Italia-Germania è
un classico del calcio, che ha infiammato intere generazioni di tifosi: dalla
mitica partita del 1970 a Città del Messico, vinta dagli azzurri 4-3 dopo
estenuanti tempi supplementari, passando alla storica vittoria nel mondiale
spagnolo del 1982, fino alla semifinale del campionato del mondo del 2006 dove
gli italiani furono capaci di battere in casa i tedeschi a Dortmund per 2-0,
sempre dopo i supplementari. Questa sera la sfida calcistica si ripete con lo
stesso fascino di sempre e siccome la palla è rotonda sarà difficile fare un
pronostico: secondo i bookmakers la Germania parte nettamente favorita, ma
scaramanzia vuole che proprio in questi casi l’Italia tira fuori il meglio di
se e si dimostra puntualmente più forte degli avversi auspici. Staremo a
vedere. Sempre oggi però a Bruxelles, durante
l’ennesimo decisivo Vertice Europeo
che dovrà sancire il futuro dell’eurozona,
si gioca un’altra partita ben più importante fra Italia e Germania, che a
differenza di una semplice gara di calcio che una volta terminata non lascia
traccia nella vita di un popolo, può causare diversi danni sia ai cittadini
italiani che tedeschi.
In questa particolare
partita infatti non c’è alcuna vittoria
in palio, ma solo un modo di redistribuire le perdite dopo dieci anni di follia europeista, bolle speculative finanziarie e squilibri commerciali. Alla fine il conto di questo fallimento del
progetto dell’unione monetaria europea qualcuno dovrà pure pagarlo, e dopo che
i paesi più deboli ed esposti della periferia come Irlanda, Grecia, Portogallo,
Spagna hanno già iniziato a saldare la parcella più salata in termini economici
e sociali, adesso tocca proprio a Italia e Germania chiudere la partita. O la
spunta l’Italia con la sua richiesta
di socializzazione del debito e abbassamento degli spreads, oppure la Germania con la sua smania di controllare e tenere a stecchetto i bilanci delle altre
nazioni. Una partita impari, perché dopo un anno esatto di crisi
finanziaria, l’Italia ne è uscita con le ossa rotte, mentre la Germania,
nonostante qualche cedimento sul finale, ha ancora un organico competitivo e
procede a ranghi serrati. Qualunque sia l'esito di questo scontro, una cosa però è certa: difficilmente questa sfida fra
italiani e tedeschi terminerà ai tempi
supplementari, perché se non si arriverà ad un risultato entro domani o al
massimo entro le prossime settimane, l’euro, la moneta unica che è anche
l’oggetto del contendere, potrebbe distruggersi prima del fischio finale.
Ma dato che ricorre proprio
in questi giorni il primo anniversario del tonfo italiano, vediamo un po’ di cifre per
capire fino a che profondità è arrivata la disfatta dell’Italia, dopo penose
cure da cavallo, manovre finanziarie, riforme pensionistiche e del mercato del
lavoro, tasse e austerità. Precisamente a luglio del 2011 aveva inaugurato la
stagione dei grandi salassi il ministro dell’economia Giulio Tremonti, con una manovra estiva da €45 miliardi varata in
fretta e furia per frenare la corsa degli spreads.
Come sappiamo non servì a nulla e sempre Tremonti diede un’altra bella razione
di tagli e tasse a settembre, prima di passare il testimone al presidente del consiglio fantoccio Mario Monti, inviato a
Palazzo Chigi direttamente dai banchieri
americani ed europei per rassicurare i mercati
che l’Italia avrebbe pagato tutti i suoi debiti fino all’ultimo centesimo. Una
politica ovviamente miope che trascinata dalla frenesia ed ansia di rimborsare
subito i creditori più importanti del nostro paese, ha reso molto più incerta
la solvibilità a lungo termine e ha peggiorato inesorabilmente la stabilità dei conti pubblici senza apportare alcun vero beneficio alle casse dello stato.
E questi sono i risultati che si sono manifestati sia nella cosiddetta economia reale che nell’economia virtuale della finanza:
- Consumi: l’Istat ha rilevato ad aprile un crollo delle vendite al dettaglio del - 6,8% su base annua, registrando una caduta anche nel settore alimentare (-6,1%). Un ribasso tendenziale così forte non si verificava da gennaio del 2001, ovvero dall’inizio del calcolo dei dati di questa seria storica da parte dell’Istat. Rispetto a marzo scorso il calo è stato del -1,6%, confermando quindi l’attuale tendenza al ribasso. L'Ufficio Studi di Confcommercio, commentando i dati dell'Istat sulle vendite al dettaglio, ha calcolato che nel 2012 la flessione dei consumi a livello pro-capite potrebbe "raggiungere il 3,2-3,3% in termini reali, un'evidenza statistica che non avrebbe precedenti nella storia economica del nostro paese".
