Parlo da ingegnere che per
un certo periodo della sua vita ha lavorato all’interno dei reparti di
produzione. Quando un sistema industriale produce troppi pezzi difettosi
significa che è arrivato il momento di fare un massiccio intervento di manutenzione straordinaria per ritrovare i possibili
guasti dei macchinari e dei processi produttivi adottati. Le cause di simili
anomalie possono essere molteplici e tutte interconnesse fra di loro, ma è
indubbio che se le carte registrano per un periodo prolungato di tempo un’alterazione dei
normali livelli di difettosità il
sistema è fuori controllo e ha bisogno di una seria messa a punta. Ora, capisco che il paragone fra un sistema
industriale e una società civile nel suo complesso possa essere un po’ azzardato, ma se provate
ad astrarvi un po’ con l’immaginazione noterete che le analogie e le similitudini
sono davvero tante: chi ci governa considera le persone come tanti pezzi meccanici o macchine o numeri,
ed è talmente incompetente ed incapace da non capire che il sistema di governo che ci ha imposto dall’alto
è ormai abbondantemente fuori controllo. Si tratta di una società allo sbando
senza più punti di riferimenti, ideali, speranze, aspettative, capacità di
vedersi come una collettività di creature in evoluzione e in continuo
miglioramento. La violenza, la disperazione, il delirio, l’odio che si
percepiscono nell’aria sono i difetti principali della nostra società. E la
circostanza più bizzarra è che coloro che si ritengono gli architetti e gli
ingegneri di questo sistema europeo di
oppressione non sono minimamente in grado di comprendere che il vaso ormai
è colmo e straborda da ogni lato, perché per loro i guasti sono una parte
integrante del progetto iniziale: i
pezzi difettosi vanno soltanto eliminati, zittiti, esclusi dalla catena di
montaggio e non capiti, ascoltati, "riparati".
Quando accadono fatti tragici
come quello della sparatoria davanti
Palazzo Chigi, bisognerebbe drizzare subito le orecchie ed iniziare a
riflettere più attentamente su ogni cosa. Quello che ho visto io, attraverso le
immagini televisive, sono state le sagome di tre sventurati, vittime allo stesso modo di una
situazione che sfugge ormai al nostro controllo: due di loro, i carabinieri,
erano stramazzati al suolo e grondavano di sangue, sangue vero, l’altro aveva
invece il sangue agli occhi e fumava di rabbia per i motivi che conosciamo
bene. Non appena ad un uomo cominci a togliere prima il lavoro, poi la
tranquillità familiare, la dignità, infine la speranza per il futuro, quell’uomo è in verità una mina vagante pronta ad
esplodere in ogni momento. L’attimo esatto della deflagrazione dipende
soltanto da una delicata questione di equilibrio personale, autocontrollo,
saldezza di nervi. C’è chi sa contenere la sua rabbia per tutta la vita e chi
invece riesce con il tempo a trasformarla in altro, ma c’è anche chi non
conosce altro mezzo per esternare la sua rabbia, la sua solitudine, il suo
isolamento che la violenza. Tranne in rari casi di evasione spirituale, un uomo
non sceglie mai volontariamente di rimanere da solo, ma viene lentamente
abbandonato da tutto e da tutti finché non si rende conto di essere solo e
disperato. E qual è esattamente il
confine fra un uomo solo e un uomo abbandonato?
Ripeto, non mi sognerei
nemmeno lontanamente di giustificare la violenza, perché una tale condotta è
lontana anni luce dai miei principi morali e dalle mie abitudini, ma cerco
soltanto di immedesimarmi con ciò che può provare un uomo in preda al delirio e alla disperazione. Non vi nascondo
che sento molta compassione sia per i due carabinieri feriti che per quell’uomo
calabrese che non sapeva più dove sbattere la testa e aveva deciso di compiere qualcosa di eclatante per farsi ascoltare. Liquidarlo come un caso isolato, uno
psicopatico, un emarginato è molto riduttivo, perché basterebbe scorrere la
lista degli omicidi, delle rapine, delle aggressioni, dei suicidi che ogni
giorno, ininterrottamente, si succedono in Italia per capire che si tratta di
un contagio generalizzato e
inarrestabile. Continuare invece a ripetere che questi rigurgiti di
violenza sono la naturale conseguenza di chi aizza le folle e invoca la
mobilitazione a furor di popolo, significa ancora una volta trascurare e tacere
sulle vere cause degli errori e delle
distorsioni di un intero sistema sociale: non è che se tutti stiamo zitti e
allineati, i problemi dell’Italia e dell’Europa si risolvono da soli, come per
magia. I movimenti di protesta sono solo l’effetto di una causa che sta più in
alto, più in profondità, nel modo stesso in cui è stata concepita e progettata
questa scellerata unione monetaria
europea. Un modo folle e disumano che pretende di riparare agli errori,
agli squilibri, alle iniquità senza apportare azioni correttive, procedere a
manutenzioni straordinarie, rivedere alcune parti deboli del progetto. Al massimo,
quello a cui abbiamo assistito in questi ultimi anni è un’amplificazione degli
sbagli commessi in passato: l’errore non
si risolve ma diventa prassi, norma, forma di governo.
