Dopo il via libera del Consiglio dei Ministri al Decreto
sulle Liberalizzazioni, il premier Mario
Monti deve affrontare il difficile cammino che attraverso la riunione dell’Ecofin,
in qualità di ministro dell’economia e delle finanze, lo porterà poi lunedì
prossimo al Vertice Europeo di
Bruxelles, per valutare e definire gli ultimi dettagli del famigerato Fiscal Compact, l’accordo
intergovernativo fra i 26 paesi dell’Unione
Europea (tutti tranne la Gran Bretagna, che ha deciso non a torto di
tirarsi fuori anzitempo da questa masochistica guerra al massacro voluta
fortemente dalla Germania) che dovrebbe rappresentare il primo passo verso la
tanto osannata unificazione fiscale.
Il promotore ufficiale di questo accordo è il presidente del
Consiglio Europeo Herman Van Rompuy
(foto in alto), che per chi si fosse messo da poco in onda sulle frequenze del
totalitarismo orwelliano dell’Unione Europea, è un’eminenza grigia mai eletta
democraticamente dai cittadini europei e nominato alla sua carica il 19
novembre 2009, grazie forse ai meriti e ai successi ottenuti come primo
ministro del Belgio, paese portato nel giro di un paio di anni sull’orlo della
bancarotta finanziaria e dell’instabilità politica (le malelingue
“complottiste” invece sostengono, dati ufficiali alla mano, che il vero merito
di Van Rompuy sia stato il salvataggio
pubblico di Banca Fortis e la
partecipazione il 12 novembre, appena una settimana prima della sua nomina, ad
una cena organizzata al Castello di Hertoginnedal, nei pressi di Bruxelles, dal
Gruppo Bilderberg, la potente lobby
semisegreta e semi non si sa, che a dispetto di tutti i pettegolezzi e le
insinuazioni continua a riunirsi ogni anno con puntualità svizzera per tenere
conferenze a porte chiuse sullo stato dell’arte della politica e dell’economia
nel mondo…).
La presenza di Van Rompuy come coordinatore di questo vasto
progetto di unificazione fiscale è quindi una certezza e una garanzia di
successo, non tanto per i cittadini
europei, che non potranno muovere un
dito sulle scelte prese dai tecnocrati e saranno come al solito costretti a subire in silenzio le loro
decisioni, quanto per le lobbies
assoldate dalle grandi corporations
e dalle multinazionali, che a
Bruxelles crescono come funghi (si calcola, sempre secondo dati ufficiali dei
registri del Parlamento e della Commissione Europea aggiornati al 2008, che
nella capitale belga abbiano sede 5600 fra lobbies e gruppi di interesse e
lavorino circa 15000 lobbisti professionisti, con il compito specifico di fare
pressione sui legislatori europei e sollecitare alcuni argomenti chiave della
normativa comunitaria).
Fatta questa dovuta premessa, vediamo quali sono i punti più
importanti di questo accordo Fiscal
Compact, che secondo le intenzioni di Van Rompuy dovrebbe essere firmato dai 26 paesi aderenti entro marzo
2012 (l’accordo diventa vincolante se almeno 12 paesi su 26 firmeranno il
contratto intergovernativo) e dovrebbe quindi entrare in vigore a partire dal 1 gennaio del 2013 (fonte Adelfo RischioCalcolato):
ü L’obiettivo a medio termine è che il bilancio delle amministrazioni pubbliche debba essere (o pervenire
dopo un “percorso di avvicinamento”) in pareggio
o in avanzo.
ü Durante la fase di convergenza a medio termine, il deficit strutturale annuo non può essere superiore a 0,5% del prodotto interno lordo ai
prezzi di mercato.
ü Le parti contraenti possono temporaneamente deviare dal loro obiettivo a
medio termine solo in “circostanze
eccezionali”.
ü Per “circostanze eccezionali”
si intende un periodo di grave recessione
economica o un evento inconsueto non
soggetto al controllo delle Parti contraenti.
