idealistico-romanzato, che pur non trascurando l’attinenza ai fatti accaduti
cerca di rileggerli in una chiave più intimistica, soggettiva e coinvolgente. Nel
primo metodo prevale l’oggettività, il distacco freddo e scientifico dai fatti
che si stanno narrando, nel secondo la soggettività, la partecipazione emotiva
e febbrile agli eventi nei quali ci si sente intimamente coinvolti. Entrambe
queste metodologie di narrazione sono speculari e complementari: non si può
essere sufficientemente lucidi, distaccati ed obiettivi se prima non si è
vissuto emotivamente e appassionatamente ciò di cui si sta parlando, e d’altra
parte non si può raccontare con passione e intensità ciò di cui non si conosce
l’esatta evoluzione cronologica dei fatti. Nel testo che vi propongo oggi,
scritto con brillantezza ed efficacia da Francesco
Mazzuoli che mi ha gentilmente concesso la possibilità di pubblicarlo sul
blog, prevale sicuramente il secondo aspetto della narrazione della Storia:
quello romanzato, passionale, emotivamente coinvolto.
Eppure ad una lettura più
attenta del testo noterete che non manca nulla della rispondenza ai fatti, ai dati e agli eventi di cui abbiamo tanto
discusso in questi mesi. Il racconto, che oltre a ripercorrere i più importanti
fatti degli ultimi trenta anni tenta di prevedere un possibile epilogo dell’attuale vicenda italiana ed europea, è
lucido e obiettivo come pochi altri. Il processo storico che dalla lenta ma
inesorabile distruzione delle istituzioni democratiche nazionali sta portando in
Europa alla nascita di un Impero
Oligarchico e Totalitario, viene minuziosamente analizzato fin nei minimi
dettagli. Un Impero si costruisce o con la brutalità
della guerra o con la costante
guerriglia tecnica della burocrazia e della diplomazia, ma alla fine queste
due forme di violenza che spesso
coesistono insieme conducono allo stesso risultato: la sudditanza, la schiavitù,
la paralisi di ogni capacità di
reazione, ribellione, rinascita. Siamo italiani, siamo europei, conosciamo bene
quanto fallaci, stantie e dolorose siano tutte le forme di imperio antidemocratiche
che mortificano la partecipazione
popolare e la difesa del bene comune.
Ribelliamoci adesso, prima che sia troppo tardi. Quantomeno per rispetto dei
nostri antenati che hanno sacrificato le loro vite e sono morti per lasciarci
in dote la forma di governo, che per quanto delicata e infinitamente
migliorabile, è quella che meglio si concilia con la nostra ancestrale idea di
Bene e Solidarietà Universale: la Democrazia.
Buona lettura.
venerdì 29 marzo 2013
CRISI DI INSOLVENZA E DI LIQUIDITA’: COME E PERCHE’ FALLISCONO LE BANCHE
Il recente
caso di Cipro ha riacceso
l’interesse intorno al mondo bancario e ai suoi complicati meccanismi interni.
In particolare, suscita sempre qualche perplessità e apprensione fra la gente
il modo e la rapidità in cui le banche
falliscono, dato che nel nostro immaginario le banche vengono identificate
come giganteschi mostri “infallibili” (dai piedi d’argilla
aggiungo io, visto il modo in cui è organizzato oggi il sistema monetario nel
suo complesso), capaci di divorare e ingoiare tutto il resto, compresa la
cosiddetta “economia reale”. Siccome Cipro è l’ultimo caso di un paese
piccolo, con un’economia ridotta e poco sviluppata ad essere stato messo in
ginocchio da un settore bancario
sovradimensionato (preceduto in ordine di tempo da Islanda e Irlanda), mi
sembrava opportuno approfondire un po’ l’argomento, facendo degli esempi molto chiari
e delle simulazioni semplificate. Il materiale divulgativo utilizzato può
essere reperito in lingua originale sul sito Positive Money e in un articolo pubblicato su Economonitor.
In generale
possiamo anticipare che esistono due principali casistiche di crisi bancaria,
le quali partendo da diverse premesse possono ugualmente portare una banca al
fallimento: la crisi di insolvenza e la crisi di liquidità. L’insolvenza,
nella sua accezione più comunemente utilizzata, può essere definita come l'incapacità di rimborsare i propri debiti.
Questo di solito accade appunto per due motivi differenti. In primo luogo (crisi di insolvenza), per qualche
ragione legata all’andamento dei “mercati”
la banca può ritrovarsi a dovere ai
suoi creditori più di ciò che possiede o gli è dovuto dai suoi debitori. Nella terminologia
contabile, questo significa che le
proprie attività valgono meno delle passività. In secondo
luogo (crisi di liquidità), una banca
può diventare insolvente se non riesce più a pagare i propri debiti a scadenza,
anche se sulla carta le proprie attività valgono più delle passività. Questo
fenomeno è noto come insolvenza da flusso di cassa negativo o mancanza di
liquidità.
mercoledì 27 marzo 2013
IL MODELLO CIPRO: UN CASO STUDIO CHE PUO’ ESSERE REPLICATO IN FUTURO
Sono quasi certo che il modello Cipro farà scuola. Fra qualche
tempo sui manuali più autorevoli di economia e finanza saranno dedicati interi
capitoli sul modo molto inusuale e sbrigativo con cui i ministri delle finanze
dell’eurozona hanno risolto la crisi
bancaria dell’isola cipriota, stravolgendo in pratica tutto ciò che prima
sapevamo e davamo per scontato sulla gestione dei flussi finanziari. L’accordo
trovato in extremis domenica notte,
salutato con entusiasmo da tutti i mezzi della propaganda come il salvataggio di Cipro, presenta notevoli
punti oscuri che avranno sicuramente pesanti ripercussioni in futuro sulla
tenuta dell’intera area euro. Innanzitutto perché non si tratta assolutamente
di un accordo, ma di un diktat, di un ricatto o meglio,
usando la terminologia edulcorata dei tecnocrati europei: un memorandum d’intesa (MoU, Memorandum of Understanding). Il parlamento di Cipro stava infatti
lavorando ad una sua proposta di ristrutturazione interna del sistema bancario,
che è stata bruscamente ignorata per fare posto alle imposizioni dei tecnocrati.
