lunedì 25 marzo 2013

UN APPELLO AI MINISTRI DEL PROSSIMO GOVERNO: SALVATE LA COSTITUZIONE ITALIANA!


Mentre si consuma l’ennesimo atto dell’epopea cipriota, con il momentaneo abbandono delle tumultuose note da Cavalcata delle Valchirie e il ritorno ai più pacati e agonizzanti ritmi della tragedia greca (nel senso che Cipro entrerà a buon diritto in quel vicolo cieco da cui non si esce di recessione, disoccupazione, povertà diffusa in cui sono già definitivamente ingabbiate Grecia, Portogallo, Irlanda), in Italia continuano le grandi manovre per la formazione del nuovo governo a guida Bersani. Un nuovo governo che presumibilmente, sulla scorta di ciò che è accaduto con la presidenza della Camera e del Senato, escluderà a priori alcuni nomi impresentabili della politica, per impressionare ed emozionare le folle con i membri più illustri e prestigiosi della società civile. Come se questa copertura posticcia rappresenti indiscutibilmente una garanzia di successo. Tuttavia sappiamo bene che un governo deve essere giudicato per ciò che fa concretamente, per come gioca la sua partita e non per ciò che rappresenta o suscita nella gente. Un po’ come quelle squadre di calcio che vengono assemblate mettendo insieme giocatori famosi e strapagati che sulla carta sembrano fortissime e poi sul campo si rilevano disastrose, disorganizzate, prive di coesione, spirito di gruppo, solidità. Il rischio che l’Italia corre in questo momento, sulla scia del suggestivo reclutamento delle eccellenze, è proprio questo.


Trovo quindi più che opportuno da parte del blog Orizzonte48 giocare di anticipo e tentare di intavolare un dialogo preventivo con i nomi più papabili della lista. In particolare con due emeriti costituzionalisti come Valerio Onida e Gustavo Zagrebelsky. Ottimi professionisti nel loro campo, ma assolutamente privi di quelle chiavi di lettura economiche e finanziarie necessarie per una corretta interpretazione degli eventi dell’attuale crisi europea. O almeno così sembra da ciò che dicono su alcuni temi scottanti come il debito pubblico e la necessità delle politiche di austerità. Se da una parte i noti giuristi difendono a spada tratta i principi inviolabili ed universali contenuti nella nostra Costituzione, dall’altra non capiscono che proprio i vincoli europei e le continue cessioni di sovranità hanno di fatto stralciato gran parte di quei principi. Facendo ripiombare l’Italia in uno di quei periodi di angoscia, asfissia e assenza di libertà descritti tanto bene, in un memorabile discorso, dal nostro più celebre padre costituente Piero Calamandrei: "La politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica".
         

UN "ESTREMO" APPELLO A VALERIO ONIDA E GUSTAVO ZAGREBELSKY



Sapete quanto sia prezioso Dagospia nel fare il punto della situazione. Dal sito traggo questa notizia-indiscrezione sulla possibile composizione di un governo da parte dell'incaricato Bersani:


"Intanto il leader si prepara al meglio per arrivare giovedì da Napolitano con in tasca anche una squadra di governo snello, ma con nomi originali, pochi politici e molte donne. Ricorrono in queste ore sempre i nomi di Padoan, Barca, Zagrebelsky, Onida, De Rita, di Maria Chiara Carrozza e Michela Marzano, con qualche new entry, come l'ex Confindustria Giampaolo Galli. E ieri Bersani nel suo giro di confronto con le personalità della società civile, ha incontrato Roberto Saviano, garantendogli che se farà il governo «si faranno subito misure per la legalità»."


Ora tra tutti questi nomi, supponendo che corrispondano a una vox populi ac "giornalorum" che riflette il sentiment corrente, mi vorrei soffermare su alcuni. Partiamo da Pier Carlo Padoan: al riguardo non c'è molto da aggiungere perchè al suo pensiero economico, quale espresso in dirette e plurime prese di posizione, abbiamo dedicato una serie di post esplicativi: si tratta di una posizione di neo-macroeconomia classica, orientata a un "doloroso deleveraging" tutto a carico del bilancio pubblico, visto che il problema è sempre e comunque l'eccesso di Stato e di spesa pubblica. In particolare Osservatorio PUD€-1 e Osservatorio PUD€-2. Da quest'ultimo riportiamo il commento finale (che potrà tornarci utile nell'esame della posizione dei nominativi ulteriori):


“...si continua a ignorare che l'ammontare del debito pubblico (e quindi, a monte, dell'indebitamento annuale), non ha alcuna evidente e comprovata influenza negativa sulla crescita, come hanno dimostrato Panizza e Presbitero in uno studio recepito dallo stesso FMI”. 