- Produzione Industriale: i dati Istat relativi alla produzione industriale confermano nuovamente la problematica situazione in cui da mesi si dibatte l’Italia. Secondo quanto riferito dall’istituto nazionale di statistica, nel mese di aprile l’indice è crollato del -9,2% su base annua, il peggiore dato dal novembre 2009, mentre rispetto a marzo la produzione industriale ha registrato una flessione del -1,9%. L’Istat riferisce che la diminuzione più rilevante riguarda il raggruppamento dei beni intermedi (-12,8%), ma cattive notizie arrivano anche da tutti gli altri comparti: -7,9% per i beni di consumo, -6,2% per i beni strumentali e -3,8% per l'energia. E’ evidente che essendo rimaste pressoché invariate se non aumentate di poco le esportazioni, questo calo produttivo nazionale riflette in maniera quasi speculare la discesa della domanda e dei consumi interni descritta sopra. Molto interessante il confronto effettuato dagli economisti Giancarlo Corsetti e Riccardo Trezzi e pubblicato sul sito Lavoce.info fra l’andamento degli indici italiani dall’inizio della crisi finanziaria nel 2007, con quello degli Stati Uniti della Grande Depressione (1929) e del Giappone della Grande Stagnazione (1990). Nel grafico sotto possiamo notare come dal picco del 2007, la produzione industriale è scesa in volume di ben -22,2%, un vero disastro che ha ridotto di quasi un quarto la nostra capacità produttiva. Nello stesso arco temporale, la produzione industriale americana aveva perso circa il 33% e quella giapponese solo il 4,7%.
- Disoccupazione: in termini di disoccupazione, gli effetti oggi in Italia sono più contenuti rispetto all’esperienza americana degli anni trenta. Negli Stati Uniti i disoccupati passarono infatti da 1,55 milioni nel 1929 (pari al 3,1% della forza lavoro) a 12,8 milioni nel 1933 (pari al 24,7% della forza lavoro). Attualmente il tasso di disoccupazione italiano è invece del 10,2% (aprile 2012). Ma gli occupati (a tempo pieno e parziale, con varie tipologie di contratto) sono solo 22,7 milioni (pari al 37,7% della popolazione totale) mentre le persone in cerca di occupazione sommate agli inattivi in età lavorativa raggiungono i 17,2 milioni (ovvero il 28,5% della popolazione). Da notare quindi che sui dati generalmente diffusi sulla disoccupazione, pesa molto il fattore degli scoraggiati, ovvero di quelle persone che non hanno più o non hanno mai avuto un’occupazione e non sono apparentemente in cerca di un lavoro, perché non registrati presso i centri per l’impiego nazionali. Se considerassimo anche questo fenomeno la disoccupazione reale in Italia salirebbe ad un catastrofico 43,1%!
- PIL cumulato: in questo caso la vera cattiva notizia è data dalle prospettive di medio termine. In termini di PIL cumulato, calcolato a prezzi costanti, la perdita di ricchezza nazionale in Italia potrebbe essere perfino superiore alla contrazione dell’economia durante la Grande Depressione negli Stati Uniti, che dopo un brusco calo durato quattro anni, aveva ripreso a crescere a partire dal 1933 con l’uscita degli Stati Uniti dal regime di cambio fisso gold standard (vi dice niente questo dato con lo slancio che potrebbe avere l’Italia con un’eventuale rottura del regime di cambio fisso di tipo gold standard rappresentato dall’euro?) e l’inizio dell’epoca del New Deal di F. D. Roosevelt. Il grafico sotto mostra la perdita cumulata in termini di prodotto interno lordo italiano dall’inizio della crisi nel 2007, mentre le previsioni per l’Italia (linea tratteggiata nel grafico) sono basate sugli ultimi dati disponibili del Fondo Monetario Internazionale (World Economic Outlook, aprile 2012). Nei primi cinque anni di crisi, la perdita di ricchezza in Italia è un quarto rispetto alla perdita americana negli anni trenta, ma è già superiore a quella giapponese negli anni novanta e dalla stessa Italia nel periodo 1929-1933. La stagnazione economica prevista per i prossimi quattro anni (in peggioramento) porterebbe però la caduta del PIL reale a superare quella registrata nella Grande Depressione statunitense entro la fine del 2015. Già oggi le previsioni per il 2012 fatte dal FMI appaiono molto ottimistiche, dato che era stata preventivata una contrazione del PIL dell’1,9% per l’anno in corso, ma secondo l’ultimo bollettino Istat la perdita acquisita da inizio anno è stata, solo nel primo trimestre, dell’1,3% per cento.