Un eventuale rifiuto del MoU (che in ogni caso deve essere ancora ratificato
dal parlamento cipriota) avrebbe comportato il default di Cipro e la successiva
uscita dall’eurozona, dato che il
governatore della BCE Mario Draghi aveva
minacciato di interrompere l’erogazione di liquidità alle banche cipriote
prevista dal programma di emergenza ELA
(Emergency Liquidity Assistance)
Il MoU come sappiamo è uno strumento obbligatorio e coercitivo
associato a tutti gli aiuti forniti dal Meccanismo Europeo di Stabilità: per avere qualsiasi forma di sostegno finanziario,
sia al settore pubblico che al settore bancario, il governo del paese in
questione deve accettare una serie di
condizionalità che possono cambiare da paese a paese, e in base al
prestigio e all’importanza strategica della sua economia. A giugno scorso, per
esempio, la Spagna ha ottenuto un
piano di aiuti da €100 miliardi per ricapitalizzare buona parte delle sue
banche fallite, senza controfirmare alcun memorandum d'intesa o garantire
ulteriori riforme strutturali. Ma la Spagna non è Cipro e il suo peso specifico
all’interno dei palazzi che contano non è di certo paragonabile a quello della
piccola isola mediterranea: questo modo di agire sarà sicuramente vincente per
la creazione di quello spirito europeo
dei popoli (il Sogno!) con cui ci riempiono tanto la testa i tromboni della demagogia
europeista. Per un abitante di Cipro sapere che lui è un cittadino europeo di serie B rispetto ad uno spagnolo sarà
certamente gratificante, motivo di orgoglio e di vicinanza nei confronti degli
altri popoli del continente più disastrato del mondo. In quanto poi a
condizionalità imposte da Bruxelles, noi
italiani siamo invece i più furbi, perché i nostri precedenti governi (Berlusconi e Monti) le hanno già accettate (ricordate la lettera della BCE dell’agosto del 2011? Non può quella missiva strettamente riservata
considerarsi l’antesignana di tutti i successivi MoU?), senza ricevere in cambio
alcun sostegno finanziario. Sarebbe troppo umiliante per noi italiani essere
accomunati a greci o ciprioti o irlandesi. Altro atteggiamento questo per
sentirsi più vicini e solidali nella stessa sorte.
lunedì 25 marzo 2013
UN APPELLO AI MINISTRI DEL PROSSIMO GOVERNO: SALVATE LA COSTITUZIONE ITALIANA!
Mentre si consuma l’ennesimo
atto dell’epopea cipriota, con il
momentaneo abbandono delle tumultuose note da Cavalcata delle Valchirie e il ritorno ai più pacati e agonizzanti
ritmi della tragedia greca (nel senso che Cipro
entrerà a buon diritto in quel vicolo cieco da cui non si esce di recessione, disoccupazione, povertà
diffusa in cui sono già definitivamente ingabbiate Grecia, Portogallo, Irlanda), in Italia continuano le grandi manovre per la formazione del nuovo governo a guida Bersani. Un nuovo
governo che presumibilmente, sulla scorta di ciò che è accaduto con la presidenza
della Camera e del Senato, escluderà a priori alcuni nomi impresentabili della
politica, per impressionare ed emozionare le folle con i membri più illustri e prestigiosi della società civile. Come se
questa copertura posticcia rappresenti indiscutibilmente una garanzia di
successo. Tuttavia sappiamo bene che un governo deve essere giudicato per ciò
che fa concretamente, per come gioca la sua partita e non per ciò che
rappresenta o suscita nella gente. Un po’ come quelle squadre di calcio che
vengono assemblate mettendo insieme giocatori famosi e strapagati che sulla
carta sembrano fortissime e poi sul campo si rilevano disastrose,
disorganizzate, prive di coesione, spirito di gruppo, solidità. Il rischio che
l’Italia corre in questo momento, sulla scia del suggestivo reclutamento delle
eccellenze, è proprio questo.
Trovo quindi più che
opportuno da parte del blog Orizzonte48 giocare di anticipo e tentare di intavolare un dialogo preventivo con i nomi
più papabili della lista. In particolare con due emeriti costituzionalisti come Valerio Onida e Gustavo
Zagrebelsky. Ottimi professionisti nel loro campo, ma assolutamente privi
di quelle chiavi di lettura economiche e finanziarie necessarie per una
corretta interpretazione degli eventi dell’attuale crisi europea. O almeno così
sembra da ciò che dicono su alcuni temi scottanti come il debito pubblico e la necessità
delle politiche di austerità. Se da
una parte i noti giuristi difendono a spada tratta i principi inviolabili ed
universali contenuti nella nostra Costituzione,
dall’altra non capiscono che proprio i vincoli europei e le continue cessioni
di sovranità hanno di fatto stralciato gran parte di quei principi. Facendo ripiombare
l’Italia in uno di quei periodi di angoscia, asfissia e assenza di libertà
descritti tanto bene, in un memorabile discorso, dal nostro più celebre padre
costituente Piero Calamandrei: "La politica non è una piacevole cosa. Però
la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a
mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia
generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non
sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di
angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché
questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno
che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita
politica".
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mercoledì 20 marzo 2013
MENTRE CIPRO SI RIBELLA, LA SICILIA CERCA UNA VIA DI USCITA DALLA GABBIA DELL’EURO
Se la situazione di Cipro è drammatica a causa della
gestione dissennata delle sue banche e delle richieste scandalose proposte
dagli organismi europei, la condizione della finanza pubblica della Sicilia, con debiti accumulati per
oltre €18 miliardi, non è certamente
da meno. Se la Sicilia fosse uno stato completamente autonomo come Cipro
sarebbe già sull’orlo del fallimento e alla ricerca disperata di un piano di
salvataggio esterno, che provenga dalla Russia, da Cina, dal FMI o dalla stessa
Germania. Ma siccome, per fortuna o purtroppo, la Sicilia fa ancora parte l’Italia,
sarà quest’ultima che in un modo o nell’altro dovrà assumersi il ruolo di prestatore privilegiato di prima
istanza. Tuttavia, come facilmente desumibile da un’analisi più attenta,
l’insostenibilità del debito siciliano è dovuta ad una serie innumerevole di
concause che rendono davvero difficile trovare il bandolo della matassa: incompetenza e pressappochismo dei suoi
amministratori, speculazione
bancaria agevolata dall’assenza di interlocutori validi durante le
trattative, crisi economica e finanziaria
che sbriciolando i redditi ha ridotto le entrate nelle casse della regione, vincoli di pareggio di bilancio, suddivisione opaca degli ambiti di
competenza, mancanza di enti di
controllo centralizzato derivante dal principio di sussidiarietà imposto
dall’Unione Europea. Ma a monte di tutte queste dinamiche intrecciate, resta
sempre il problema principale di tutti gli stati che hanno accettato l’euro
come unica moneta a corso legale: la perdita
della sovranità monetaria.
