In uno degli ultimi articoli scritti da Paul Krugman sul New York Times, mi ha
molto colpito questa frase: “La Francia
ha commesso l’imperdonabile errore di essere fiscalmente responsabile senza
infliggere dolore alle classi povere e disagiate. E deve essere punita”. In
particolare l’economista americano si riferiva al recente declassamento dell’agenzia
di rating Standard&Poor’s, e ai continui ammonimenti della
Commissione europea riguardo alle scelte
di politica fiscale del governo francese (superamento della fantomatica
soglia del deficit pubblico del 3%): in pratica, ad avviso delle èlite finanziarie internazionali, non bisogna distruggere l’economia e il
tessuto produttivo nazionale solo con gli aumenti delle tasse, come fa Hollande oggi, ma anche e
soprattutto con i tagli alla spesa
pubblica, in particolare quelli riguardanti il generoso stato sociale concesso
ancora ai cittadini francesi. Per rendere rapidamente un paese innocuo e schiavo delle
oligarchie transnazionali bisogna mettere a punto quelle fondamentali “riforme
strutturali” del mercato del lavoro, del sistema pensionistico, del welfare state, senza le quali un popolo ancora
sano, ancora orgoglioso della propria identità
nazionale, può avere un giorno o l’altro la forza di riscattarsi dal giogo della dittatura europeista e più in generale dalla minacciosa omologazione globalista. E non sarà un caso che il movimento politico anti-europeista più vivace e organizzato del
continente sia proprio francese, il Front National di Marine Le Pen.
I francesi insomma sono ancora innamorati del loro
paese, e non sono stati condotti lentamente ad odiarlo come è accaduto a noi
italiani negli ultimi venti anni: la peggiore
classe dirigente di tutti i tempi non solo ha applicato alla lettera tutte
le indicazioni ultraliberiste provenienti dai “mercati” e dalla Commissione europea, ma si è anche distinta per
essere la prima della classe nella rapida attuazione dei diktat recessivi. Non solo
aumenti sproporzionati delle tasse scaricati soprattutto sui ceti più deboli,
ma anche tagli lineari e indifferenziati della spesa pubblica che hanno
riguardato la sanità, l’istruzione, la ricerca, il sistema previdenziale e
assistenziale, le dismissioni, le privatizzazioni. E in un periodo di
recessione, il taglio della spesa
pubblica è molto più letale dell’aumento delle tasse, perché mentre il
primo annulla immediatamente gli effetti diretti di aumento del reddito e
indiretti del moltiplicatore fiscale, il secondo spesso incide solo sui
risparmi e sui patrimoni accumulati, lasciando inalterato il livello dei consumi
(almeno per coloro che avevano ancora dei risparmi e dei patrimoni da
utilizzare per pagare le tasse). E il tutto soltanto per garantire la certezza di rimborso ai creditori (soprattutto quelli stranieri) del debito pubblico italiano. E non sarà magari una semplice coincidenza che proprio oggi sul
blog di Beppe Grillo è apparso un
articolo di accusa nei confronti del governo Letta, che dipinge il giovane
apprendista stregone piddino come un Quisling e un collaborazionista agli ordini
delle potenze e degli interessi stranieri.
Vuoi vedere, mi sono detto, che il lobotomizzato e
sonnacchioso Beppe Grillo si è ridestato dal torpore, prendendo spunto dal
coraggio e dall’orgoglio nazionale della francese Le Pen? Niente paura, perché proprio
alla fine del suo vibrante editoriale, Beppe Grillo si è invece nuovamente
qualificato per quello che è: un “idiota”,
che non capisce (o capisce perfettamente) che le sue incessanti indicazioni di
taglio della spesa pubblica vanno proprio incontro alle premurose richieste dei
“mercati” e della Commisione europea,
in vista della definitiva distruzione dello Stato italiano e della messa in
schiavitù del suo popolo. Ecco le sue testuali parole: “Vanno tagliati gli sprechi, le spese
inutili che
ammontano a circa 100 miliardi. Queste voragini nel bilancio dello Stato non
possono però essere eliminate da chi ne gode i benefici, dai partiti e dai
Letta, che appunto per questo vanno mandati a casa.” Ebbene
il buffone di corte, senza mai avere alcuna contezza delle teorie keynesiane
espresse da certi economisti di cui impunemente si appropria (Stiglitz e
Krugman sono i suoi preferiti), vuole addirittura fare un taglio della spesa
pubblica di ben 100 miliardi, senza neppure spiegare se questi 100 miliardi
verranno in qualche modo reinvestiti dallo Stato o utilizzati soltanto per
rimborsare i nostri creditori stranieri. Insomma è come se il nuovo Quisling Grillo voglia mandare
questo preciso messaggio ai “mercati”
e alla Commissione europea: “fate fare a
me, che sono più amato e benvoluto dagli italioti, ciò che i vari Letta o
Alfano o Monti non possono più fare perché troppo odiati e sfiduciati”. E’
una vera e propria candidatura al ruolo di sommo
collaborazionista e altissimo traditore
della patria.