- Indice Azionario: il crollo del valore del capitale patrimoniale delle aziende italiane quotate in borsa è la vera Caporetto dell’economia italiana. Nel grafico sotto viene messo a confronto l’andamento degli indici azionari in termini di perdita cumulata dal picco pre-crisi del Ftse-Mib per l’Italia (valore dell’indice 43.755 punti ad aprile 2007 e oggi intorno ai 13.083 punti), il Dow Jones Industrial Average Index per gli Stati Uniti (valore dell’indice 380.33 ad agosto 1929) ed il Nikkei Index per il Giappone (valore dell’indice 38,915.87 a dicembre 1989). A 62 mesi dal picco, l’indice Ftse-Mib perde il 70,6% contro il 75,6% nel corrispettivo periodo negli Stati Uniti e “solo” il 52,1% in Giappone. Considerate queste cifre da panico, una eventuale svalutazione della lira del 20% rispetto all’euro comporterebbe una riduzione patrimoniale delle aziende quotate di appena il 5,9% in più rispetto alla perdita registrata a partire dal 2007: quindi nessun ulteriore bagno di sangue come viene spesso dipinto dalla propaganda di regime pro-euro, rispetto al massacro già avvenuto del valore del nostro tessuto produttivo in questi ultimi cinque anni.
- Settore Immobiliare: come sappiamo in Italia la casa è uno dei beni rifugio preferito dai risparmiatori e quindi un calo drastico del valore delle case potrebbe gravare pesantemente sulla ricchezza patrimoniale netta dei cittadini. Fino ad oggi in Italia non abbiamo assistito ad un crollo drastico del valore e dei prezzi, che si aggira intorno al -20% rispetto al 2007, perché le aziende immobiliari e le banche italiane, che oltre a titoli di stato sono piene di attività in qualche modo legate al mercato delle case, hanno preferito non vendere piuttosto che abbassare i prezzi. Tuttavia il calo delle compravendite nel settore residenziale nel primo trimestre del 2012 del -19,6%, rispetto allo stesso periodo del 2011, non fa certo ben sperare per il futuro. Se consideriamo il mercato nel suo complesso si calcola una contrazione del -17,8% e secondo l’Agenzia del Territorio si tratta della caduta più grave mai registrata dall’inizio delle rilevazioni trimestrali, datata 2004.
- Settore Bancario: la condizione attuale delle banche italiane è un altro punto chiave per capire come sta reagendo l’economia del nostro paese davanti alla crisi finanziaria. Come viene spesso ripetuto le nostre banche stanno meglio rispetto a quelle spagnole e irlandesi, ma anche francesi e tedesche, che hanno molto trafficato in titoli derivati prima dello scoppio della crisi nel 2007 o sono rimaste successivamente coinvolte nell’esplosione della bolla immobiliare. Tuttavia la forte esposizione e dipendenza dal valore dei titoli dei stato, che secondo le norme stabilite dall’EBA (European Banking Authority, Autorità Bancaria Europea) devono essere iscritte a bilancio al valore di mercato (fair value), ha comportato la necessità di nuove capitalizzazioni per raggiungere il coefficiente di vincolo patrimoniale (core tier 1) del 9%, rispetto alle attività iscritte a bilancio ricalcolate per il rischio. E’ notizia di questi giorni che la Banca Monte Paschi di Siena ha dovuto richiedere l’intervento del Ministero del Tesoro per coprire un buco di bilancio, che risale al fallimentare acquisto dei mille sportelli di Banca Antonveneta nel 2007 dalla spagnola Santander per €9 miliardi sotto la gestione di Giuseppe Mussari (ora promosso a presidente dell’ABI, Associazione Bancaria Italiana, quando si dice la meritocrazia!). Il Ministero del Tesoro sottoscriverà nuovi strumenti finanziari simili ai Tremonti Bond emessi dalla banca per una cifra pari a €3,9 miliardi, che considerando il valore attuale in borsa della banca di circa €2,5 miliardi, equivale ad una vera e propria nazionalizzazione della banca senese. I dirigenti di MPS hanno annunciato per i prossimi 5 anni una richiesta di aumento di capitale fino ad €1 miliardo e la chiusura di ben 400 filiali. Se non si tratta di un tracollo, poco ci manca. Ricordiamo che il governo Monti aveva già apposto con il decreto salva Italia la garanzia di stato su tutte le successive emissioni di obbligazioni bancarie, dimostrando ancora di più come il settore bancario e il bilancio pubblico siano ormai strettamente intrecciati, tenendosi in piedi a vicenda (le banche comprano titoli di stato e il governo copre o compra titoli delle banche). Ad ogni modo bisogna notare come le banche continuino sfacciatamente a speculare sui titoli di stato strappando rendimenti in incasso che vanno dal 3%-6%, mentre pagano allo stato interessi sui loro strumenti finanziari agevolati (Tremonti Bonds e simili) che variano in un ridotto spettro del 1%-3%. Insomma il lupo perde il pelo ma non il vizio e a pagare tutti questi artifici finanziari saranno sempre gli ignari cittadini, perché nessuno ancora ha spiegato il motivo per cui il Tesoro non ha fornito liquidità alla MPS ricomprandosi i suoi stessi titoli di stato ed evitando questa ennesima truffa legalizzata ai danni del popolo italiano.