ü In caso di significativi scostamenti dall’obiettivo a medio termine, un
“meccanismo di correzione” deve attivarsi
automaticamente e le parti contraenti hanno l’obbligo di predeterminarlo.
ü Quando il rapporto tra il debito
pubblico e prodotto interno lordo supera il 60% del valore di riferimento le parti contraenti devono attuare la
procedura per i disavanzi eccessivi, come da regolamento UE.
ü L’Unione Europea deve mettere
in atto un programma di partenariato
economico e di bilancio coordinato (contenente una descrizione dettagliata
delle riforme strutturali) per le parti contraenti che sono oggetto di una procedura
per i disavanzi eccessivi.
ü L’attuazione del programma ed
i piani annuali di bilancio saranno monitorati dalla Commissione e dal Consiglio Europeo.
ü Le parti contraenti riferiscono ex-ante
sui loro piani di emissione di debito
pubblico.
ü Le parti contraenti la cui moneta è l’euro si impegnano a sostenere le proposte o raccomandazioni presentate dalla
Commissione Europea riguardo uno Stato membro che violi il criterio del
disavanzo eccessivo.
ü Se una parte contraente ritenga, indipendentemente dalla Relazione della
Commissione, che un’altra parte contraente non ha rispettato i termini
dell’accordo, può presentare istanza alla Corte
di Giustizia Europea, con
sentenza vincolante.
ü Le parti contraenti garantiscono che tutte le riforme di politica economica che intendono intraprendere saranno
discusse ex-ante con la Commissione
ed il Consiglio Europeo ed, eventualmente, coordinate tra di loro.
ü Il trattato sarà ratificato dalle parti contraenti conformemente alle
loro rispettive norme costituzionali ed entra in vigore il 1° gennaio 2013, a condizione che vi siano almeno dodici contraenti.
Trascurando per un
attimo le inevitabili lagnanze e gli evidenti aspetti di cessione di sovranità nazionale, che per un paese che ha deciso di
entrare in un istituzione sovranazionale come l’Unione Europea dovevano essere
messi in conto prima dell’ingresso, gli effetti dal punto di vista economico e
finanziario per una nazione come l’Italia, che si trova da anni appesantita da
un enorme debito pubblico, sono devastanti.
Portando
l’asticella di guardia del rapporto
deficit/PIL del precedente Patto di Stabilità europeo dal 3% all’attuale 0,5% nel 2013 (ma il presidente del
consiglio Monti, ispirato forse dal precedente ministro Tremonti, è ancora più
ottimista perché per quella data intende raggiungere il pareggio di bilancio ed è già avviato l’iter parlamentare per
introdurre questo articolo nella
Costituzione Italiana, come prescritto
peraltro dalla stessa Unione Europea), ciò significa che l’Italia, stando alle
stime di recessione dell’OCSE per il
biennio 2012-2013 e considerando una decrescita effettiva del PIL -1,6%, dovrà ridurre
il deficit del 4% rispetto al PIL e accorciare ancora la cinghia di altri 60 miliardi di euro entro il 31
dicembre 2013 (al lordo delle due ultime manovre del governo Monti, i cui saldi
effettivi sono ancora di difficile valutazione).
Siccome non possiamo
contare su un maggior gettito fiscale derivante da una provvidenziale ripresa
economica e nemmeno sull’emissione di nuovo debito pubblico, questi soldi
andranno quindi recuperati soltanto sul fronte di una riduzione della spesa pubblica e aumento delle tasse, cosa che a lungo andare potrebbe sprofondare
l’Italia in uno stato di recessione ancora più complicato (la ricetta
dell’austerità spinta non ha funzionato in nessun paese del mondo e non si
capisce perché dovrebbe funzionare proprio in Italia).