Ma Grillo è talmente “idiota” da non accorgersi che ciò che dice successivamente è in
contraddizione con ciò che ha appena scritto (o meglio perfettamente in linea
con la sua “idiozia”): “Vanno rinegoziati con la UE il tetto del 3%
che ci strangola, che va superato da subito per gli investimenti in attività
produttive, ristrutturato il nostro debito, cancellati gli impegni impossibili
assunti con il Fiscal Compact
con nuove tasse per 50 miliardi all'anno per vent'anni, una pazzia. Ma come,
prima vuoi tagliare la spesa pubblica con l’accetta e poi vuoi espandere la
soglia del deficit? E cosa vuoi fare prima, il taglio o l’espansione? E visto
che la ristrutturazione del debito comporterà un aumento degli interessi, come
fai a pagare i costi del nuovo indebitamento, per giunta in una moneta straniera? Potrebbe spiegarci poi
Grillo cosa intende per investimento in
attività produttive, e quale sia il labile confine con gli sprechi e le
spese inutili? Grillo crede davvero che sia possibile rinegoziare con la
Germania il Fiscal Compact senza
mettere in discussione l’euro, visto che uno è la naturale conseguenza dell’altro?
Questo purtroppo è ciò che accade quando si vuole tenere il piede in due scarpe:
con una si vuole cavalcare l’onda della rabbia e della rivolta sociale, e con l’altra
si cerca di dimostrare servile sudditanza di fronte ai poteri forti sovranazionali che vogliono continuare a
massacrarci. La follia e la pazzia pura. Ecco perché dobbiamo cercare di
abbandonare quanto prima Grillo al suo destino, al manicomio, e continuare il
nostro percorso verso la riconquista
della sovranità nazionale ad ogni livello, che è l’unica premessa per la
ripresa politica, economica e sociale del paese.
Sovranismo che non è
affatto sinonimo di nazionalismo, chiusura, autarchia, ma un modo alternativo e sostenibile di
affrontare le nuove sfide di governo della complessità. Sovranismo deve essere
sinonimo di prevalenza dei principi e
dei diritti costituzionali su cui si costruisce la democrazia rispetto alle
asettiche leggi economiciste su cui si fonda la dittatura finanziaria e commerciale delle oligarchie transnazionali.
“L'autonomia individuale non
esclude ma anzi implica il senso di
appartenenza a un particolare gruppo sociale e culturale. Non c'è autonomia
e libertà senza radici nella
particolarità di un territorio, senza identificazione
intellettuale, sentimentale ed emotiva con una storia, una cultura, una
lingua, un destino comune. E non c'è sicurezza ma dispersione e solitudine
senza solidarietà, condivisione, un senso di omogeneità, una qualche spontanea intimità nei rapporti
sociali. Solo chi dispone di solide
radici identitarie riconosce l'identità altrui, rispetta la differenza,
cerca il dialogo con gli altri, rifugge da ogni fondamentalismo e dogmatismo, è
sicuro che l'incontro fra le diverse culture e civiltà del pianeta non è
soltanto la condizione della pace ma è anche un patrimonio evolutivo
irrinunciabile per la specie umana. (Danilo Zolo, “Il Tramonto della Democrazia nell’Era della Globalizzazione”). E a tal proposito vi consiglio di leggere questa analisi
lucidissima scritta da Fabio Falchi e
pubblicata qualche tempo fa sulla rivista Eurasia,
in cui l’importanza della sovranità nazionale viene commisurata agli scenari
geopolitici che ci attendono.
Di Fabio
Falchi
Mentre va in scena l’ultimo (?) atto di “Finale di partita all’italiana”, una
commedia dell’assurdo che rischia di finire in tragedia per milioni di
italiani, si moltiplicano gli articoli e le prese di posizione contro l’Eurozona (e non solo in rete). Su
questo argomento, se particolare importanza hanno le analisi di Alberto Bagnai o Bruno Amoroso, si deve a Jacques
Sapir l’aver fatto, con grande chiarezza e semplicità, il punto della
situazione nel suo recente articolo “Lo scioglimento dell’euro, un’idea che siimporrà nei fatti”. Sapir infatti dimostra che, mentre i media per
ragioni politiche e ideologiche cercano di mettere in evidenza il fatto che la
cosiddetta “ripresa” dovrebbe essere già cominciata, in realtà tutti gli indicatori economici provano il contrario.