Se la Sicilia fosse uno
stato “sovrano”, monopolista unico
della propria moneta, il suo debito sarebbe ancora insostenibile? E’ mai
possibile che un ente pubblico si riduca nelle condizioni di non potere più
pagare stipendi e pensioni? Stiamo parlando infatti di un debito pubblico regionale inferiore al 25% del PIL, quindi ben al
di sotto della soglia mistico-teologica
del 60% richiesta dal Patto di Stabilità europeo. Quindi? Qual è il vero
problema sottostante? La spada di Damocle che pende sulla Sicilia, come su
tutti gli stati che hanno aderito alla scellerata unione monetaria europea, è l’adozione
di una “moneta straniera” di cui le autorità pubbliche, emanazioni della volontà popolare, non
hanno più alcun controllo. Non solo i governi non possono più determinare la quantità emessa in base al fabbisogno
di corretto funzionamento delle istituzioni pubbliche, ma nemmeno influire sul valore di cambio sui mercati valutari per
favorire i normali meccanismi di equilibrio degli scambi commerciali con l’estero.
La Sicilia, come tutte le istituzioni pubbliche dell’eurozona, è costretta a
naufragare nell’ignoto in balia dei “mercati” e delle decisioni di un manipolo di tecnocrati autarchici
asserragliati a Bruxelles e a Francoforte. Eppure, anche per la Sicilia come
altrove, esiste una via di uscita
per tirarsi fuori dalla gabbia infernale
dell’euro.
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martedì 19 marzo 2013
I BULLDOZER DI CIPRO STANNO FACENDO TREMARE I CASTELLI DI CARTA DEI TIRANNI EUROIDIOTI
Qualcuno
di voi ha per caso un misuratore del panico? Qual è lo strumento
che ci può dare un’indicazione affidabile del livello di paura che assale gli
esseri umani? Esiste un tale strumento? Ebbene sì, o almeno così pare, dato che
gli scellerati tecnocrati e politici
euristi pensano di possedere la capacità di controllare le paure umane e in
base a questa certezza credono di avere sempre la situazione in pugno. Nei loro
atteggiamenti, nella postura, nei sorrisi falsi con cui si rivolgono alle
telecamere, gli euristi sono certi di impressionare la gente facendogli credere
che loro sono i governanti più saggi, competenti, preparati che questo
continente abbia mai avuto. Certo un bravo esperto di fisiognomica guardandoli
bene in faccia, i vari Van Rompuy, Barroso, Draghi, Rehn, potrebbe
avere qualche dubbio. Se poi si da una rapida lettura ai loro curricula
professionali cominciano ad arrivare i primi brividi di paura. Ma senza fare troppe dietrologie, il fatto che
dal 2008 ad oggi questi politicanti e tecnocrati di terzo o quarto livello si
arrabattino per arginare una crisi finanziaria che altri paesi (ci riferiamo
soprattutto a Stati Uniti e Giappone), nel bene e nel male, sono
riusciti a tamponare, non depone di certo a loro favore. Ma il peggio della
loro cialtroneria, a quanto sembra dalle notizie che provengono da Cipro, deve ancora arrivare. Purtroppo
per noi.
Nella notte fra venerdì e
sabato scorso infatti i ministri delle finanze dell’eurozona si sono accordati
per un piano di aiuti di €10 miliardi
da concedere al governo di Cipro per salvare le sue banche ormai sull’orlo del
fallimento. In realtà, il governo di Cipro insediato di recente aveva chiesto
inizialmente un programma di salvataggio da €17 miliardi, cosa che avrebbe
creato qualche malumore soprattutto in Germania tra gli euroscettici che si
sono ormai saldamente organizzati in un partito (Alternative fur Deutschland)
in vista delle prossime elezioni di settembre. E così su pressione del ministro delle finanze tedesco Schauble
si è deciso di limitare il finanziamento del fondo MES a €10 miliardi, con l’appoggio del FMI che ancora deve
stabilire quale quota versare (si parla di €1 miliardo circa). Il resto dei
soldi necessari a ricapitalizzare le banche fallite verranno invece rastrellati
internamente, prelevandoli direttamente
dai depositi dei clienti delle banche. Una decisione molto discutibile e
inopportuna che oltre a scatenare la
rabbia dei cittadini ciprioti, che si sono presentati con i bulldozer davanti l’ingresso delle
banche chiuse per ferie, avrà sicuramente delle gravi ripercussioni a livello internazionale. Per la prima volta in
Europa ad un bail-out esterno nei confronti di un paese in difficoltà è
stato affiancato un bail-in interno fornito dagli stessi abitanti. Ma in Europa
ormai ci siamo abituati ad assistere a tante prime volte e non è escluso che la
prossima volta gli esattori del Nuovo Sacro Europeo Impero non entreranno con i militari direttamente nelle nostre case per portare via mobili e argenteria.
giovedì 14 marzo 2013
MENTRE L’EUROZONA E’ NEL CAOS L’IRLANDA SI RIPRENDE PARTE DELLA SUA SOVRANITA’
Che l’eurozona sia nel caos ormai è un dato di fatto. La
mancanza di un governo centrale capace di prendere decisioni
univoche e chiare (e magari anche razionali e comprensibili, che non guasta) si
sta facendo sentire proprio adesso che bisogna fare delle scelte e nessuno sa bene
chi sia autorizzato a farle. In mezzo a questo putiferio istituzionale l’Irlanda nel silenzio
più assoluto dei media (perché parlare di cose importanti, ci sono tante belle
scemenze di cui parlare? Gli occhi di Berlusconi, le lacrime di Bersani, le
bacchettate di Grillo, l’elezione del papa, insomma per i cialtroni
dell’informazione c’è solo l’imbarazzo della scelta), la piccola Irlanda ha fatto
una mossa che potrebbe mettere presto in crisi il colosso d’argilla europeo e nessuno sembra avere la capacità di
cambiare gli eventi. La Commissione Europea scarica il compito alla BCE e la
BCE, a sua volta, per bocca del suo governatore Mario Draghi, passa la patata bollente al Consiglio Direttivo,
che a quanto pare sul caso specifico dell’Irlanda dovrà pronunciarsi entro la
fine dell’anno. In questo contesto di confusione assoluta, il governo irlandese
guidato dal primo ministro Enda Kenny
(foto a sinistra) pare sia l’unica istituzione ad avere le idee chiare e abbia
deciso di continuare ad andare avanti per la sua strada, in attesa che qualcuno
si decida a pronunciarsi chiaramente sul da farsi. "Il risultato odierno è un passo storico
sulla strada per la ripresa economica" ha detto trionfante al
Parlamento di Dublino Kenny qualche giorno fa "Questa
manovra assicura la futura sostenibilità finanziaria dello stato".