Ma se l’Italia è
messa male, dando un’occhiata (grafico sotto) alla situazione generale del rapporto deficit/PIL degli altri 16
paesi dell’eurozona, vediamo che
persino la forte Germania deve darsi
da fare sul versante di una stretta fiscale e soltanto la Finlandia è in linea con le direttive dell’accordo Fiscal Compact,
avendo un avanzo di bilancio dell’0,8% rispetto al PIL.
Ma il Fiscal Compact
è solo un aspetto, quello che con qualche difficoltà dovremmo definire
costruttivo e propositivo, dell’elaborato piano messo a punto dai tecnocrati
europei per fronteggiare la crisi finanziaria e favorire l’unificazione
fiscale, perché invece sull’altro versante restrittivo il commissario per gli
affari economici Olli Rehn ha
lavorato alacremente per stilare l’elenco punitivo di sanzioni amministrative
che vengono applicate automaticamente non appena un paese non rispetta le norme
del nuovo Patto di Bilancio e Stabilità
dell’Unione Europea.
Questo programma,
definito brutalmente six pack,
perché formato appunto da sei norme sanzionatorie, dovrebbe essere già entrato
in vigore lo
scorso 16 dicembre (il condizionale è d’obbligo, dato che in Europa si fa molto
presto a legiferare ma poi ognuno continua ad andare per la sua strada, vedi le
70 violazioni complessive del precedente Patto di Stabilità, fra cui le 12 mai
sanzionate di Francia e Germania, che spinsero l’allora commissario Mario Monti
a denunciare l’accaduto alla Corte dei Conti europea nel 2003) e comprende
nell’ordine le seguenti direttive (mancano soltanto le punizioni corporali, le
fustigazioni, il cilicio e poi il martirio è completo…):
1. La Commissione Europea può lanciare in
qualsiasi momento allarmi preventivi
qualora uno o più stati membri non adottino politiche di bilancio prudenti
nell'ottica dei piani di crescita stabiliti.
2. I paesi con un
rapporto debito pubblico/PIL
superiore al 60% saranno costretti a
ridurlo ogni anno di almeno 1/20
rispetto alla quota percentuale in esubero fino a ritornare al di sotto della
soglia prefissata (per l'Italia che ha un rapporto debito/PIL del 120% si
tratta in pratica di una riduzione annua del 3% per venti anni)
3. In caso di deficit eccessivo scatteranno multe e sanzioni con depositi cauzionali
fino allo 0,2% del PIL, che verranno restituiti in caso di corretta
gestione.
4. Adeguamento dei sistemi contabili,
statistici, rapporti con enti locali e regioni, procedure di bilancio allo standard unico europeo.
5. Prevenzione degli squilibri economici fra le varie
nazioni.
6. Il mancato
adeguamento alle norme europee comporta la procedura
di sorveglianza della Commissione Europea con sanzioni fino all'1% e il 2% del PIL.
In
particolare la norma numero due
sulla ristrutturazione ventennale del debito
pubblico comporterà all’Italia un’altra dura rata di circa 45 miliardi di euro all’anno, che
ancora una volta dovranno essere tolti da qualche parte e bruciati nella lunga e
tribolata battaglia di estinzione della Spada di Damocle che affligge la nostra
nazione da decenni (minaccia assolutamente trascurabile per uno stato che ha la
sua moneta sovrana, ma questo è un
altro argomento ed è stato già trattato in un precedente articolo).
Quindi,
miliardo più o miliardo meno, il professore Monti e la sua banda di tecnici
dovranno racimolare entro i prossimi due anni circa 105 miliardi di euro, che è bene ricordare non possono essere
raccolti emettendo nuovi titoli di stato e chiedendo aiuto ai mercati perché
questo finirebbe per innalzare di nuovo il deficit e il debito aggregato
annullando in pratica lo scopo di questa manovra (quindi si tratta di nuove tasse e tagli alla spesa pubblica).