Come tutti noi abbiamo imparato
a conoscere, il sistema economico
europeo è bancocentrico: le
aziende che hanno bisogno di capitali per finanziare i loro investimenti devono
principalmente rivolgersi alle banche, mentre solo le grandi società
multinazionali possono raccogliere direttamente fondi dai mercati borsistici. Se le banche vanno in crisi, tutto il
sistema economico collassa. Questo è il motivo principale per cui a
differenza dell’eurozona, paesi come gli Stati
Uniti, basati su una maggiore dinamicità e flessibilità dei mercati dei
capitali, dopo la crisi bancaria del 2007 si stanno riprendendo piuttosto rapidamente,
puntando soprattutto sul sostegno sostenuto e continuativo dei valori borsistici. Stessa cosa
sta avvenendo in questo momento in Giappone,
dove gli indici di borsa stanno raggiungendo valori record e il governo con il
supporto della banca centrale sta attuando un vasto programma di spesa pubblica e di immissione di nuova liquidità. In Europa invece tutto è bloccato,
fermo, congelato in attesa che le banche
rimettano a posto i loro bilanci disastrati. Quasi tutte le banche europee,
chi più chi meno, chi in modo evidente e chi invece in modo occulto, soffrono di una doppia crisi di insolvenza e di liquidità e
hanno immediata urgenza di essere ricapitalizzate per rientrare nei parametri
patrimoniali richiesti dagli Accordi di
Basilea o dall’EBA (European Banking Authority). In queste
condizioni, le prospettive di una ripresa economica stabile e generalizzata in
Europa diventano sempre più lontane e improbabili.
Sappiamo anche che mentre
negli Stati Uniti e in Giappone sono state soprattutto le autorità monetarie a
scontare i costi della crisi, in Europa il peso
degli aggiustamenti è caduto principalmente sui risparmiatori, sui lavoratori,
sulle piccole e medie aziende, ovvero sui fattori produttivi da cui dipende
la crescita economica che tanto si auspica a parole e che invece viene continuamente
penalizzata e ostacolata dalla strategia
suicida adottata dalla tecnocrazia di Bruxelles. Malgrado i proclami
profusi da ogni parte di alleggerire le politiche di rigore e di austerità, non
esistono in concreto le benché minime premesse perché ciò possa avvenire. Per
quanto osteggiato e criticato da quasi tutti i governanti europei (non ultimo
il neo-presidente del consiglio Enrico
Letta), il trattato del Fiscal Compact, che prevede per l’Italia un rientro progressivo del debito
pubblico entro la soglia del 60% nei prossimi venti anni, non è mai stato messo
seriamente in discussione in nessuna sede politica che conti. E a cosa serve principalmente il Fiscal
Compact? Ad estorcere liquidità dal basso, dalla popolazione, dalla parte
produttiva della società da consegnare alle banche, che proprio sulla rendita speculativa di posizione
derivante dal possesso dei titoli di stato hanno costruito in passato e
costruiscono ancora oggi una buona porzione della loro stabilità finanziaria. Uno spread elevato è tanto letale per noi
contribuenti, che dobbiamo ripagare gli oneri degli interessi sui titoli di
stato, quanto per le banche, che vedrebbero decadere rapidamente i valori dei
loro attivi di bilancio. Ecco per quale motivo le uniche operazioni monetarie
di rilievo messe a punto dalla BCE sono indirizzate ad un contenimento degli spreads a livello continentale. Niente in
confronto alle gigantesche manovre monetarie a tutto campo intraprese dalla
Federal Reserve, dalla Bank of Japan e dalla Bank of England.
Il recente taglio di un
quarto di punto percentuale del tasso di
sconto principale (portato così allo 0,5%, la soglia più bassa mai
raggiunta dalla BCE) avrà poche ripercussioni benefiche sulla cosiddetta
economia reale, perché è saltato da tempo il meccanismo di trasmissione monetaria: le banche non fanno prestiti
sulla base del costo del denaro, ma sulla scorta del rischio sistemico relativo
ad ogni paese, che per adesso è molto alto soprattutto nella periferia per i
motivi che abbiamo prima detto di riduzione di domanda dei consumatori, crisi e
fallimenti a catena delle aziende. Si è creato in pratica un vero e proprio cortocircuito fra le banche che cercano
di ridurre i debiti, migliorare gli attivi, garantire i requisiti patrimoniali
e l’economia reale che andando incontro a continui fallimenti impedisce proprio
alle banche di ripulire i propri bilanci, perché la contrazione economica fa aumentare inesorabilmente
la quota dei prestiti in sofferenza.