Invero ciò non dovrebbe stupire granché gli italiani che vivono quotidianamente gli effetti della crisi sula loro pelle. Con l’indice della produzione industriale che ha perso ben venti punti percentuali dal 2007, con il tasso di disoccupazione giovanile che ha superato addirittura il 40%, con una pressione tributaria simile a quella dei Paesi scandinavi ma con servizi da “terzo mondo”, resi ancora più inefficienti o carenti dalla “macelleria sociale” degli ultimi governi, con il potere d’acquisto delle famiglie diminuito del 4,7% e con il diffondersi della povertà in ampi strati della popolazione, anche a causa di una continua redistribuzione della ricchezza verso l’alto, pare ovvio che a un numero crescente di italiani non possa sfuggire quale sia la reale condizione del nostro Paese.
D’altronde, sarebbe difficile mettere in dubbio i vantaggi che l’euro ha
arrecato alla Germania, la quale,
grazie ad una politica (che alcuni hanno definito “clandestina” o anche “beggar the neighbour”, ossia “frega il
tuo vicino”) incentrata sulle riforme
del lavoro firmate da Peter Hartz
(già capo del personale della Volkswagen), ha “esportato” tra i quattro e
cinque milioni di disoccupati nei Paesi più “deboli” dell’Eurozona e incrementato enormemente il surplus della propria bilancia commerciale.
In sostanza, fruendo di un cambio favorevole (l’euro di fatto è un “marco leggero”) e aumentando i profitti
delle imprese a scapito del reddito dei lavoratori, la Germania, dopo l’inizio
della crisi, ha triplicato il saldo positivo della bilancia commerciale con
l’Italia, la Francia e la Spagna, che è passato dall’8,44% alla cifra
stratosferica del 26,03%.
Un costo pagato anche da molti
tedeschi, dato che il 10% della popolazione tedesca possiede il 53% della
ricchezza nazionale (cresciuta tra il 2001 e il 2012 di circa 1400 miliardi di
euro), mentre i “mini jobs”, contratti iperflessibili da circa 20 ore
settimanali con uno stipendio di 450 euro netti, ormai riguardano 7,3 milioni di persone (il 70% delle
quali non ha alcun altro reddito). Eppure in Germania – in cui comunque vi
è ancora uno Stato sociale
tutt’altro che insignificante o inefficiente (non si deve dimenticare che la
Germania ha potuto fare certe scelte partendo da posizioni di altissimo livello
per quanto concerne la politica sociale) – è ampiamente diffusa dai media (che
possono far leva su alcuni noti pregiudizi che caratterizzano la cultura
tedesca) la concezione secondo cui i sacrifici dei tedeschi dipenderebbero dai
danni compiuti dalle “cicale” mediterranee. Un quadro ben
distante dalla realtà, nonostante non si possano ignorare le gravi
responsabilità delle classi dirigenti dell’Europa del sud.
Tra l’altro non è nemmeno vero che
gli europei con l’introduzione dell’euro starebbero meglio o che la Germania
sia la locomotiva d’Europa. Come
scrive Bagnai, i dati provano che
l’Eurozona si sta rivelando una sorta di gioco a somma zero in cui la Germania
tira da una parte e gli altri da quella opposta. Inevitabile quindi ritenere
che «la leadership tedesca abbia portato
il nostro subcontinente alla catastrofe, allontanandoci in modo persistente e,
nel prossimo futuro, irreversibile, dal tenore di vita dei paesi avanzati ai
quali avremmo la legittima aspettativa di appartenere».
Tuttavia, quel che più rileva non è
tanto la valutazione dei costi economici
e sociali derivanti dall’introduzione dell’euro quanto piuttosto il fatto
che non è possibile porre rimedio agli squilibri che si sono generati
nell’Eurozona finché si continuerà a difendere la moneta unica europea. Al
riguardo, si deve tener presente che il “federalismo europeo” (“bandiera” di quegli europeisti che non
sanno neppure distinguere l’Europa dall’Eurozona), oltre ai problemi politici
che presenta (com’è noto un buon numero di Paesi dell’Ue, tra cui la Gran
Bretagna, la Danimarca, la Svezia e la Polonia, non hanno alcuna intenzione di
rinunciare alla propria sovranità nazionale – ma in realtà ciò vale anche per
la Francia e la stessa Germania), implicherebbe un gigantesco trasferimento di ricchezza dall’Europa
del nord a quella del sud. E la Germania
dovrebbe sopportare il 90% del finanziamento di questa operazione, equivalente
a circa 230 miliardi di euro all’anno
(circa 2.300 miliardi in dieci anni), ossia tra l’8% e il 9% del suo Pil (altre
stime arrivano perfino al 12,7% del suo Pil). Chiunque può pertanto rendersi
conto che sarebbe assai più facile che un cammello passasse attraverso la cruna
di un ago.