Ora
se incrociamo questo dato con l’enorme quantità di titoli di debito pubblico in scadenza da rifinanziare durante il 2012 (non solo in Italia, ma anche in
Francia e Spagna hanno questo problema imminente, guarda grafico sotto, con le varie scadenze mensili fino ad aprile), che
ammontano a circa 380 miliardi di euro solo per l’Italia, ci accorgiamo subito che
c’è un altro fattore che viene spesso trascurato durante queste valutazioni sulla
tenuta dei conti pubblici italiani (ma che Monti conosce benissimo e infatti
insiste molto su un prossimo calo dei rendimenti e dello spread fra i titoli di stato e i bund tedeschi): si tratta appunto
dello scarto fra il rendimento del
vecchio titolo scaduto e quello del nuovo emesso durante l’asta di collocamento.
Quando
un titolo arriva a scadenza deve
essere pagato o sostituito con un nuovo titolo equivalente con la tecnica del concambio: quindi di questi soldi non
arriva nulla allo stato, e anzi su ogni scadenza del debito (dal BOT a 1 mese a
un BTP a dieci anni) lo stato rischia di pagare un ulteriore balzello, costituito dallo spread o scarto fra il
rendimento dei due titoli, sia che il vecchio venga subito rimborsato cash sia
che venga rinnovato con la concessione di un nuovo titolo.
Se
esaminiamo la tabella sotto con il calendario
delle aste primarie di collocamento (escludendo i titoli BOT a 1 e 3 mesi
perché in questo caso lo scarto di rendimento si presume minimo), vediamo che
la quota complessiva di titoli da rinnovare ammonta complessivamente nel 2012 a
317 miliardi e ricordando quanto
fosse basso lo spread anche solo 6 mesi fa (per non dire 5 o 10 anni fa, quando
lo spread si aggirava tranquillo e indisturbato sui 100 punti base), possiamo
subito prevedere due scenari limite: nel caso più ottimistico di soli 100 punti
base (1% di differenza di rendimento fra nuovo e vecchio titolo) si traduce in altri 3 miliardi, mentre in una situazione più catastrofica e purtroppo
realistica di 400 punti base (4% di scarto, che è pressappoco quello che
avviene quando lo spread con i bund tedeschi sale fino a 500 punti base) sono
circa 12 miliardi di euro da pagare,
spalmati in dieci anni.
Ovvero un’altra bella dose di tasse e tagli alla spesa
pubblica, perché stiamo dando ancora per scontato che lo stato non possa fare
più ricorso al finanziamento esterno dei mercati e all’emissione di nuovi
titoli prima del rientro all’interno dei nuovi parametri del Patto di Stabilità
europeo (ma invece lo fa regolarmente, soprattutto con i titoli a breve e
brevissima scadenza, sperando di rimborsare e compensare subito questi debiti con
le entrate fiscali che intanto arrivano alla spicciolata nelle casse dello
stato durante il corso dell’anno amministrativo).
A questo punto, viene lecito chiedersi se la
sanguisuga Monti riuscirà a spillare tutti questi soldi dalle tasche degli
italiani, oppure il professore abbia preso in considerazione un eventuale piano B alternativo, che stando così le
cose non possono che essere gli aiuti
europei dei vari fondi di stabilità finanziaria (prima EFSF e poi ESM) oppure
in casi estremi il ricorso al FMI,
il Fondo Monetario Internazionale.
Il
fondo EFSF (European Financial
Stability Facility) doveva raccogliere 440
miliardi di euro sia con il contributo dei paesi europei che di quelli internazionali ma
non è mai stato attivo al cento per cento e a scanso di equivoci si è beccato
pure un bel declassamento da parte dell’agenzia di rating Standard&Poor's:
secondo le ultime indiscrezioni a partire dal luglio 2012 questo fondo
fallimentare convergerà nel più solido ESM
(European Stability Mechanism), la cui potenza di fuoco è stata ampliata fino a
500 miliardi di euro.