Ma
cosa ha fatto di così rivoluzionario ed epocale Kenny? Si
tratta di un’ennesima bufala o fregatura per i cittadini, oppure questa
decisione aiuterà concretamente la ripresa di uno stato a pezzi? Andiamo con
ordine perché la posizione attuale dell’Irlanda è molto delicata. Malgrado tutti
i plausi pervenuti da ogni parte, da Bruxelles e Berlino in particolare, per il
rigore teutonico con cui l’Irlanda
ha seguito il suo programma di austerità,
fatto principalmente di licenziamenti nel settore pubblico e tasse, la
situazione del paese è ancora drammatica, con l’economia che ristagna e la disoccupazione che si attesta intorno
al 14%. Senza considerare tutti i massicci movimenti migratori dei giovani
ragazzi irlandesi verso l’Australia, soprattutto. Una catastrofe sociale che come i
meglio informati sanno non è dovuta affatto all’eccesso di debito pubblico,
agli sprechi o alla corruzione della classe politica, ma alle sciagurate
gestioni fallimentari di un ristretto manipolo di banchieri privati, appoggiati e spalleggiati ovviamente dai
politici locali, che nel giro di pochi anni sono riusciti a sommergere di
debiti l’intero paese. Chi ancora ha dei dubbi su come si sia sviluppata e
quale sia la vera origine della crisi finanziaria che attanaglia oggi
l’eurozona, dovrebbe studiare meglio il caso
dell’Irlanda che è sicuramente il più emblematico di tutti. E con qualche
piccola variante, dovuta alla minore o maggiore compartecipazione del settore
pubblico, applicarlo poi agli altri paesi PIIGS. Italia compresa.
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martedì 12 marzo 2013
DALLA GENERAZIONE X ALLA GENERAZIONE PERDUTA PASSANDO PER IL VINCOLO ESTERO
Ricordo che quando ero ragazzo, nei primi anni novanta, la
mia generazione veniva spesso etichettata come Generazione X: una definizione molto vaga, che lasciava intendere
qualcosa di misterioso, ignoto, inafferrabile. Non vi nascondo che a quel tempo una tale
marchiatura non mi dispiaceva affatto, perché si conciliava perfettamente con
il mito della fuga e della libertà che anima i giovani: mentre voi adulti siete
delle monotone costanti, noi giovani rappresentiamo un’incognita che può
spaziare liberamente in tutto il campo del reale e dell’immaginario. Era bello
essere un membro della Generazione X. Oggi che i capelli, quando ci sono,
cominciano a diventare brizzolati, penso di avere capito quale fosse il
significato di quella incognita. A
nostra insaputa, noi ragazzi nati a cavallo fra gli anni settanta e ottanta
eravamo il frutto di un esperimento
sociologico-economico-finanziario. Eravamo i primi cittadini del dopoguerra
che non avrebbero mai più avuto uno Stato
democratico alle loro spalle, dei diritti
costituzionali a cui aggrapparsi, ma semplici merci di scambio lasciate in balia dei mercati a contendersi un
posto nel mondo in perfetta concorrenza
con tutti gli altri giovani della terra, a qualunque latitudine si trovassero,
a qualsiasi prezzo e condizione. Una concorrenza sempre al ribasso ovviamente,
per la gioia della generazione dominante dei nostri padri e dei nostri nonni
che era lì pronta a sfruttarci e a vivere di rendita sulle nostre sofferenze, i
nostri sacrifici, le rinunce, la fatica.
Era il tempo del miraggio della Globalizzazione Economica Universale,
presentata da tutta la propaganda e dai tromboni prezzolati della
pseudo-cultura di sinistra, come il massimo approdo per la convivenza pacifica
e civile fra i popoli. Eppure proprio in quegli anni scoppiavano guerre in ogni
parte del mondo e ai più accorti di noi la globalizzazione cominciò a sembrare
l’ennesima pagliacciata per coprire i misfatti della solita classe egemone
politica-finanziaria. Non eravamo andati troppo lontano dalla verità. Quando
crollarono le Torri Gemelle nel 2001 la Generazione X cominciò ad avere il
primo scossone dal torpore e molti di noi iniziarono a sperimentare sulla loro pelle cosa
significano in realtà parole un po’ astruse come flessibilità, privatizzazione,
liberalizzazione dei prezzi, degli scambi, dei salari, mercato unico mondiale,
deregolamentazione selvaggia della finanza. Quello che era un sospetto cominciò
a diventare una certezza: la definizione con cui ci avevano marchiato non nascondeva
nulla di intrigante o misterioso, ma era la
semplice stringa di un’equazione ad una variabile. Un’equazione che ormai è
stata risolta per sempre. O quasi.
domenica 3 marzo 2013
IL DILEMMA DELLA SPESA PUBBLICA: FA BENE O FA MALE? E’ IL PROBLEMA O LA SOLUZIONE?
Non
dico di essermi pentito di aver votato il Movimento
5 Stelle, perché è ancora prematuro emettere giudizi definitivi, ma quasi.
Se dovessi dar credito a tutte le voci che si sentono in giro, dalle bizzarre
idee di presunti economisti o esperti affiliati al movimento di Beppe Grillo fino alle dichiarazioni un
po’ confuse e contraddittorie dei neo-deputati del M5S, non c’è proprio da star
tranquilli. Si va dalla solita solfa dei tagli alla spesa pubblica che fanno bene all’economia (per quale ragione non
si sa, ma i dogmi e gli atti di fede sono affascinanti anche per questo
motivo), al ritornello che l’uscita
dall’euro costerebbe agli italiani un 30% di perdita di ricchezza
finanziaria da un giorno all’altro (senza però mai menzionare quanto è costato
e quanto costa oggi la permanenza nell’euro, anche in termini di vite umane), fino
alla sana decrescita economica che
fa tanto ambientalismo ecumenico da parrocchia (vallo a dire a un giovane disoccupato
che non ha nulla o un imprenditore in procinto di fallimento che la decrescita del reddito nazionale fa bene anche lui,
senza beccarti un ceffone in faccia!). Insomma ci sarebbero tanti motivi per
maledire il voto espresso nel segreto della cabina elettorale.