Logico dunque che Jacques Sapir ritenga inevitabile
l’abbandono della moneta unica europea e che, dopo aver preso in esame i
possibili scenari che possono derivare dalla fine di Eurolandia, concluda: «Lo scioglimento dell’euro, in queste
condizioni, non segnerebbe la fine dell’Europa, come si pretende, ma al
contrario la sua rimonta nell’economia globale, e per di più una rimonta da cui
potrebbero trarre beneficio in maniera massiccia, sia per la crescita che la
nascita nel tempo di uno strumento di riserva, i paesi in via di sviluppo
dell’Asia e dell’Africa».
Considerazioni e conclusioni – quelle
di Sapir e Bagnai – che nella sostanza, a nostro giudizio, non si possono non
condividere, anche perché fondate su analisi rigorose, nonché sull’ovvia
constatazione che una moneta senza uno Stato è nel migliore
dei casi un’assurdità (si badi che buona parte degli economisti che oggi
difendono l’euro a spada tratta prima dell’introduzione dell’euro erano
decisamente contrari alla moneta unica europea), così com’è assurdo pensare che
sia possibile costruire il “federalismo europeo” tramite scelte
politiche ed economiche del tutto contrarie agli interessi “reali” di chi dovrebbe compierle. E se
ciò non bastasse si potrebbe pure ricordare che senza un “federalismo europeo” nulla o quasi si potrebbe fare contro la “speculazione
finanziaria”.
Nondimeno, è palese che non è
sufficiente, per comprendere la crisi di Eurolandia, considerare solo le
questioni attinenti all’economia e alla finanza. Come spiegare altrimenti il
fatto che una classe dirigente come
quella italiana non cerchi in alcun modo di contrastare ma anzi favorisca una
politica che sta devastando il nostro Paese? Per quale motivo cioè i nostri
politici o meglio quei membri della nostra classe dirigente – politici o
tecnocrati che siano – che tirano effettivamente le fila della politica
italiana non si sono opposti né si oppongono nemmeno adesso a decisioni le cui
conseguenze disastrose per l’Italia ormai sono evidenti a tutti coloro che
hanno occhi per vedere? Insomma è certo che la Germania riesce a trarre il
massimo profitto da una situazione geopolitica estremamente favorevole per la
sua economia e che quindi l’euro è solo un aspetto, benché non marginale, del
problema che si dovrebbe risolvere.
Non è certo un caso che
l’introduzione dell’euro sia avvenuta il più rapidamente possibile dopo il crollo del Muro di Berlino e la riunificazione della Germania, il cui
significato politico può sfuggire solo a coloro che non conoscono (o fanno
finta di non conoscere) gli ultimi centocinquanta anni della storia europea. In
definitiva, è lecito affermare che la soluzione della “questione tedesca” era e
rimane ancora il principale obiettivo dei “circoli
euroatlantisti”, i quali non potrebbero tollerare che Eurolandia si sfasci
e la Germania venga tentata – anche solo seguendo delle “direttrici geoeconomiche” – di “sbilanciarsi”
dalla parte dei Brics (soprattutto in una fase storica in cui l’America, oltre
ad avere serie difficoltà economiche, sembra priva di “iniziativa strategica” e incapace di contrastare con successo la
crescita di altre potenze o di altri “poli
geopolitici”, che cominciano pure a “fare
pressione” per una radicale ridefinizione degli equilibri mondiali).
Da qui la necessità, secondo le “direttive strategiche” d’oltreoceano,
per la classe dirigente italiana – che a partire dagli anni Novanta ha
consapevolmente scelto di “liquidare”
il patrimonio strategico nazionale a
vantaggio dei “mercati” – di
contribuire a qualsiasi costo alla soluzione della “questione tedesca”. E il compito fondamentale dell’Italia, secondo
gli “strateghi euroatlantisti”
consiste proprio nel favorire il più
possibile la Germania (onde “saldarla”
all’Atlantico), cedendo la propria sovranità non all’Europa (come invece molti
intellettuali e giornalisti italiani affermano, scagliandosi contro gli
italiani “brutti, sporchi e cattivi”
ma “ignorando” che per milioni di
italiani è un problema perfino, come si suol dire, mettere il pranzo insieme
con la cena o che parecchie scuole non solo hanno “lesioni strutturali” ma hanno perfino problemi per acquistare la
carta igienica), bensì ai tecnocrati di
Bruxelles e alla Bce (la cui vera funzione non è un mistero per nessuno,
tanto è vero che non occorre precisare a quali poteri la Bce debba rispondere).