Tuttavia
questo raffinato fondo ESM non è
molto diverso dal precedente EFSF, perché oltre ad obbligare i paesi aderenti a
versare subito 80 miliardi di euro cash,
raccoglierà i restanti 420 miliardi di euro
con il classico meccanismo della leva
finanziaria e dell’indebitamento,
aprendo il fondo ai mercati: quindi l’Italia oltre a dover versare la sua quota
di partecipazione, finirà per indebitarsi per via esterna (con la consolazione
di condividere questo onere con gli altri paesi aderenti al fondo), entrando in
quella strana e già ampiamente rodata spirale viziosa di alleggerimento dai
propri debiti formando altri debiti.
Stesso
discorso dicasi per l’FMI, il cui
fondo da 200 miliardi dovrà essere
finanziato e irrorato principalmente dagli stessi paesi che poi avranno bisogno
di ricorrere al fondo: in pratica l’Italia verserà la sua quota di accantonamento per finanziare se stessa, utilizzando il
fondo come un salvadanaio per evitare di sperperare quei soldi inutilmente. Ma
in entrambi i casi il problema iniziale rimane: ci sono 100 miliardi di euro
che ballano e l’indebitamento con i vari fondi serve solo a tamponare momentaneamente
la falla, lasciando irrisolto il problema.
L’unica
speranza per noi europei e italiani in particolare, è che i politici, i
tecnici, i sedicenti economisti del vecchio continente rinsaviscano
improvvisamente dalla loro fobia da
debito e comincino a far lavorare la banca
centrale europea BCE come è giusto che sia (prestatore di ultima istanza o ritorno a una qualche forma di sovranità monetaria): non solo comprando
titoli di stato sul mercato secondario per abbassare il rendimento di collocamento nelle aste primarie, ma fornendo
aiuti diretti agli stati a condizioni
più vantaggiose di quelle imposte dai mercati (con le stesse modalità insomma
con cui la banca centrale si affanna in questo periodo a sostenere le banche
private che come gli stati sono indebitate fino al collo).
Dal
punto di vista tecnico, questo passaggio è abbastanza semplice perché basterebbe
cambiare di qualche sillaba l’articolo
123 del Trattato di Maastricht e
la norma 21 dello Statuto della BCE e del SEBC (Sistema
Europeo delle Banche Centrali), ma dal punto vista politico e sociale
rappresenterebbe una rivoluzione e un cambiamento epocale che nessun politico
attuale avrebbe mai il coraggio di affrontare: chi, in nome della salute e
della salvezza del suo popolo, avrebbe la forza di prendersi di nuovo in mano
il “big bazooka” della spesa
pubblica, togliendolo dalle mani delle banche?
L’ultimo
uomo politico che si assunse autonomamente in toto questa responsabilità si
chiamava Franklin Delano Roosevelt
(1882-1945, foto a destra) e nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca
nel 1933, pronunciò queste parole, che aprirono di fatto la grande epoca del New Deal americano: “Sono convinto che
se c'è qualcosa da temere è la paura stessa, il terrore sconosciuto, immotivato
e ingiustificato che paralizza. Dobbiamo sforzarci di trasformare una ritirata
in una avanzata. [..] Chiederò al Congresso l'unico strumento per affrontare la
crisi. Il potere di agire ad ampio raggio, per dichiarare guerra all'emergenza.
Un potere grande come quello che mi verrebbe dato se venissimo invasi da un
esercito straniero”.
Se
qualcuno conosce il nome di un politico dei nostri giorni che abbia la tempra morale
e la sensibilità umana di pronunciare queste parole, alzi pure la mano e verrà
subito internato in una clinica per visionari e allucinati. Certo, molti
potranno obiettare che si trattava di altri tempi, ma a parte i pericoli di guerra
imminente, la Grande Depressione che colpì gli Stati Uniti e
l’Europa a partire dalla crisi del 1929
non è molto dissimile dalla cronica recessione in cui sono precipitati da
alcuni anni i paesi più sviluppati del mondo (crisi finanziaria, bolle
speculative, calo della domanda, alti livelli di disoccupazione e se a questo
aggiungiamo l’aumento demografico esponenziale e la rarefazione delle risorse
primarie la patata è ancora più bollente di 80 anni fa).