Si tratta in buona sostanza di un gigantesco
cane che si morde la coda, che nessuno ha il coraggio di fermare o la
capacità di guardare dritto negli occhi. Se osserviamo il grafico sotto,
possiamo notare come le banche italiane
stanno seguendo con due anni di distanza lo stesso cammino di innalzamento dei
prestiti in sofferenza (NPL, Non Performing Loans) delle banche spagnole, che ha portato queste
ultime la scorsa estate a chiedere un piano di aiuti alla stessa Unione Europea.
Nonostante le banche
italiane non abbiano affrontato fino ad oggi una crisi immobiliare devastante come quella
spagnola o irlandese, la recessione economica
e l’elevata disoccupazione stanno
gradualmente portando allo stesso risultato. E non è tanto lontana l’ipotesi
che prima della fine dell’anno, l’Italia sarà allo stesso modo costretta a
richiedere un programma di salvataggio
straordinario all’Unione Europea per mettere in sicurezza l’istituto
più caracollante e fragile del nostro sistema bancario nazionale: Banca Montepaschi di Siena. Secondo gli ultimi dati ufficiali, la
banca senese ha chiuso il 2012 con un risultato netto negativo di €3,17 miliardi, di molto superiore rispetto ai €2
miliardi inizialmente stimati. E ovviamente su questo risultato hanno pesato in
modo preponderante le rettifiche nette
sui crediti di oltre €2,67 miliardi, come conseguenza di ciò che abbiamo
detto prima. In altre parole, Montepaschi è una banca virtualmente fallita e
insolvente, che viene per adesso tenuta in piedi dai salvataggi di stato e dai programmi
speciali di fornitura di liquidità della BCE (ELA, Emergency Liquidity
Assistance). Se dovesse interrompersi drasticamente uno di questi due
canali di supporto, Montepaschi dovrebbe dichiarare bancarotta nel giro di
pochi giorni, perché come ammesso dallo stesso presidente Alessandro Profumo, continua inarrestabile la fuga dei depositi. Anche se lo stesso dirigente si è guardato bene da specificare la cifra esatta dell’emorragia relativa al primo trimestre del 2013
per non allarmare troppo investitori e clienti.
In questo scenario già di
per se preoccupante, c’è un altro fattore critico da considerare: entro il 2014
banca Montepaschi dovrà rimborsare circa €30
miliardi presi in prestito dalla BCE con l’operazione LTRO (Long Term Refinancing
Operation), utilizzati soprattutto per riacquistare proprie obbligazioni e
comprare titoli di stato. Dei €250 miliardi di liquidità concessi complessivamente
alle banche italiane, soltanto poco più di un miliardo sono stati fino ad oggi
rimborsati, posticipando quindi pericolosamente nel tempo il maggiore onere di
rimborso, che potrebbe appunto avvenire in un’unica soluzione a partire da
dicembre 2014. Come farà Montepaschi a
trovare questa liquidità se continua il deflusso di depositi? Mistero. Consideriamo
anche che attualmente il market cap di Montepaschi, cioè il
patrimonio netto ricalcolato al valore di mercato, ammonta ad un misero €2,16
miliardi e gli azionisti non sono molto propensi in questo momento a procedere
a ricapitalizzazioni fornendo nuovi fondi di tasca propria. Con un margine di
capitale proprio così basso, difficilmente Montepaschi potrà far fronte alla
doppia crisi di insolvenza e liquidità in corso. A meno che non venga attuato
un piano di salvataggio sul modello delle banche di Cipro, con un bail-out esterno accoppiato ad un bail-in
interno. E qui vengono i dolori per i vecchi e nuovi depositanti e
investitori di Montepaschi.
Se analizziamo la
distribuzione del passivo di bilancio
di Montepaschi, vediamo che la maggior parte dei debiti della banca è costituita
da depositi (€81 miliardi, Total Deposits) e da obbligazioni senior non garantite (€56 miliardi, Senior Unsecured Bonds), che con ogni probabilità saranno le prime
voci ad essere aggredite in caso di bail-in
interno. E in modo implicito e un po’ scorretto è già stato deciso quali
depositanti devono pagare il conto: il Sud
Italia poco produttivo e assistenzialista. Banca d’Italia infatti sta ostacolando da tempo l’apertura di nuove
filiali di Deutsche Bank e di altre
banche estere a sud di Napoli, per tenere imprigionati i depositi all’interno
delle banche italiane ed evitare la fuga di capitali. Secondo alcune stime, se
Deutsche Bank potesse avere l’autorizzazione ad aprire filiali nel Sud Italia,
le banche italiane tutte, non solo Montepaschi, sarebbero messe in ginocchio da
una corsa agli sportelli in massa e da
una chiusura anticipata di depositi senza
precedenti. Per chi non avesse ancora capito bene, la strategia per tenere in
piedi le banche italiane e non penalizzare troppo la parte settentrionale produttiva
del paese è stata quindi già decisa nei palazzi del potere. E, come si suol
dire: “uomo avvisato, mezzo salvato”.