Peraltro, si deve tener presente che non si tratta solo di “tradimento”
del proprio Paese da parte della nostra classe dirigente (o almeno dei suoi
membri più importanti), dato che quest’ultima condivide valori e stili di vita
che la portano ad anteporre il cosiddetto “mondo occidentale” all’Italia
(problema estremamente serio se si considera pure l’americanizzazione della
nostra società, in specie delle nuove generazioni). Inoltre la nostra classe
dirigente e, in generale, le classi sociali più abbienti sono perfettamente
consapevoli che mettere in discussione l’euro, rebus sic stantibus,
comporterebbe anche mettere in discussione quei meccanismi di redistribuzione della ricchezza e quella “riforma”
dello Stato sociale in base ai quali
sarebbe assai poco significativa per le fasce sociali più deboli (ceti
medio-bassi inclusi) perfino una crescita del Pil (che in ogni caso sarebbe
assai modesta).
Ma appunto per questo l’euro
costituisce quell’anello debole su cui bisognerebbe premere per poter spezzare
la “catena
geopolitica” che lega il nostro Paese a scelte e decisioni strategiche
del tutto opposte a quelle che si dovrebbero prendere se si avesse veramente di
mira l’interesse dell’Italia (e di
conseguenza della stragrande maggioranza degli italiani), mentre continuando di
questo passo tra qualche anno si rischia di non poter nemmeno più difendere
alcuna sovranità nazionale,
semplicemente perché con ogni probabilità non vi sarà più alcuno Stato
italiano, ma solo un territorio
deindustrializzato, utile come riserva
di manodopera qualificata a basso costo.
E’ indubbio allora che prendere posizione contro l’Eurozona e le misure d’austerità imposte dalla Bce e
dai tecnocrati di Bruxelles (indipendentemente dalla questione se sia meglio
optare per due euro o tornare alla lira o scegliere altre soluzioni) sia
essenziale per recuperare quella sovranità
che è il presupposto necessario di ogni autentica politica (antiatlantista) che
abbia come scopo quello di sottrarre lo
Stato alla morsa dei “mercati”.
Questo però è possibile – vale la pena di rimarcarlo – solo a patto che non si
perdano di vista i reali rapporti di
forza tra gli Stati Uniti e l’Ue e si comprenda qual è la vera posta in
gioco sotto il profilo geopolitico e geoeconomico, tanto più adesso che in
Europa si sta facendo strada la proposta statunitense di creare un “mercato
transatlantico”, che renderebbe impossibile una autentica unione
politica europea, trasformando l’intera Europa in una “appendice occidentale”
degli Usa – ad ulteriore conferma del ruolo determinante del “politico” se non lo si intende come
sinonimo di “politica” ma
(correttamente) come strategia per la
soluzione dei conflitti tra diversi attori (geo)politici e/o sociali.
Si può pertanto ritenere
che l’attuale crisi politica italiana possa influire ben poco sulle sorti del
nostro Paese, mentre decisivo sarebbe sfruttare la (probabile) fine dell’era
(anti)berlusconiana, mettendo da parte lo spirito di fazione, al fine di dar
vita ad una nuova forza politica di
tipo “nazional-popolare” (che tenga
conto cioè anche dei codici culturali ancora, nonostante tutto, condivisi da
non pochi italiani), il cui compito principale dovrebbe essere quello di impedire il declino dell’Italia (le cui
conseguenze sarebbero gravissime, in primo luogo, proprio per i ceti popolari e
medio-bassi). In quest’ottica si dovrebbero cercare collegamenti con altre
forze politiche europee, anch’esse interessate ad un rifondazione dell’Europa
che non implichi la dissoluzione della
identità nazionale nel “mercato
globale”, ossia evitando gli eccessi del nazionalismo e di qualsiasi forma
di narcisismo identitario, e promuovendo invece sia la nascita di un “polo
geopolitico e geoeconomico mediterraneo” distinto da (non opposto a) un
“polo baltico” sia una alternativa
alle dissennate politiche liberiste. Certo oggi la politica italiana non offre
nulla di questo genere, ma una volta che si sia compresa la necessità di
difendere le ragioni del cosiddetto “sovranismo” (che pure Jacques Sapir
difende) non dovrebbe essere particolarmente arduo poter valutare e giudicare
la situazione politica italiana ed europea sulla base di una coerente e “corretta”
visione geopolitica, senza lasciarsi fuorviare da “ottusi” schemi concettuali
economicistici.
Trovo molto interessante che a sinistra inizino a fare breccia argomenti tipici del revisionismo socialista poi confluito (in buona parte) nel fascismo, come la correlazione fra sovranità nazionale, giustizia sociale e coesione comunitaria, che dal dopoguerra in poi sono stati prerogativa di uno sparuto gruppuscolo di intellettuali di "Destra" come Giano Accame e Beppe Niccolai.