Ci
vorrebbero misure di emergenza quindi e come ormai hanno fatto notare parecchi
economisti americani della corrente MMT
(Modern Money Theory), in un periodo
in cui non esiste più la convertibilità fra oro e denaro (gold exchange standard)
e si è passati al regime fiat money
(creazione del denaro dal nulla), il debito è un falso problema, perché con una
rigorosa politica fiscale (spesa pubblica
efficiente e regime di tassazione equo e sostenibile), il debito pubblico o la
cosiddetta spesa a deficit (deficit
spending) è l’unico modo per creare ricchezza
netta all’interno di uno stato, mentre tutti gli altri fantasmagorici stratagemmi
utilizzati fino ad oggi dalle banche centrali (le operazioni di quantitative easing non fanno altro che "monetizzare" un titolo più illiquido già presente sul mercato, ma non mettono affatto nuova ricchezza nel sistema), dalle banche private e dagli
stati sono solo passaggi di passività e
di debiti a diversa scadenza da uno stato a una banca o da una banca all’altra, senza risolvere
mai il problema alla radice.
Molti
diranno (la Germania in testa) che
con l’austerità e il rigore di bilancio uno stato è in grado
di creare un certo avanzo o surplus
annuale da impiegare per i suoi investimenti, ma come può uno stato
pretendere di ricevere dai suoi cittadini più
soldi di quelli che spende se prima non crea i presupposti per l’immissione
di una nuova ricchezza netta all’interno della nazione? Ammettendo pure la
correttezza del paradigma teutonico e montiano del pareggio di bilancio, lo stato da mille e prende mille, come è possibile
prospettare una crescita economica
(aumento del PIL, quindi aumento delle transazioni finanziarie) se i soldi che
circolano all’interno di uno stato sono sempre gli stessi?
L’unico
modo per creare ricchezza netta
all’interno dello stato, senza passare per il pesante fardello (pesante per il
politico che si assume questa responsabilità, non certo per i cittadini) della
spesa pubblica, è quello di puntare tutto su un attivo spinto nella bilancia dei pagamenti (differenza fra
esportazioni ed importazioni commerciali e profitti da investimenti finanziari
all’estero), ma in un sistema chiuso come quello europeo e anche volendo aprire
l’orizzonte a tutto il mondo (che è pur sempre un sistema chiuso), non tutti i
paesi possono avere contemporaneamente un livello di esportazioni superiori
alle importazioni, perché esiste un vincolo fisico e matematico ad una tale
eventualità (in un sistema chiuso e con risorse finite, ad un aumento da una
parte corrisponde sempre una diminuzione da qualche altra parte).
Ritornando
al contesto più ristretto dell’Unione Europea, se alla Germania non conviene ancora cambiare l’impostazione attuale del
sistema e ampliare le funzioni della banca centrale BCE, perché fino ad adesso
è l’unica ad essersi avvantaggiata avendo alti volumi di esportazioni e un
attivo nella bilancia dei pagamenti, ci dovrà essere prima o dopo un politico
francese, spagnolo, italiano (non dico portoghese, irlandese o greco perché
ormai queste nazioni sono state anestetizzate) che faccia saltare in aria tutti
i tavoli dove vengono discussi i vari piani di martirio pubblico (vedi Fiscal Compact, six pack)? Ci sarà un uomo,
oltre ai soliti noti “complottisti” alla Paolo
Barnard ed altri attivisti blogger, che avrà finalmente il coraggio di dire
alla gente che il debito pubblico
dello stato è in realtà la Ricchezza
Pubblica di un’intera nazione? E il deficit,
fuori da essere un incubo da fare perdere il sonno, misura esattamente la Ricchezza Netta che uno stato concede
ai suoi cittadini ogni anno?