Riassuntivamente: "gli studi empirici che "dimostrano" che debitopubblicobrutto è il principale se non unico responsabile dei nostri mali, di solito non tengono conto di un dato elementare: purtroppo non è solo la crescita a dipendere dal debito, ma anche, spesso e volentieri, il debito a dipendere dalla crescita. Ad esempio, se l'economia va in recessione il gettito fiscale cala e il debito quindi cresce più in fretta: la relazione negativa osservata (più debito=meno crescita) in questo caso dipenderebbe non dal fatto che il (troppo) debito danneggia la crescita, ma dal fatto che la (poca) crescita peggiora il debito". 


Insomma, in situazione recessiva (sempre più) diffusa, e determinata da squilibri commerciali indotti dal cambio fisso non compensato da trasferimenti "centralizzati" UEM, non c'è modo di sostenere realisticamente che la soluzione risieda in "sound fiscal policies" orientate alla "fiscal consolidation", in particolare al taglio della spesa pubblica (oltre che a maggior pressione fiscale).


Ignorare Keynes può essere giustificato da un'intera vita di studi dediti alla sua demolizione (sulla base di riscontri empirici mai condotti fino in fondo e anzi smentiti dalla realtà): ignorare De Grauwe, Stiglitz, Panizza, e se vogliamo, persino Blanchard, porterà a ulteriore recessione e, nella migliore delle ipotesi, alla "strutturazione" della debole crescita all'interno di un'unione monetaria semplicemente insostenibile."


A questo punto affrontiamo, invece i nomi di Gustavo Zagrelbesky e Valerio Onida. Si tratta probabilmente dei due più autorevoli, e certamente mediaticamente più noti, costituzionalisti italiani. Il secondo ha anche un suo blog "Valerio Onida- Passione civile" da cui riportiamo, per estratto dei passaggi salienti, un post sulla crisi economica, tratto da un articolo anche pubblicato sul Sole24ore:


"...Da “cittadino incompetente”, vorrei provare a mettere in riga alcune semplici e magari semplicistiche riflessioni capaci di orientare il giudizio che, alla fine, anche gli elettori, non solo i “mercati”, dovranno dare sulle scelte compiute o non compiute.


Una cosa l’abbiamo capita bene: il debito pubblico che ristagna intorno al 120% del PIL è una palla al piede che il paese non può ulteriormente permettersi. Il problema è come ridurne l’entità. Ci dicono che la via maestra sarebbe l’aumento del PIL (la famosa “crescita”) con ritmi che, nel volgere degli anni, ridurrebbero l’incidenza relativa del debito, pur costante in termini assoluti, se si riesce nel frattempo ad evitare nuovo disavanzo annuale. Ma poi ci spiegano che molte delle misure che riducono la spesa pubblica o che aumentano il prelievo fiscale sono destinate ad avere effetti contrari alla crescita del PIL. Sembra un circolo vizioso.


Il coro invoca la riduzione dei “costi della politica”: e va bene, era ora. Non ha senso che i parlamentari paghino i pasti al prezzo di una mensa operaia (a spese delle Camere). Ma tutti sappiamo che se anche smettessimo da un giorno all’altro di pagare compensi a tutti i titolari di cariche elettive, o abolissimo queste ultime, avremmo ridotto di poco il problema finanziario (e, forse, avremmo ridotto anche il tasso di democrazia del paese: attenzione, prima di entusiasmarsi per i dimezzamenti delle “poltrone”, senza domandarsi quali dovrebbero essere i rapporti numerici congrui fra rappresentanti e rappresentati!). Eliminare gli sprechi? E’ sacrosanto (in genere, però, sono visti come “sprechi” solo i soldi spesi per altri, non quelli spesi per interventi che finanziano le nostre imprese o le nostre famiglie).


Ma poi, combattuti gli sprechi, siamo sicuri di volere (e che sia accettabile) uno Stato che riduca ancora la spesa per l’istruzione, per la salute, per l’assistenza sociale a chi ne ha bisogno, per la cultura?