Tuttavia
c’è un breve dispaccio che proviene
direttamente dal direttorio del blog di Beppe Grillo che mi rassicura: “Leggo
e ascolto con stupore presunti "esperti"
discutere di economia, di finanza o di lavoro a nome del M5S. Queste persone
sono ovviamente libere di farlo, ma solo a titolo personale. I contributi sono
sempre bene accetti, ma non l'utilizzo del M5S per promuovere sé stessi. Il M5S
dispone di un programma che sarà sviluppato on line nel tempo da tutti i suoi
iscritti. La piattaforma, uno spazio dove ognuno veramente conterà uno, è in
fase di sviluppo dopo il rallentamento dovuto all'anticipo delle elezioni.” Forse
non tutto è perduto. I cervelli pensanti del M5S hanno capito che bisogna
mettere un freno a questi fenomeni da
baraccone in cerca di celebrità pronti a saltare sul carro del vincitore
portando in dote una vagonata di idiozie che mette i brividi. Dobbiamo dunque
avere ancora un po’ di fiducia in Grillo e nei suoi ragazzi, aiutandoli e sostenendoli
a dipanare il bandolo della matassa, che è già abbastanza ingarbugliato di suo,
utilizzando i dati, i fatti, i ragionamenti più semplici e immediati da
spiegare. I giovani aspiranti statisti del M5S sono e rimangono ancora, a mio
avviso, la nostra ultima speranza per uscire dal guado, a patto però che anche
loro si liberino dai legacci mentali e dalle paludi logiche in cui sembrano
profondamente impantanati. Il loro essere giovani, onesti, puliti, simpatici,
non li giustifica dalla stupidità e dalla mancanza di volontà di capire. Anzi,
è un’aggravante, perché i giovani in genere dovrebbero avere meno sovrastrutture e barriere ideologiche (o solamente psicologiche e di puro calcolo e
convenienza) ed essere più aperti al ragionamento
attivo.
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sabato 23 febbraio 2013
PERCHE’ BISOGNA VOTARE IL MOVIMENTO 5 STELLE DI BEPPE GRILLO PER IL BENE DELL’ITALIA
Faccio
una breve incursione sul blog, prima del mio prossimo rientro a pieno regime,
per motivare la mia decisione di voto e fornire la mia testimonianza, qualora
possa essere utile a qualcuno per fare la sua scelta. Io voterò il Movimento 5 Stelle, perché oggi come
oggi è l’unico soggetto politico in Italia che potrebbe aprire un serio
dibattito sui veri problemi che
affliggono il nostro paese: la gabbia
finanziaria dell’euro e il regime totalitario
eurista, la cessione di sovranità
politica, economica, monetaria e la conseguente
perdita di competitività a tutti i livelli, la mancanza di coesione e solidarietà sociale. Bene o male, a
spizzichi e bocconi, Beppe Grillo e
i suoi hanno evidenziato con onestà e lucidità questi problemi immensi che non
possono essere più trascurati, mentre tutto il resto della disarticolata e
confusionaria accozzaglia politica (molto più simile ad una buffa e grottesca Armata Brancaleone, che ad una lontana
parvenza di una classe dirigente decente, consapevole, competente e
responsabile) ha continuato nella sua rituale prassi dell’occultamento e della
censura. Con una compattezza granitica che spaventa e deve farci riflettere.
Si
va dalla ridicola farsa della “smacchiatura
del giaguaro” di Bersani
(battuta che capisce solo lui e fa ridere soltanto lui e i suoi lacchè) alle
frecciatine innocue di Berlusconi
contro lo strapotere della Germania della Merkel, che hanno però come premessa
la lucrosa e insindacabile permanenza nell’euro (lucrosa e insindacabile per
loro che vivono di rendita e non per noi che viviamo di lavoro), alla smania
ossessiva di Monti per le riforme
recessive incentrate sulla riduzione dei salari e l’aumento della flessibilità
del lavoro (una smania indotta dai suoi committenti che stanno a Wall Street,
alla City, a Berlino, a Francoforte), fino alle lauree e ai master inventati
dal menestrello dei banchieri e dei grandi imprenditori Giannino e all’impalpabilità inconcludente e istituzionalizzata di Ingroia (quello che vuole ridiscutere
il Fiscal Compact, con se stesso presumo visto che nessuno in Europa è disponibile a farlo, senza mettere in discussione l’impostazione assurda dell’euro
e dell’unione monetaria più sconclusionata e stupida del mondo). In questo
scenario agghiacciante e spettrale, le parole di Grillo si stagliano sullo sfondo
della campagna elettorale come quelle di un gigante: abbiamo di nuovo bisogno
di un vero Stato, di solidarietà e coesione sociale, abbiamo bisogno di tutelare in ogni modo il
nostro tessuto produttivo, umano e culturale,
abbiamo bisogno di fornire un sostegno a chi è rimasto indietro tramite il reddito di cittadinanza, abbiamo
bisogno di ridiscutere i termini di
permanenza nella zona euro e le
condizioni di rimborso del nostro enorme debito pubblico. E se la
tecnocrazia autoreferenziale e autarchica di Bruxelles non ci permetterà tutto
questo, dovremo in fretta trarre le conseguenze: uscita immediata e irrevocabile dalla zona euro.
martedì 22 gennaio 2013
DA OGGI I NUMERI REALI DELLA NOSTRA ECONOMIA NON SARANNO PIU’ TANTO SOLI
Promuovo
con molto piacere un’iniziativa ideata e coordinata da Fiorenzo Fraioli di Ecodellarete,
insieme ad altri valorosi protagonisti della controinformazione internet (e non
solo) che si oppone eroicamente all’informazione falsa e fuorviante dei canali mainstream: La Solitudine dei Numeri Reali. Si tratta di un blog che in maniera
semplice, chiara e diretta cercherà di spiegare, attraverso dei pratici volantini che possono essere
stampati e diffusi sul territorio, i dati e i grafici che fotografano
esattamente e obiettivamente la situazione economica-finanziaria del mostro
giuridico-istituzionale dell’eurozona in cui si trova oggi imprigionata l’Italia.