- Debito Pubblico: vero punto dolente del bilancio dello stato, perché il debito pubblico continua a lievitare non tanto per un aumento della spesa pubblica o una diminuzione delle entrate, ma per un meccanismo di crescita inarrestabile degli interessi, dovuto al maggiore rendimento con cui il Ministero del Tesoro è costretto a collocare i nuovi titoli per rinnovare o effettuare il concambio di quelli vecchi in scadenza. Proprio stamattina il Ministero del Tesoro ha piazzato €9 miliardi di BOT a sei mesi, pagando un tasso d'interesse del 2,96% rispetto al 2,104% del mese precedente e raggiungendo i massimi dallo scorso dicembre. Se poi il governo è costretto a mascherare i salvataggi bancari continuando a fornire liquidità presa in prestito a caro prezzo sui mercati per girarla alle banche a prezzi stracciati, è chiaro che a breve il debito pubblico tenderà irrimediabilmente a crescere a tutto vantaggio dei soliti banchieri privati, che ormai vivacchiano quasi esclusivamente con le operazioni speculative di carry trade sui titoli di stato, mentre hanno ridotto per ovvie ragioni di calo della domanda e di rischio di investimento i prestiti alle famiglie e alle imprese. Nella classifica dei paesi con più elevato rapporto debito pubblico/PIL, l’Italia è posizionata saldamente al secondo posto dopo la Grecia (vedi grafico sotto) e con i prossimi tagli alla spesa pubblica che incideranno negativamente sul PIL, tale rapporto è destinato ad aumentare. Il motivo per cui il primo ministro Mario Monti aveva insistito molto più sulle tasse e poco sulla spesa è appunto quello che sconoscono molti presunti economisti della domenica tanto in voga sui canali mainstream: mentre le tasse non hanno praticamente effetto sul PIL (escono dalle tasche dei cittadini ed entrano nelle casse dello stato, annullandosi a vicenda), il taglio della spesa pubblica ha un effetto recessivo diretto molto maggiore sul PIL (sono soldi in meno che circolano nell’economia senza alcuna contropartita) e va dosato con molta oculatezza per non peggiorare il quadro generale, soprattutto in un periodo di crisi come questo.
Senza troppi giri di parole
si tratta per l’Italia di una vera mattanza
senza precedenti. Dopo questa breve descrizione complessiva penso che
chiunque, anche il più sprovveduto dei telespettatori imboniti dal solito
economista di turno o dalla buona novella degli Stati Uniti d’Europa, si sia
reso conto della portata della Tempesta
Perfetta in cui naviga pericolosamente l’Italia in questo momento. Un paese
coinvolto in una crisi così devastante del suo tessuto produttivo e finanziario
avrebbe bisogno come minimo di un nuovo Piano
Marshall per rimettersi in piedi, con aiuti
strutturali e continuativi a basso interesse e soprattutto la capacità di agire ad ampio raggio con
manovre di politica economica specifiche e selettive (cosa questa possibile
solo avendo piena disponibilità della propria sovranità monetaria).
Mentre la partita che si giocherà oggi al
Vertice Europeo contro i tedeschi va in tutt’altra direzione, verso maggiori vincoli di bilancio e in ogni
caso non potrà cambiare di molto la situazione, visto che la Germania vuole
continuare a procedere con la sua politica dei piccoli passi. La cancelliera
Merkel ha addirittura dichiarato che finché vivrà non vuole sentir parlare
né di eurobond a lunga scadenza né
di eurobill a breve scadenza, per
socializzare parte del debito con il resto dei paesi europei e comprimere di
conseguenza gli alti rendimenti a cui sono costretti a finanziarsi sul mercato
gli stati PIIGS.