Tutti sanno che Montepaschi prima o dopo avrà bisogno di un piano di
salvataggio, quindi servirà a poco gridare e manifestare la propria rabbia
quando arriverà il momento di pagare. La
legge di oppressione e depredazione del sistema bancocentrico europeo purtroppo non ammette ignoranza. E gli ignoranti,
così come i deboli, i disoccupati, i poveri, devono pagare per mantenere
intatto l’elevato tenore di vita dei ricchi, dei furbi, degli speculatori.
Se aggiungiamo a tutto
questo che lo Stato italiano, malgrado tutti i tentativi di costruire
maggioranze allargate e governi ballerini, non avrà mai da qui ai prossimi
venti anni alcuno spazio di manovra fiscale
per uscire fuori dalla morsa dell’austerità, possiamo comprendere come la
prossima espropriazione dei depositanti e degli investitori di Montepaschi sarà
solo un piccolo passo all’interno del più colossale
programma di spoliazione di ricchezza da interi paesi e popolazioni mai
avvenuto nella storia dell’uomo. Come dice bene in un suo brillante articolo
pubblicato sul Financial Times (tradotto in italiano su Keynesblog), l’analista
tedesco Wolfgang Munchau: “Sotto il
Fiscal Compact, l’Italia sarà tenuta a ridurre il debito di oltre il 2% del PIL
ogni anno. Per raggiungere tale obiettivo, l’Italia avrà bisogno di enormi
avanzi strutturali per quasi una generazione. Quindi, se si vuole far cessare l’austerità, è necessario
iniziare abrogando il Fiscal Compact e modificando alcuni atti di diritto
derivato in materia di politica fiscale di coordinamento. Non credo che questo
accadrà. La mia conclusione è che l’austerità è qui per restare, ma verrà
semplicemente presentata con parole più dolci. E durerà per tutto il
tempo in cui esisterà l’euro”.
http://www.repubblica.it/economia/2013/05/08/news/corte-conti_misure-58346178/
RispondiEliminaI TECNICI, tse.
Saluti,totò.
Alla fine dell'800, chi pagò il conto del pareggio di bilancio, con la tassa sul macinato?
RispondiEliminaI meridionali.
Agli inizi del 2000, chi paga il conto del pareggio di bilancio, dell'azzardo morale dei banchieri e della sciagurata adesione all'euro?
I meridionali.
Mi sa che la vera secessione, andrebbe chiesta dal basso......
LARS.
i meridionali che fra poco saranno in bona compagnia però. anzi stanno già iniziando ad esser accompagnati.
EliminaMi sembra inverosimile, se fanno accettare all'Italia per Mps un piano come per Cipro, sarebbe la fine dell'euro, in quanto sarebbe uno schock che porterebbe finalmente gli italiani a reagire. Ma poi scusate, l'italia ha tirato fuori per le banche 4 miliardi per mps, la germania 400 miliardi ed il loro settore bancario fa molto piu' schifo del nostro. Per non dire della Francia e degli altri, dentro e fuori l'euro.
RispondiEliminahttp://lasolitudinedeinumerireali.blogspot.com/ i veri numeri delle banche
RispondiEliminacon grande tristezza vi scrivo... io sono dovuto emigrare all estero... per quanto qui si stia meglio amministrativamente non e la mia "casa" e la cosa che mi fa male e sapere che la mia casa non ce piu.. tutto cio che e stato ormai e stato portato via dalla crisi.. e non solo quella economica ma anche dalla mancanza di leadership. cmq non voglio offendere le tue conoscenze ma sappi che anche gli usa si stano scavando la fossa bernanke e solo un incompetente che tappa le falle col nastro adesivo stampando soldi che vengono immediatamente sversati negli stock invece cge in sanita infrastrutture ricerca etc cio che possono dare la cresxita di un paese.Riferendomi agli USA direi che a differenza nostra loro oer ora "pareggiano" rimandanfo a poi.. ma senza stroncare le famiglie e le piccole e medie imprese. Per ora.
RispondiEliminaAttenzione! Attenzione!! Attenzione!!! ,
RispondiEliminaSIG.RA. ALICE ROBERTO società di prestito è venuto a fornire prestiti privati, commerciali e personali con molto bassi tassi di interesse l'anno a partire da 2% entro un 1 anno e 55 anni rimborso periodo di durata a qualsiasi parte del mondo.
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