RispondiEliminaInteressante sempre che il caro Piero Valerio pubblichi un articolo di Eurasia, rivista vicina per esmepio a Dugin o in Italia a Gaudenzi.
Molto interessante, nevvero.
PS: un solo appunto.
Se esiste una nazione devastata sotto il profilo etico e comunitario è la Francia e la sua politica suicida di discriminazione positiva nei confronti degli immigrati.
Se non è odio autolesionistico questo...
mmmmhhhh......caro Piero questa volta devo proprio fare un bel mmmmmmhhh al tuo post in quanto:
RispondiEliminaNon per difendere Grillo a tutti i costi, ma forse l'interpretazione delle sue parole potrebbe essere un'altra riguardo il taglio della spesa pubblica improduttiva e cioè il tagliare quella spesa per sprechi (mi vengono in mente soldi ai partiti, soldi all'editoria e altre battaglie che il M5S cerca di portare avanti) per dirottare questi soldi in direzioni di investimenti produttivi tipo riqualificazione degli edifici, del territorio, raccolta differenziata spinta ecc.
Ripeto, non voglio difenderlo a prescindere sto solo dicendo che in mancanza di una sua indicazione precisa sul da farsi una volta che questi soldi sarebbero risparmiati, la tua interpretazione potrebbe essere errata.
Riguardo al discorso dell'euro, non penso che Grillo sia a favore dell'euro ma quello che lui vorrebbe è instaurare un dibattito aperto e poi fare un referendum per far decidere agli italiani cosa fare. Come ha detto piu volte lui stesso, "io non posso decidere per tutti".
Questa potrebbe essere interpretata come un non volere prendere posizione (e sono d'accordo) o anche come un "parliamone" e poi decideranno gli italiani su cosa fare.
Personalmente ho già deciso da un pezzo (da quando ho iniziato ad informarmi), FUORI IMMEDIATAMENTE DA QUESTA FOGNA CHE è L'EURO E L'EUROPA CHE CI è STATA IMPOSTA.
Eugenio, mi permetto di risponderti. Guarda, non farti ingannare da Grillo...
EliminaTu dici che Grillo afferma di non poter decidere per tutti... guarda caso però questo vale solo per la permanenza dell'Italia nell'€ su tutto il resto invece fa dei pistolotti che non finiscono più. Se lui non può decidere per tutti allora che senso ha fare politica? A me pare che su tutto il resto abbia delle idee precise, giuste o sbagliate che siano, e che porta avanti da sempre. Ma del resto è così: tu hai delle idee, ci sono cose che ritieni giuste nell'interesse del Paese e le metti in un programma che il popolo potrà votare o no. Così funziona.
Invece l'€ ha un trattamento del tutto speciale da parte di Grillo, che strano eh..
Ad es: Grillo non vuole la tav e il m5s di conseguenza neanche, perchè è dimostrato che è una porcata. Bene, hanno portato degli studi, si sono opposti all'opera e nel programma tutto questo c'è. Idem con gli inceneritori e tutto il resto. Perchè su queste cose non fanno un referendum e sull'€ si? Guarda il caso... E come pensa di fare a indire un referendum in Italia dove la stampa di regime europeista e neoliberista ci racconta palle cosmiche da 40 anni in direzione opposta? Ma per piacere... pure ammettendo la buona fede di Grillo, che non è così comunque, ci vorrebbero anni e anni per fare una efficace controinformazione e non c'è più tempo, la gente sta morendo ADESSO e l'Italia con essa! Se sai che l'€ ci sta uccidendo devi fare informazione seria, cosa che Grillo non fa, e dire chiaro e tondo che chi vota m5s vota per uscire dall'€ non per programmare una sedicente informazione che non è mai stata fatta e non sarà mai fatta e poi un referendum, ma per carità, dall'€ si esce come ladri nella notte come diceva Borghi, lo decidi e lo fai magari nelle vacanze di Natale così chiudi le banche, riconverti tutto in lire e parti pulito con un nuovo anno fiscale col nuovo conio.
Ed è logico, ma scusa: se tu trovassi tuo figlio di sei anni a giocare con una pistola vera cosa faresti? Gliela levi come un fulmine prima che si spari in faccia o gli fai lo spiegone sulle armi cattive e poi gli chiedi gentilmente se vuole consegnartela? E se ti risponde di no e continua a giocarci che fai? Se Grillo fa il referendum e vince il rimanere nell'€ (cosa probabile visto il terrorismo psicologico a cui siamo sottoposti da decenni) cosa farà? Spallucce dicendo "belin gli italiani hanno scelto di morire ma è una cosa pazzescaaaa!!".