Rifacendosi alla sua cultura
protestante del peccato, la Germania ha mostrato invece molto più di
un’apertura nei confronti della creazione di un fondo europeo di redenzione dal
debito (ERF, European Redemption Fund), tramite il
quale verrebbe acquistato il debito pubblico di ogni paese che eccede il 60%
del PIL. Secondo i piani, il fondo dovrebbe avere una garanzia congiunta di
tutti i paesi dell’eurozona e dovrebbe finanziarsi emettendo titoli obbligazionari di debito sul
mercato, che prevedibilmente avrebbero tassi molto bassi. Tuttavia si tratta di
un fondo che dovrebbe essere ammortizzato dai partecipanti in 20 anni e facendo l’esempio dell’Italia, ciò significa che il
fondo dovrebbe acquistare un ammontare di debito pubblico pari a circa il 65%
del PIL (una cifra intorno ai 1000 miliardi) e ogni anno l’Italia dovrebbe
versare al fondo circa 50 miliardi come rimborso del capitale più la quota
interessi. Inoltre l’Italia dovrebbe continuare a finanziare sui mercati la
restante parte del debito pubblico pari al 60% in rapporto al PIL ed è chiaro
che essendo quest’ultimo subordinato al
primo in termini di priorità di rimborso, verrebbe acquistato dagli
investitori a interessi maggiori di quelli attuali. In buona sostanza, sommando
questi due effetti, il beneficio per l’Italia sarebbe nullo, mentre un tale
fondo farebbe molto comodo alle banche
tedesche che si libererebbero facilmente dei titoli di stato dei paesi
PIIGS vendendo i titoli al fondo ed evitando di incorrere in eventuali perdite
sui mercati.
Queste purtroppo sono le conseguenze a cui si va
incontro quando si affronta una partita
truccata e sbilanciata già in partenza: il rischio è che la squadra
favorita, invece di accontentarsi di un pareggio che vada bene a tutti,
pretenda di fare una goleada, umiliando e massacrando gli avversari. La
Germania, che come abbiamo visto oltre ad un leggero calo della produzione industriale del -2,2% su base mensile registrato ad aprile, non ha ancora
subito i morsi della crisi finanziaria globale, puntando sempre sulla forza
delle sue esportazioni, non vuole assolutamente iniziare a perdere adesso.
Perché mai dovrebbe farlo? In fondo
l’unione monetaria, così come sancita dai trattati europei, non prevede alcuna clausola di salvataggio (bail-out clause) dei paesi in difficoltà e quindi, a termine
di legge, hanno ragione i tedeschi, che già lamentano di avere trasgredito i
trattati europei e la loro stessa costituzione con il primo salvataggio della
Grecia a maggio del 2010. Richiedere una maggiore unione fiscale e politica in questo momento di evidente squilibrio,
significherebbe avvantaggiare soltanto chi è in perdita e svantaggiare i paesi
in espansione.
Come sostengono infatti gli stessi tedeschi, gli eurobond devono essere introdotti alla
fine del processo di integrazione, quando gli squilibri si sono attenuati, e
non all’inizio, perché ciò comporterebbe ai loro occhi una giustificazione e
una legittimazione del moral hazard
con cui si sono indebitati i paesi della periferia (ripetiamolo un’altra volta,
nel caso qualcuno si fosse perso un pezzo: si tratta di debito privato finanziato con l’aiuto delle banche tedesche e
supportato con il flusso unidirezionale delle esportazioni dalla Germania, e
non di debito pubblico dei paesi
spendaccioni. Ma questo i cittadini alemanni non possono o non vogliono
capirlo). Ma cosa si dovrebbero fare per
bilanciare questi squilibri?
A sentire quello che è uscito dal vertice di
venerdì scorso a Roma fra Monti, Merkel, Hollande e Rajoy basterebbero i €130 miliardi stanziati per la crescita
a far ripartire le economie di paesi disastrati e tecnicamente falliti, ovvero
un misero 1% del PIL europeo, e fra l’altro non si capisce ancora bene da
dove verrebbero tirati fuori questi soldi. Di modifiche invece dello statuto della BCE, per farla diventare una normale banca centrale che acquista e monetizza il debito dei paesi
controllati, non se ne parla proprio, perchè anche questo è un passaggio che
per la Germania va affrontato alla fine dell’unificazione fiscale e politica,
ovvero solo dopo che i governi nazionali
avranno ceduto parte della loro sovranità ai commissari europei (o meglio
ancora tedeschi), che si occuperanno di vigilare sui bilanci e di decidere le
politiche fiscali (spesa e tassazione) dei singoli stati. Prima pagare moneta e
poi vedere cammello, direbbe il tedesco beduino.
Niente da fare neanche per la proposta di Mario Monti di utilizzare il vecchio fondo EFSF o il nuovo MES per
acquistare titoli di stato sul mercato aperto e far abbassare il rendimento
a livello più accettabili, unica condizione ormai rimasta per l’Italia per
poter rimanere in questa unione monetaria malandata. La Germania ha opposto
però un netto rifiuto a questo tipo di prospettiva, perché considerata una
modalità indigesta e artificiosa di “stampaggio
di moneta” per finanziare gli stati (cosa osteggiata come la peste
bubbonica dai tedeschi, che ignorano ipocritamente la massiccia quantità di
moneta creata dal nulla ogni giorno dalle banche centrali del SEBC per
rifinanziare le banche private), anche se dovrà spiegare questa sua posizione
con la ratifica del trattato intergovernativo che istituisce il MES, dove è riportato a chiare lettere
la possibilità di utilizzare i fondi raccolti per l’acquisto di titoli di
stato.