L’incompetente allora si domanda: c’è un’altra strada per abbattere il debito pubblico o il suo onere eccessivo? Lo Stato potrebbe vendere beni (o assets, come oggi si dice), salvo poi trovarsi impoverito di strumenti e risorse per perseguire i suoi scopi (che non sono solo quello di mantenere l’ordine pubblico). In ogni caso non sembra una strada semplice né rapida (intanto, però, si cedono gratuitamente alle imprese televisive frequenze dell’etere, che sono  un bene pubblico limitato). Oppure si potrebbe chiedere ai cittadini di contribuire una tantum ad abbattere il debito, secondo la logica per la quale “lo Stato siamo noi”, e quindi, se lo Stato ha un fabbisogno straordinario, noi dobbiamo concorrere a colmarlo.


Ci hanno spiegato a lungo che la forza dell’Italia, nella claudicante economia dei paesi sviluppati, era che noi abbiamo sì un grande debito pubblico, ma relativamente poco debito privato, e cioè i cittadini hanno un patrimonio netto (beni meno debiti) più cospicuo che altrove. Bene, allora perché non si chiede ai cittadini titolari di questo patrimonio di sacrificarne una piccola parte ciascuno, in progressiva proporzione all’entità del possesso individuale, per consentire allo Stato di ridurre significativamente il suo debito, vuoi attraverso un prelievo straordinario, vuoi attraverso un prestito, spontaneo o “forzoso”, da restituire a lungo termine e ad interesse inferiore a quello che i “mercati” pretenderebbero? O immediatamente, o in prospettiva, per effetto della riduzione degli interessi, l’onere del debito pubblico diminuirebbe.  


Subito si leva il coro: altre tasse, per di più sul patrimonio? Vade retro! Lo Stato ha fatto il debito, lo Stato lo ripaghi.  Com’è noto,quando una persona si indebita troppo rispetto alle sue possibilità economiche, o fallisce subito o finisce nelle mani degli strozzini, che gli prestano sì nuovo denaro, ma ad interessi sempre più alti (e alla fine fallisce lo stesso perché non è più in grado di rimborsare i debiti contratti). Nel nostro caso gli “strozzini” sono i “mercati”, che di fronte alle difficoltà dello Stato alzano la misura degli interessi richiesti per continuare a finanziarne il debito (il famoso spread). E dunque?


Non vorremmo che finisse come altre volte nella storia: il debito pubblico evapora come neve al sole perché, o con l’inflazione (se non dovessimo più avere la protezione dell’euro) o con la “ristrutturazione”, i titoli di Stato diventano carta straccia. Ci perderebbero gli “strozzini”, e poco male, visto che molti sono professionisti del rischio finanziario, ma ci perderebbero anche i cittadini normali che hanno investito tutti o parte dei loro modesti risparmi (pensando che lo Stato non è la Cirio né la Parmalat) in titoli di Stato: in quel debito pubblico che, come diceva lo Statuto albertino (la Costituzione repubblicana non lo ripete, ma in qualche modo lo presuppone) è - deve essere - “guarentito” (perchè “ogni impegno dello Stato verso i suoi creditori è inviolabile”).


L’unica cosa che dovremmo esigere è che alle “dolorose” operazioni necessarie presieda un Governo (sorretto da una maggioranza parlamentare più ampia possibile) degno di questo nome, cioè credibile."


Per voi attenti lettori questa serie di indicazioni non potrebbe che essere preoccupante. Riassumendo: il debito pubblico è il problema economico italiano, siamo finiti nella mani degli strozzini-mercati a causa del fatto che ci saremmo troppo indebitati (vivendo "al di sopra delle nostre possibilità"...), l'unica soluzione è che un governo credibile introduca una forte una tantum patrimoniale (anche perchè uscire dall'euro condurrebbe a un'inflazione distruttiva...del debito pubblico...in mano alle famiglie!!!). Fortunatamente (in senso eufemistico), premette di essere un "cittadino incompetente". 


In effetti non pare conoscere le "verità nascoste" e parte da premesse del tutto smentite dai dati economici: il debito pubblico italiano non è la palla al piede; il debito pubblico italiano non è stato creato da eccessi di spesa, bensì da eccessi di interessi passivi a favore di grossi soggetti finanziari; tentare di correggere l'ammontare del debito mediante una forte incisione patrimoniale sui privati non solo piomberebbe il paese in una recessione autenticamente distruttiva (ancora di più), ma non risolverebbe le cause della crisi, che sono da individuare nell'euro, cioè in una moneta che diminuisce la competitività dei nostri beni sui mercati esteri e ci porta in situazione di indebitamento privato via CAB strutturale e crescente; questo indebitamento privato, da squilibrio commerciale a base monetaria, sarebbe riproducibile e persino aggravato anche in caso di abbattimento del debito (deleveraging, appunto, su cui vale il passaggio di Osservatorio PUD€-2 sopra riportato).