No caro Eugenio... anche io un tempo riponevo la mia fiducia in questo personaggio ma il tempo delle illusioni è finito. Persone come te, come me, come il buon Piero troveranno un altro modo per far valere le loro sacrosante idee, di persone informate, serie, coraggiose e innamorate del proprio Paese. Grillo, ahinoi, non è uno dei nostri.
Saluti
Stefano
Il referendum è un grande inganno, perchè che l'euro sia una sciagura non è un'opinione, è un fatto: è un dato scientifico acclarato dalla migliore scienza economica. Quindi, un referendum non ha senso: per farti un paragone, è come sapere che l'acqua che beviamo non è più potabile, ma fare un referendum per chiedere se la gente vuole continuare a berla.
EliminaChiaro il concetto e l'inganno?
Francesco Mazzuoli
avete ragione concordo pienamente (Francesco e Stefano) non avevo osservato la questione da questa angolazione....in effetti prende posizione su tutto meno che sull'€, anche se ormai le dimostrazioni che è una truffa sono sotto gli occhi di tutti e ci sono prove e contro prove di questa immensa verità.....non posso dire il contrario.
EliminaFinalmente un quadro generale che spiega la centralità della questione tedesca nella costruzione europea voluta dagli Stati Uniti d'America e come, per imbrigliare la Germania, si debbano sacrificare tutti gli altri paesi, in primis, naturalmente l'Italia. Quest'ultimo è stato il lavoro più facile, essendo gli italiani privi di coscienza nazionale.
RispondiEliminaOra, con l'accordo di libero scambio transatlantico, il disegno mondialista si precisa (e anche i gonzi stanno accorgendosi chi ha creato l'Unione Europea e perchè) e stiamo per assistere allo scontro tra le nazioni (ciò che ne resta) e le forse globaliste guidate dall'apparato industriale-militare finanziario americano.
Le sparate di Grillo solleticano la benevolenza di molti italiani perché quando se la prende di brutto con Re Giorgio, Capitan Letta Findus, Bersani zombie, il "nano" d'Arcore, ecc. dice cose che molti di noi direbbero se avessero accesso ai media. Ma quando passa alla politica economica (il vero dramma, che causa crescenti sofferenze, disagi e anche lutti), ecco che dalle esternazioni d'ordine morale (se non talvolta moralistico) passa a essere ambiguo, ondivago, oggi dice una cosa per poi dire il contrario il giorno dopo, fa finta di non sapere, cioè diventa un "idiota", come dice Piero. Col risultato di confondere le idee laddove sarebbe essenziale la chiarezza. Per cui, a mio avviso, è meglio cantargliele, a quelli sopra citati, coi fatti, mettendo insieme la nostre forze e intelligenze per uscire dall'euro e dall'€pa riconquistando la sovranità nazionale, che non continuando in veementi accuse ma senza una chiara strategia d'uscita
RispondiEliminaTempo fa avevo detto: "Grillo è come uno che fa finta di vomitare una squisita caramella". Speravo di avere torto, ma a quanto pare avevo ragione :(
RispondiEliminaTassare i consumi è operazione altamente recessiva, perché sono le famiglie a basso reddito (cioè la maggioranza degli italiani) ad avere maggiore propensione al consumo, mentre i ricchi esportano in nero i capitali nei paradisi fiscali (altro segno economico negativo), per cui neanche il mago Otelma saprebbe coniugare recessione e crescita
RispondiEliminaComplimenti, bellissimo articolo. Grazie per averlo scritto
RispondiEliminaQualcuno sa calcolare in quale percentuale del PIL del Nord-Italia sarebbero necessari trasferimenti per unificare il Sud-Italia, una volta usciti dall'euro?
RispondiEliminaNon sarebbe meglio un percorso di riconquista di sovranità "nazionali" "a diversi livelli"?
Credo sia una domanda a cui poter rispondere solo se si ipotizza che: dopo l’uscita dall’euro, il PIL rappresenterà il vincolo di bilancio dello Stato Italiano. In verità l’uscita dall’euro darà al popolo italiano anche un’altra immensa opportunità, che si tradurrà in una scelta sull’autodeterminazione del proprio assetto economico e sociale. Questa potrà avvenire attraverso l’applicazione di principi di teorie economiche eterodosse (MMT o Circuitiste) diverse da quelle tradizionali, che daranno la possibilità reale e concreta di basare l’intero tessuto economico-sociale su obiettivi di piena occupazione e stabilità dei prezzi. Se si accetteranno le soluzioni basate su questi obiettivi, il percorso di riconquista di sovranità nazionale deve essere ad unico livello.
RispondiEliminaGli obiettivi di piena occupazione sono a fondamento della Costituzione italiana, a quanto pare tanto "derogata" dai suoi principi fondamentali, con la compiacenza delle più alte cariche dello Stato che dovrebbero esserne garanti.