Quei numeri di cui nessuno dei nostri inqualificabili politicanti e stralunati economisti di regime parla mai, perché farebbero capire con immediatezza ciò
che sta accadendo ed è accaduto in Italia negli ultimi trent’anni. I numeri
fanno paura perché non possono essere facilmente aggirati, contraddetti o
manipolati e sono proprio questi numeri che prima o dopo condanneranno al
fallimento e all’estinzione tutta l’attuale classe dirigente.
I
temi trattati saranno fra quelli più discussi e dibattuti: il debito pubblico,
l’inflazione, la svalutazione, la spesa dello stato, la bilancia dei pagamenti,
i costi dell’adesione all’area euro, i luoghi comuni sulle virtù della Germania
e i vizi dei paesi PIIGS, sulla corruzione, l’evasione fiscale, gli sprechi, la
casta. Una campagna che intende rinnovare il primato dell’intelligenza umana sull’isteria, la superficialità e
le paure ingiustificate di medievale memoria. La descrizione dell’iniziativa è
già abbastanza eloquente su quelle che sono le sue premesse e finalità: “I “numeri reali”, che descrivono le ragioni
della crisi, i suoi costi e chi li paga, vagano sconsolati in un piccolo angolo
della grande rete. Si erano preparati ad una stagione di notorietà, credevano
di diventare delle star e, per questo, si erano fatti belli, vestendosi di
grafici colorati, tabelle eleganti, infografiche da urlo. Tutto inutile, perché
la scena viene occupata dai loro nemici di sempre: i beceri luoghi comuni”.
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martedì 15 gennaio 2013
AGIRE ATTIVAMENTE SUL TERRITORIO PER UNA NUOVA CULTURA DEL PANE E DEL LAVORO
“La società non è cultura perché la cultura
non è società. E la cultura non è società perché ha in sé l’eterna rinuncia del
“dare a Cesare” e perché i suoi principi sono soltanto consolatori, perché non
sono tempestivamente rinnovatori ed efficacemente attuali, viventi con la
società stessa come la società stessa vive. Potremo mai avere una cultura che
sappia proteggere l’uomo dalle sofferenze invece di limitarsi a consolarlo? Una
cultura che le impedisca, che le scongiuri, che aiuti a eliminare lo
sfruttamento e la schiavitù, e a vincere il bisogno, questa è la cultura in cui
occorre che si trasformi tutta la vecchia cultura.” (Elio Vittorini, editoriale sul primo numero de “Il Politecnico”
uscito il 29 settembre del 1945)
Non
so per quale motivo, dopo aver partecipato ad un convegno organizzato da Reimpresa e dall’ARS (Associazione Riconquistare la Sovranità), relazionato dal
professore di diritto nonché presidente dell’ARS Stefano D’Andrea, mi sono venute subito in mente le parole di
Vittorini, che per quanto riferite ad un periodo storico molto diverso dal
nostro (ma mica tanto e ne parleremo dopo) rimangono ancora attuali. Domenica
scorsa ad Alcamo, io ho assistito ad uno spaccato molto vivido e pregnante
della nuova cultura che vorrei si diffondesse presto in Italia. Una
cultura che non parla più per astratti concetti, per “ismi”, per categorie ideologiche o ideologizzanti, per guelfi o
ghibellini, per destra o sinistra, ma che si occupi soltanto del pane e del
lavoro e dei modi in cui in questo benedetto paese possano tornare di attualità
tutti i temi riguardanti il reddito e la
dignità dei suoi cittadini. Non con il solito inefficace e improduttivo buonismo
di facciata dei partiti, dei sindacati e dei politicanti mainstream, invocando in modo confuso e a margine politiche attive
per il lavoro come se fosse un corollario dovuto, ma andando oltre la superficie
fino alla radice del problema e mettendo questi argomenti al centro e nel primo
capoverso di qualsiasi nuova agenda politica. Perché senza lavoro non c’è
reddito e senza reddito non solo non c’è più giustizia sociale, non c’è
crescita economica, ma neppure libertà. E senza libertà si finisce in questo catafascio di società dell’assurdo in cui viviamo oggi.
domenica 23 dicembre 2012
EURO E COSTITUZIONE: PER UNA NUOVA VISIONE DELL’ECONOMIA COME SCIENZA SOCIALE
Ci
avviciniamo alla fine dell’anno (la
fine del mondo a quanto pare è stata scongiurata) ed è arrivato il momento di
fare i bilanci. Il 2012 è stato un
anno pesante da molti punti di vista: sociale, economico, politico, culturale.
L’anno di governo concesso ai tecnici è stato caratterizzato da un inaridimento culturale che ha pochi
precedenti nella storia della nostra Repubblica: questo infausto periodo verrà
infatti ricordato come l’anno dello spread, ovvero l’anno in cui la grande finanza internazionale per tramite del suo portavoce Mario Monti ha fatto il suo ingresso
trionfale sulla scena politica italiana per ribadire il suo ormai trentennale
primato rispetto a tutti gli altri valori che dovrebbero caratterizzare la vita
di questa Repubblica. La coesione sociale innanzitutto, la solidarietà
civile e il lavoro, che mai come in
quest’anno è stato massacrato, umiliato e relegato al ruolo di rincalzo di
interessi privati e spesso stranieri: la disoccupazione
deve essere tollerata per tranquillizzare i mercati sulla nostra intenzione a
tenere bassi i salari, la flessibilità
deve essere aumentata e la contrattazione
sindacale ridotta ai minimi termini per invogliare i mercati ad investire in
Italia, i licenziamenti devono
essere più facili per attirare i capitali dall’estero e il nostro patrimonio aziendale, pubblico e umano
deve essere svenduto agli investitori stranieri per consentire a loro di fare
profitti e a noi di diventare pura merce
di scambio. E difatti mai come in quest’anno gli investitori e gli
speculatori esteri hanno esultato per l’operato di un nostro governo. Ed è
ovvio che da tutte le testate giornalistiche e sedi istituzionali estere si
siano levati cori di giubilo prima e appelli accorati adesso affinché Monti e la sua banda di mercenari
continuino nella loro "rigorosa e sobria" opera di
spoliazione dell’Italia.