Ed è appunto il MES un altro campo di battaglia fra i vari contendenti,
perché è chiaro che dovranno essere riviste le modalità e le quote di
partecipazione alla luce dei recenti eventi che hanno coinvolto nei salvataggi uno stato importante come la Spagna: il paese
iberico che proprio ieri ha chiesto ufficialmente aiuto per sostenere i suoi
conti pubblici per una cifra pari a circa €60-70 miliardi, dovrà versare la sua quota di €90 miliardi al MES? Cosa farà, con una mano prende e con l’altra da?
Storture della logica e rischi evidenti di implosioni interne a catena. A causa di tutte queste buche
stracolme di irrazionalità sul terreno, la partita che si giocherà oggi fra
Germania e Italia, che in realtà nasconde le insidie di un più fragoroso scontro frontale a muso duro fra la
Germania e il resto dell’Europa, potrebbe quindi facilmente risolversi come
in passato con un clamoroso nulla di
fatto e a quel punto si riaprirebbero di nuovo tutti gli scenari non ancora
considerati, primo fra tutti l’uscita
ordinata o disordinata dall’euro, con la Germania, che per ovvie ragioni,
potrebbe fare da apripista. Per l’Italia potrebbe così iniziare una nuova fase costituente, una quarta e
speriamo ultima Repubblica Democratica, in cui verrebbero esaminati con
schiettezza e lucidità gli innumerevoli vantaggi che comporta una piena sovranità monetaria, economica, e politica, e si tirerebbero le somme di tutti gli errori e i costi enormi
che ha dovuto sopportare ingiustamente questa nazione aggregandosi ad un’unione
monetaria sbagliata fin dall’inizio.
Come dopo Tangentopoli, andrebbe fatta una nuova grande opera di pulizia di
tutta la classe dirigente che ci ha condotti in questo disastro durante gli
ultimi trent’anni, senza distinzione di ruolo e di partito. E soprattutto
andrebbero spiegati per una buona volta con chiarezza alla gente i cardini su
cui si fonda una vera democrazia, in modo di evitare in futuro di incorrere
nelle stesse amnesie o leggerezze: sovranità
monetaria, banca centrale pubblica,
politica monetaria ed economica
incentrata sulla piena occupazione, sistemi
di partecipazione di democrazia diretta che impediscano qualsiasi deriva
autoritaria e parassitaria della rappresentanza parlamentare.
Questa sì che sarebbe una bella partita da giocare, ma prima bisogna purtroppo passare dai turni preliminari dei vertici
europei, delle commissioni, dei consigli presidiati da una miriade di tecnocrati, di burocrati, di
funzionari, che sono dei parassiti al pari e forse anche peggio degli stessi politici di professione, che quantomeno hanno ancora l'obbligo di sudarsi la candidatura e la carica passando prima dal vaglio dei partiti e poi dal voto popolare. Perché abbiamo dimenticato di dire che come tutte le partite che si
rispettano anche il Vertice Europeo di oggi avrà i suoi arbitri, che sono in tutto quattro: il presidente della commissione
Barroso, il presidente del consiglio
Van Rompuy, il presidente
dell’eurogruppo Junker e il
governatore della BCE Draghi.
Gli
arbitri sono intenzionati a difendere il loro amato gioco fino alla fine per salvare il posto e hanno già scritto un documento pieno di regole o buoni propositi che
non stanno né in cielo né in terra, dato che per i motivi visti sopra nessuno
dei partecipanti sarà in grado di rispettarli e avrà la forza o la voglia di
attuarli: aumento dei poteri della BCE, garanzia sui depositi bancari,
politiche di bilancio coordinate e ovviamente gli immancabili eurobonds. E poi
c’è il tifo, già, non si può
dimenticare il tifo. Qui in Italia si distingue grosso modo in due grandi
fazioni: gli idioti fanatici che ignorano tutto ciò che abbiamo scritto in
questo articolo e ancora credono negli Stati
Uniti d’Europa e le persone normali che sperano invece in un’Europa libera, pacifica, democratica,
multietnica delle nazioni sovrane, che ritrovi quanto prima la dignità, la
cultura, il blasone che le compete. Palla a centro, che la partita abbia
inizio.
Penso che avremo l'ennesimo nulla di fatto. Troveranno il modo di far passare una qualche accordo minore come un successo ed il vertice si chiuderà nell'ipocrisia generale.