RispondiEliminaOra, se è vero che tutto ciò potrà essere ripristinato con un percorso consapevole di uscita dal baratro europeo, il percorso di riconquista della sovranità "nazionale" ci mostrerà quali impegni il ritrovato Stato democratico dovrà assumere per la ripresa, se tutto andrà sperabilmente per il verso giusto, ma anche sperabilmente prima possibile.
Stiamo notando tutti sempre più credo che giuristi ed economisti stanno dando preziosi e coraggiosi contributi, fuori dalle ciarlatanerie politiche e fuori dai rumori mediatici.
Ma una "questione" nazionale, a mio avviso, non potrà che ripresentarsi a livello politico (e non la si potrà più nascondere): quella del reale sentimento di appartenenza dei cittadini a questo Stato che nella sua breve storia repubblicana e democratica ha mostrato falle proprio nel tentativo di realizzazione di quei principi che proclama fondamentali e che, non solo a causa dei più recenti "vincoli esterni", ha dimostrato di "non voler" realmente perseguire.
Per come la vedo io un ritrovato sentimento di unità nazionale avrà bisogno di molta retorica, ma potrebbe anche non essere più sufficiente.
Io penso che gli obiettivi di piena occupazione sono stati il fondamento della Costituzione Italiana per il periodo dal dopoguerra alla metà degli anni ‘70 e questo si è tradotto in grandi conquiste in campo di diritti e di benessere. Politici e consulenti collusi o ignoranti hanno permesso che queste fondamenta venissero “derogati” ai principi del libero mercato (cioè massimizzazione dei profitti a breve termine al posto della piena occupazione). Data questa scellerata volontà di sostituzione degli obiettivi economici come impatto sulla società, sorgono nuovi e diversi “vincoli esterni” che, nati dalla volontà di delinquenti o pigroni ignoranti, devono “essere perseguiti” per fare funzionare il modello, anche se è un modello folle. Io credo che l’uscita dall’euro sarà inevitabile, quando questo avverrà, il grado di consapevolezza dei cittadini su quali possono essere i loro diritti e su come vigilare per mantenerli determinerà il vero equilibrio economico; più alta sarà la consapevolezza sui problemi e sulle soluzioni da parte delle persone, più alto sarà il nostro livello di equilibrio, quindi più alto il nostro benessere. Purtroppo credo che ad oggi, questi bisogni di autodeterminazione a livello di masse, vengano riscoperti dal nostro istinto di sopravvivenza e non da fondata consapevolezza. Una società che deve affidarsi a principi evolutivi vecchi milioni di anni ha ad oggi poche possibilità di unire le forze per organizzarsi per un fine comune tanto importante. Spero che il futuro sia galante, per il presente non mi rimane altro da fare che continuare a studiare.
RispondiEliminaGeremia
RispondiEliminaPersonalmente, se stesse in me, avrei già deciso da un pezzo, e direi praticamente fin dall'inizio: FUORI IMMEDIATAMENTE DA QUESTA TRAPPOLA CHE E' L'EURO E DALL'EUROPA CHE CI è STATA IMPOSTA. Ed è una dimostrabile verità che gli ordinamenti UE, quasi mai sottoposti ad approvazione referendaria, sono in massima parte incompatibili con i dettami delle varie costituzioni e delle stesse finalità fondamentali degli Stati membri.
In quanto alle critiche a Grillo su questo tema, aspetterei a farle dopo che l'M5S avesse conquistato la maggioranza alle camere. Uscire dall'Euro e/o dall'Europa non sarà facile e se aspettiamo che ciò possa avvenire con l'attuale classe politica dominante è una tremenda illusione.
Se questa miseranda Nazione e questo povera popolazione massacrata dalle tasse hanno dato e stanno dando negli ultimi tempi qualche segno di reazione (evidentemente il processo di cadaverizzazione non è ancora ben completato....) il merito è del M5S.
RispondiEliminaQuando leggo espressioni di odio e disprezzo per Grlllo, per la maggior parte gratuite, mi viene in mente chi scriveva peste e corna dell'infelice Gheddafi. E si sa bene come è finita in tragedia per il Popolo Libico e non certo per colpa di lui.
Tutti commettono errori e il M5S non ne è immune. Ma occorre tener conto dell'intricata situazione del momento storico, della massiva potenza di chi persegue con mezzi preponderanti e spesso violenti i propri obiettivi di dominance mondialista.
Il referendum? Ma è sicuro che la maggioranza sarà contro l'Euro e la stessa Europa di adesso. Perciò, chi ha un minimo di intuizione capisce subito qual è la posizione di Grillo a cui occorre riconoscere un certo tatticismo diplomatico che non guasta.
Vi immaginate quale valanga di reazione avversa si tirerebbe dietro un trionfo del sovranismo monetario???
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