In
attesa dell’arrivo di questo fantomatico uomo dallo spazio (il candidato
socialista Francois Hollande alle
prossime elezioni presidenziali francesi comincia a mostrare qualche sussulto
di intelligenza e barlume di umanità, ma è ancora presto per cantare vittoria),
a noi comuni mortali non rimane altro che scrivere, parlare, chiarire, spiegare
e diffondere il verbo…oppure cominciare ad organizzarsi dal basso come hanno
fatto in Sardegna con la loro bella moneta elettronica! (vedi precedente
articolo).
Che dire? Rinnovo i complimenti per la tua analisi chiara, lucida, direi impeccabile. Leggere un tuo post arricchisce e te ne sono grato, veramente.
RispondiEliminaIl cappio si sta stringendo, sempre di più, e neppure tanto lentamente.
Guardando nel nostro "orticello" non un politico che accenni al temi della fiat money e del debito sovrano, neppure una discussione.
Alla TV ... bè è inutile continnuare il ragionamento, ci siamo capiti.
Saluti
David
David, purtroppo ormai da tempo sia in Italia che all'estero, le persone devono arrangiarsi da sole per trovare informazioni e capire come funzionano le cose, perchè giornali e TV sono totalmente inattendibili...per fortuna sui blog alcuni argomenti come l'MMT cominciano a prendere piede e la speranza è che diventino presto un argomento di discussione sempre più ampio ed allargato, perchè il modo in cui hanno incastrato l'Europa è davvero agghiacciante! Credimi, io non voto da tempo (a parte i referendum), ma il primo politico che parla di sovranità monetaria (italiana o europea), lo voto all'istante...fosse anche berlusconi...e ho detto tutto! A presto. Piero
EliminaPer tutta la vita non ho mai visto nulla che funzioni così velocemente come l'incantesimo del Dr. Agbazara. Dopo aver contattato il Dr. Agbazara, ho iniziato a credere nel dire che ogni moneta ha due lati. Quando il mio amante mi ha lasciato, ha giurato di non tornare più da me, ma grazie a Dio, grazie all'aiuto del dottor Agbazara, ho il mio amato indietro tra 48 ore e voglio anche altre persone che hanno il cuore spezzato per contattare il dott. Agbazara attraverso questi dettagli di seguito che sono via e-mail: ( agbazara@gmail.com ) o tramite Whatsapp su +2348104102662 allora puoi vedere le meraviglie di Dr.Agbazara
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RispondiEliminaBuongiorno costosa amici!
Ho trovato il sorriso è grazie al questo Signore. Muscolino GIOVANNI che ho ricevuto un prestito di 70.000€ nel mio conto il mercoledì a 11:32 min e due dei miei colleghi hanno anche ricevuto prestiti di questo signore senza alcuna difficoltà. Li consiglio più voi non fuorviate persone se volete effettivamente fare una domanda di prestito di denaro per il vostro progetto e qualsiasi altro. Pubblico questo messaggio perché signore Muscolino GIOVANNI mi ha fatto bene con questo prestito. È tramite un amico che ho incontrato quest'uomo onesto e generoso che mi ha permesso di ottenere questo prestito. Allora vi consiglio di contattarlo e li soddisfarà per tutti i servizi che gli chiederete. Ecco il suo indirizzo elettronico: muscolinogiovanni61@gmail.com
Per tutta la vita non ho mai visto nulla che funzioni così velocemente come l'incantesimo del Dr. Agbazara. Dopo aver contattato il Dr. Agbazara, ho iniziato a credere nel dire che ogni moneta ha due lati. Quando il mio amante mi ha lasciato, ha giurato di non tornare più da me, ma grazie a Dio, grazie all'aiuto del dottor Agbazara, ho il mio amato indietro tra 48 ore e voglio anche altre persone che hanno il cuore spezzato per contattare il dott. Agbazara attraverso questi dettagli di seguito che sono via e-mail: ( agbazara@gmail.com ) o tramite Whatsapp su +2348104102662 allora puoi vedere le meraviglie di Dr.Agbazara
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