Insomma quello che è preoccupante è uno dei più grandi costituzionalisti italiani appaia completamente all'oscuro delle ragioni della crisi: tanto per dire, il debito pubblico è in mano non certo alle famiglie, ma per circa il 90% a istituzioni finanziarie, che sarebbero esse stesse ad essere garantite dal prelievo patrimoniale sulle famiglie. Insomma, al governo potrebbe andare una personalità che potrebbe non avere difficoltà a concordare con Schauble e in generale con le più "oscure" pulsioni germaniche.


Veniamo a Zagrebelsky. Con lui, in linea teorica, ci accomuna il voler riproporre il pensiero giuridico di Costantino Mortati e Piero Calamandrei. Ma, mancando del tutto, nell'analisi di Zagrebelsky, punti di riferimento riferiti alla reale causa europea della crisi economica e costituzionale italiana gli sviluppi tratti da questi grandi antecedenti di pensiero sono obiettivamente dissimili. Questa coincidenza di premesse e divergenza di conclusioni si vede bene in questo passaggio riassuntivo di sue recenti prese di posizione politico-istituzionale:


"Nella Costituzione troviamo la politica, il bene pubblico che più, oggi, scarseggia". Di una "stagione costituzionale", e non di una "stagione costituente", quindi, il Paese ha bisogno, spiega Zagrebelsky. Di "atti di contrizione e segni di discontinuità" con quanto ci ha preceduto. E, in questa parola d'ordine, ossia nel dettato costituzionale, si troverebbe soluzione ai problemi del Paese che vengono elencati nel manifesto. Al primo posto anche qui il lavoro, quindi i diritti civili, l'uguaglianza, l'equità sociale e fiscale, i servizi sociali, la salute, la cultura e i beni culturali, la natura, intesa come patrimonio a disposizione di tutti; l'informazione, come diritto dei cittadini a essere informati e dei giornalisti di informare; la politica come autonomo discorso sui fini e la partecipazione all'Europa."


D'accordo che il bisogno sia quello di una "stagione costituzionale", ma il tutto diventa irrimediabilmente generico e privo di valore pratico se non si indica come, alla luce della cause effettive della attuale crisi, si possa "porre al primo posto" il lavoro, i diritti civili, e tutto quanto elencato, quando non si prende in esame neppure per un momento che tutto questo è antitetico al trattato UE-UEM, scritto sotto la spinta delle teorie macroeconomiche neoclassiche di Lucas e Von Hayek, che di tale elenco di interessi e programmi perseguiti dalla nostra Costituzione sono inconciliabili avversari. 


Ora più che allargare il discorso all'analisi del pensiero politico-economico degli altri nomi, indicati all'inizio, di possibili futuri appartenenti al governo che si cerca di formare, mi viene da rinnovare un appello. 


Un appello rivolto a questi due illustrissimi e influenti costituzionalisti, che come giuristi, si trovano nella difficile posizione di non essere "colpevoli" di ignorare la verità su certi meccanismi economici che non sono chiariti dagli stessi economisti (tranne le note eccezioni cui va la nostra riconoscenza), ma al tempo stesso avrebbero l'onere, nell'interesse della democrazia, di poter difendere la Costituzione cognita causa, in modo da poterne comparare la effettiva portata, lavorista e redistributiva, con l'inesorabile disegno economico-finanziario racchiuso nel vincolo europeo.


L'appello che affido a queste pagine di nicchia, ma che mi auguro ripreso dalla capacità dei lettori di far sentire la propria voce e il proprio impegno civile, è rivolto a questi due illustri costituzionalisti affinchè, quando e come potranno dedicarci il loro prezioso tempo, prendano in considerazione quanto scritto nei seguenti post:

         a)   FOCUS 3- "REDUX";



Non nutriamo eccessive speranze di essere ascoltati così "in alto". Ma un tentativo crediamo valga la pena di farlo. Se non altro per non rimanere con lo scrupolo di aver trascurato una delle possibili vie che, nella piena circolazione delle idee e di una informata visione razionale, potrebbero portare frutti di verità e di democrazia.


2 commenti:


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