RispondiEliminaPiuttosto, mi chiedo quale possa essere il detonatore della rottura, il primo evento che porti ad un default e/o ad una uscita. In questo momento non so decidermi.
Roberto Seven
Concordo...spettacolare la trovata di Monti di mettere il veto sulla Tobin Tax qualora non venga creato uno scudo contro gli spreads....secondo me si mettono d'accordo prima: chi è che a questo giro mette il veto sulla Tobin Tax??? Prima Cameron, poi Monti, poi la parte sarà recitata dalla Merkel o da Hollande...l'importante è prendere in giro tutti i cittadini europei e illuderli che questa volta sarà diverso...secondo me la prima ad uscire sarà la Germania quando verranno confermati i dati negativi della sua produzione e prossima stagnazione e si renderà conto che andando avanti così aumenteranno enormemente i suoi crediti inesigibili nei confronti del resto dell'eurozona...
EliminaIo penso che sia sbagliato prendersela con la Germania. tutto il casino economico e finanziario degli ultimi mesi è un fatto riguardante esclusivamente i Paesi "maiali" e cioè italia, Irlanda, Spagna, Grecia, Portogallo e cioè quei Paesi che da sempre possiedono un'economia fragile e vivono sulle spalle degli altri piangendo e mendicando aiuti sempre e comunque.
RispondiEliminaabbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità con pensioni da favola, con le ferie più alte di tutti.
La Grecia mi pare è il Paese con più alto numero di ferie, poi viene l'italia e la spagna. La Germania in cui si arriva a mala pena a 15 giorni di ferie l'anno non ha eguali.
e al nord si lavora molto da noi al solito prevale la morale della "siesta".
in tutto questo casino poi è comodo prendersela con la Germania il cui sviluppo economico (come sempre del resto) è del tutto avulso da ogni altro contesto europeo.
la germania fa quello che deve fare e cioè pensa a fare la propria economia in un contesto europeo come è logico che accada in un Unione monetaria.
il problema è che ha bisogno di farlo in autonomia senza che nessuno gli rompa le scatole.
i tedeschi sono un popolo orgoglioso, hanno diritto di comandare a livello economico si sono guadagnati questo diritto nel corso dei secoli grazie alla loro enorme cultura, cultura millenaria.
poi non sono loro certo ad impedire ad altri Paesi di svilupparsi economicamente ma è il debito pubblico e il fatto che spagna e italia campino sulle spalle dei tedeschi e lo abbiano fatto per lungo tempo.
al di sopra delle nostre possibilità abbiamo campato e ora la pacchia è finita.
Ma tutto questo pozzo di scienza e conoscenza dove l'hai appreso? Al CEPU?
Eliminahttp://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome_di_Stoccolma
EliminaInvito chiunque sia affetto da Sindrome di Stoccolma nei confronti della Germania, di spostarsi, traslocare, delocalizzare direttamente in suolo tedesco, in modo da fare un favore agli alemanni e agli italiani che invece hanno deciso di continuare a vivere malgrado tutto in suolo italico...visto che sono così innamorati della cultura, dell'etica etica teutonica non sarà difficile ambientarsi presto fra gli alemanni...solo per la precisione: qui nessuno ha mai detto che è colpa dei tedeschi tutto il disastro attuale dell'eurozona. Se qualcuno ti offre di cambiare a zero spese la tua vecchia cinquecento con una ferrari fiammante, tu cosa fai? Ti prendi la ferrari e cominci a correre come un forsennato...la colpa quindi non è di chi ha preso la ferrari, ma di chi gliela messa a disposizione gratuitamente, senza nessuno sforzo, ovvero la nostra classe dirigente collusa con i grandi imprenditori e banchieri europei...la morale è: ognuno dovrebbe continuare a camminare sulle proprie gambe e con la propria macchina, rispettando i limiti di velocità del luogo in cui vive...se qui fa caldo, è normale che i ritmi produttivi non potranno mai essere uguali ai luoghi dove non si suda mai...da che mondo è mondo, ogni luogo ha le sue abitudini e le sue tradizioni e bisogna rispettarle...rinnovo quindi l'invito a tutti gli italiani innamorati della Germania di spostarsi in massa ad Hannover, Francoforte, Monaco, Berlino...buon viaggio!!!
Eliminaascoltatevi pierferdinando casini, lui queste cose le dice tutti i giorni e lui di economica capisce molto più di voi e pure di chi scrive questi articoli.
RispondiEliminaPer il momento il mio intestino funziona regolarmente e correttamente...ma qualora dovessero insorgere in futuro problemi di stitichezza ascolterò volentieri casini per aiutare l'intestino pigro...Casini l'unico politico capace di stare 40 anni in parlamento senza dire e fare niente!!!! Un record insuperabile...