Tuttavia
l’evento che più mi ha colpito in questi ultimi giorni è un altro. E’ singolare
infatti che proprio alla conclusione di questo anno terribile per l’Italia uno
dei giullari del regime infame che
da tempo ci tiene sotto scacco, Roberto
Benigni, sia stato chiamato in causa per magnificare i valori contenuti
nella nostra Costituzione; cercando
quasi di nascondere e occultare goffamente con la forza delle suggestioni e
dello slancio emotivo le modalità
criminali in cui la nostra pregevolissima Carta Universale dei Diritti Umani è
stata ormai vilipesa e ridotta a pura carta straccia dagli eurocrati suoi
committenti. Ma di cosa si è trattato? Di
una burla? Di una beffarda provocazione? Di un palese raggiro? Si sa che i
giullari lavorano al servizio dei regnanti di turno (in questo caso il
committente principale è stato re Giorgio
Napolitano), ma c’è sempre un limite alla decenza. Vi sarete sicuramente
accorti che tutto il mellifluo panegirico del giullare di corte pagato a peso
d’oro ruotava intorno ad un imbarazzante
controsenso induttivo: il fondamento della nostra Costituzione è il lavoro,
la gabbia dell’eurozona in cui ci siamo incastrati non permette di attuare
politiche economiche a difesa e tutela del lavoro, quindi la nostra Costituzione non ha più un fondamento,
non serve più a niente, tranne che ad essere sbeffeggiata ed esposta al pubblico
ludibrio dal primo deficiente che viene pagato per farlo. Ma c’è un altro
particolare che rende raccapricciante l’intera messa in scena.
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martedì 11 dicembre 2012
LA DITTATURA DELLO SPREAD E IL PROGRAMMA DELLA SHOCK ECONOMY IN ITALIA
Ieri è stata una
giornata di fibrillazione e passione in Italia: tutti gli occhi degli
analisti, degli opinionisti e degli organi di informazione erano puntati sull’andamento
dello spread, che dopo essere sceso nei giorni scorsi intorno ai 300
punti base, è risalito sopra quota 350 punti base. L’indice di Piazza Affari è crollato
di -2,21%. I titoli bancari sono andati a picco. L’Italia si è avvicinata di
nuovo pericolosamente al cosiddetto baratro. Visi preoccupati dappertutto,
catastrofismo a fiotti, paura sparsa a piene mani e raffiche di dati allarmanti.
Persino il Vaticano ha ritenuto
opportuno pronunciarsi, per bocca del Presidente della Conferenza Episcopale
Italiana Bagnasco: “La casa brucia.
Irresponsabile chi pensa a sé. Non si possono mandare in malora i sacrifici di
un anno. Monti? Errore non avvalersene in futuro”. Ma cosa è accaduto di così straordinariamente minaccioso per l’Italia?
Come mai la propaganda di regime italiana si è mossa all’unisono con tanta
aggressività e compattezza? E’ accaduto un fatto normalissimo. Uno dei partiti
di maggioranza, il PDL, che
appoggiava il governo dei banchieri
guidato da Monti ha avuto l’insolenza di dire la verità: tutti i dati
economici, dal PIL, all’occupazione, alla produzione industriale, ai consumi, ai risparmi, al debito pubblico,
alla pressione fiscale sono
peggiorati dopo un anno di governo Monti, e quindi il PDL ha preferito non
garantire più il suo sostegno incondizionato. Cosa c’è di tanto strano in tutto questo? Niente. E’ una
normalissima dinamica democratica che si ripete da sempre in tutti i paese che
possono ancora reputarsi tali. Tuttavia nello stato di diritto di eccezione in cui si trova incastrata da anni
l’Italia all’interno dell’eurozona, commissariata di fatto dai "mercati" finanziari, ogni azione, che abbia una lontana parvenza di democraticità, diventa
incredibilmente pericolosa e delicata.
Tralascio ovviamente tutto lo squallore dei tatticismi
e delle questioni interne al PDL, basate su alcune rivendicazioni tipiche di un
partito padronale (la riforma della giustizia, la legge sulle intercettazioni,
l’incandidabilità dei condannati etc), e vado subito al sodo: in linea di principio la bocciatura al governo Monti non fa una
piega. I presunti tecnici, che in realtà sono solo degli sciacalli mercenari al soldo degli
interessi dei grandi poteri finanziari internazionali, hanno fallito su
tutta la linea e qualcuno doveva farglielo notare a livello pubblico e
istituzionale. In realtà, prima della bocciatura del PDL, il governo Monti
allineato ai principi folli dell’”austerità espansiva” dell’eurozona era
stato bocciato addirittura dal FMI, che senza mezzi termini ha dimostrato in un
suo documento, con tanto di grafici e dati inequivocabili, che continuando a
fare tagli alla spesa pubblica e aumenti
di tasse la situazione economica avrebbe finito per peggiorare
inesorabilmente. Tutti i più accreditati
ed autorevoli economisti del mondo, da qualunque latitudine del globo,
hanno fatto notare a più riprese, non senza qualche accenno di ironia e
sarcasmo, che la strada percorsa
dall’Europa è senza ritorno e non ha via di uscita. Chi governa oggi in
Europa probabilmente sa già di stare percorrendo una vicolo cieco, che prefigura la recessione
come unica soluzione alla crisi: secondo loro, la deflazione dei salari dei lavoratori è l’unico modo per
incoraggiare i nuovi investimenti, mentre la deflazione dei prezzi favorirà alla fine i consumi, perché la
ricchezza finanziaria reale accumulata dalle famiglie aumenterà il suo potere
d’acquisto e chi ha qualche risparmio da parte sarà invogliato a spendere.
Chiariamo subito che una tale eventualità non è mai accaduta in passato nella
storia del mondo, perché sappiamo bene quanto pesino le pessime aspettative e l’incertezza sul futuro sulle scelte di
investimento e di consumo degli agenti economici, eppure l’Europa continua ad
andare avanti e ad incoraggiare quei governanti che assecondano indefessamente
questa strategia suicida di stampo neoliberista,
mercantilista ed imperialista. Perché?
lunedì 3 dicembre 2012
USCITA DALL’EURO E RITORNO ALLA LIRA: COSA ACCADE AI TASSI DI INTERESSE E AI MUTUI?