EliminaHai trincato parecchio ultimamente?
Eliminatra l'altro che vuol dire che "capisce di ECONOMICA" ?
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaSpero che ci sia dell'ironia ...
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RispondiEliminaScusa,ripeto la domanda perché l' I Pad aveva fatto le bizze. Dunque, ho letto l'articolo di Verde "la Storia insegna ma non ha..." che spiega come Mussolini, preso dagli stessi deliri di Churchill,volle a tutti i costi una Lira forte e rivaluto' del19 % Noi quanto abbiamo rivalutato nel trionfale aggancio al Marco Exchange Standard ?
EliminaContessa, questa volta mi prendi proprio in contropiede, perchè bisognerebbe avere i dati di cambio lira-marco prima del 1999, anno dell'aggancio rigido senza più banda di oscillazione...così, d'istinto, ti risponderei che la lira ha potuto rivalutare al massimo all'ultimo giro del 8,5%, ovvero dello scarto fra il livello minimo della banda (-6%) a cui poteva collocarsi la lira e il livello massimo della banda (+2,5%) a cui poteva collocarsi il marco, ma ripeto ci vorrebbero i dati di cambio sottomano che al momento non ho...comunque che alla fine la lira abbia dovuto rivalutare molto rispetto al marco questo è un dato di fatto inequivocabile, perchè senza l'obbligo di questo aggancio rigido la politica monetaria avrebbe seguito tutto un altro percorso e la lira si sarebbe spontaneamente svalutata...interessante il parallelo con Mussolini e Churchill, che dovettero entrambi rompere l'aggancio rigido all'oro a partire dal 1931 per non fallire...la storia insegna ma gli uomini non imparano mai!!!
EliminaPiero, inutile sollecitare il tuo punto di vista sul vertice di Bruxelles. La tua chiarezza espositiva resta unica, almeno a mio avviso.
RispondiEliminaGrazie.
Mauri Di Pietro.
Grazie Maurizio, cosa dire del vertice europeo di Bruxelles? Una buffonata in piena regola, nell'articolo successivo ho cercato di sintetizzare le mie idee in proposito...
EliminaBe..a questo punto, con l'euforia diffusa nei bar, per strada, nei palazzi di governo...siamo a cavallo....Borse in festa, spread in discesa libera...."forza Italia"...e dopo la partita...tutti al mare!! E vai!! E con quali soldi? Non c'è problema, con il buon umore dei bancari ce li mandano a casa per posta....regalo di Monti dal pacchetto per la crescita...si....dai..poi sugli interessi ne parliamo dopo..Il lavoro? Che problema c'è? Adesso basta appostarsi vicino a una qualsiasi azienda e aspettare...appena vediamo qualche salariato uscire con una busta bianca in mano e la testa china, ci presentiamo di corsa e reclamiamo il posto del malcapitato sottolineando "non vi preoccupate datemi molto meno di quello che è appena uscito"...non ve ne pentirete...Grazie ai nostri "super Mario"....che momenti intensi che ci hanno fatto vivere la notte passata...
RispondiEliminaAnimo gente...la crisi è finita....evviva!!!
Lo spread?? Ma dai...è acqua passata.....può arrivare anche a 600...tanto abbiamo l'anti-spread (usando l'ironia di Bagnai...Monti santo subito dopo e aggiungo "una statua al museo delle cere")
E per quelli che ancora sono di malumore o euroscettici...ci pensa Monti domani.....con un bel decreto "ottimismo e felicità"....naturalmente chiedendo l'ennesima fiducia al parlamento..
Scusate..sono di malumore oggi...
Saluti Santo
Ciao Piero, ti sei fatto un'idea su questo "benedetto anti-spread"?....Supponiamo che decidono per una percentuale "di massima", diciamo 3-3,5%, la differenza da un'ipotetico 6-7% da chi verrebbe integrata...dai fondi Esm/Efsf? Quei fondi da dove arrivano? E'la BCE che comprerà i nostri titoli e riverserà liquidi in quei fondi? O saranno gli stati a mettere a disposizione la liquidità? Sono un po' confuso su questo passaggio. Se fosse la mia ultima ipotesi il problema sembrerebbe uscire dalla porta per poi rientrare dalla finestra....Metterebbero un freno sugli interessi sul debito e aumenterebbe il "nostro di debito"...cercando liquidità, appunto, dalle nostre tasche....
RispondiEliminaSaluti Santo
Santo, credo anch'io che questo vertice una nuova truffa ai danni dei cittadini (questa volta non solo spagnoli o italiani o greci, ma europei tutti...) e che il cosiddetto scudo anti-spread sia una bufala...nell'articolo successivo ho cercato di spiegare i motivi...
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