L’economia è una disciplina della scienza sociale molto
complessa e articolata, questo lo abbiamo ribadito più volte. Più ti addentri
nei suoi meandri e più ti accorgi che è piena di snodi, maglie, matasse, connessioni, correlazioni spesso difficili
da districare e dipanare con chiarezza ed efficacia. Per questo motivo, per
affrontare meglio l’analisi, gli economisti lavorano quasi sempre utilizzando
dei modelli che consentono di
semplificare i comportamenti individuali e accorpare le grandezze aggregate
(consumi, investimenti, spesa, offerta, domanda, inflazione etc). I modelli
hanno la stessa importanza e funzione delle carte geografiche per un esploratore, perché servono ad indicare
una rotta, un percorso: maggiore è la scala del modello, il grado di dettaglio
e maggiore sarà la visione complessiva di tutte le strade percorribili. Ogni
economista inoltre enfatizza nel modello la caratteristica che vuole di più
evidenziare, così come i cartografi fanno mappe politiche, geografiche,
morfologiche, toponomastiche, stradari, a seconda di quelli che sono gli usi richiesti
dai fruitori. Tuttavia, quando gli economisti cercano di costruire modelli
basandosi su modelli precedenti e non direttamente sulla realtà avviene il
fenomeno di distorsione, di corto circuito e di inarrestabile alterazione dei
risultati ottenuti che ben conosciamo: finisce la fase di utile e interessante descrizione dei processi reali e inizia quella della modellizzazione del modello, della mistificazione.
Le mappe economiche basate su
modellizzazioni successive portano quasi sempre fuori strada, sia perché
partono spesso da premesse iniziali sbagliate, sia perché le direzioni, diramazioni,
destinazioni di arrivo hanno davvero pochi
riscontri con ciò che accade intanto nella realtà o si evince dai dati sperimentali. In un precedente articolo, abbiamo visto per
esempio come la correlazione che molti esploratori sprovveduti (definiti come
dei veri e propri automi che ripetono
meccanicamente sempre gli stessi concetti senza mai prendersi la briga di
ragionare prima di parlare) fanno fra svalutazione
e inflazione è nella maggior parte
dei casi infondata e trova davvero pochi agganci con i dati sperimentali della
realtà. Senza dubbio possiamo dire che entrambe queste grandezze influiscono a
definire il “prezzo” o il valore di una certa moneta, ma partendo da
presupposti diversi: l’inflazione misura
il valore interno della moneta tramite il potere di acquisto, la svalutazione
(o rivalutazione) serve invece a quantificare il valore esterno della moneta
tramite il tasso di cambio (esiste
poi una terza variabile, il tasso di
interesse, che identifica il valore
intertemporale di una moneta). Basterebbe già riflettere a fondo su queste
definizioni per capire che fra svalutazione e inflazione c’è in mezzo un oceano
di elementi, fattori, variabili,
caratteristiche produttive di un certo sistema paese che impediscono la
postulata e quanto mai assurda relazione diretta di causa effetto fra
svalutazione e inflazione. Ma per capire meglio quanto già detto e dimostrato,
ricorriamo ad un semplice esempio.
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venerdì 30 novembre 2012
SPESA PUBBLICA, CASTA, CORRUZIONE: ECCO COME FUNZIONANO LE COSE NEL PALAZZO
La complessità spesso spaventa e pur di non guardarla dritta in faccia
e capire quanto è profondo e difficile il cammino che porta alla verità, preferiamo trincerarci dietro
facili semplificazioni: la spesa pubblica improduttiva, la casta spendacciona,
la corruzione. A volte queste semplificazioni
sono necessarie per non appesantire troppo il discorso e rendere scorrevole il
ragionamento, altre volte invece rischiano di farci precipitare verso la più
assoluta vacuità. Deragliamo facilmente dalla giusta direzione, sbagliamo il
bersaglio. Un’analisi molto più accurata di ciò che succede negli ingranaggi
dell’amministrazione pubblica, come quella proposta dall’ottimo blog Orizzonte48, ci mostra invece come con
prudenza, lucidità, competenza si possa aprire un varco di luce all’interno del
palazzo e una volta capiti alcuni suoi meccanismi, distorsioni, cominciare ad
avere meno paura di quella complessità che tanto ci spaventa. La sensazione di
sospensione e disorientamento che ho avuto io leggendo questo articolo tutto d’un
fiato è stata molto simile a quella fuga onirica e surreale che si prova
leggendo i libri di Kafka (il Processo e il Castello in particolare). Vi
consiglio di leggere con attenzione questo articolo, magari a pezzi, a piccoli
sorsi, per assimilarlo e metabolizzarlo bene. Ne vale la pena. E’ un
arricchimento in tutti i sensi.
Dopo aver perso molto tempo
utile dietro vani tentativi di dare forma e sostanza ad un Movimento Democratico Aggregante per la riconquista della sovranità
nazionale a tutti i livelli, mi sono accorto amaramente che forse ancora è
troppo presto, è prematuro perché si creino solo le basi per la nascita di un
simile Movimento. Nei prossimi mesi vedrete sfilare davanti a voi tanti carrozzoni elettorali colorati di
arruffapopoli al grido di: “Sovranità
Monetaria! Fuori dall’euro! Piena Occupazione! Noi siamo i giusti! Noi siamo i
vincenti! Noi siamo l’Italia”. Ma per esperienza personale e diretta vi
dico che all’interno di questi Movimenti c’è il vuoto più assoluto, nessuna percezione
reale della complessità dei problemi che ci troviamo ad affrontare, solo slogan accattivanti, emotività allo stato puro, fanatismo della peggiore specie e la foga, la fretta, l’affanno di
conquistare qualche poltrona in parlamento. Per non parlare poi dell’opacità mostruosa con cui vengono gestiti
i processi decisionali interni, il flusso di denaro, la selezione della presunta classe dirigente,
la condivisione dei metodi e delle
regole, la contraddizione di termini
nel voler combattere il sistema
oligarchico e privatistico che ha imposto dall’alto l’Unione Europea ai
popoli senza chiedere mai la legittimazione democratica dei cittadini
riproducendo esattamente al proprio interno i suoi stessi vizi di forma: tutto
viene calato dall’alto, lavorando sulla pressione
e il ricatto psicologico, in nome della continua eccezione alla regola, alla forma, al metodo perché i tempi sono
stretti ed è talmente tanto importante il nostro obiettivo che qualche accelerazione è d’obbligo. Vi ricorda qualcosa questo modo di fare e
di pensare?
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