La notizia buona di ieri è che l’asta dei BTP a tre anni è andata bene perché il Ministero del Tesoro (sarebbe meglio dire Ministero dell’Economia e delle Finanze, ma la sostanza non cambia…) è riuscito a piazzare tutti i 3 miliardi di euro di titoli di stato offerti con un calo del rendimento di -0,79% (dal 5,62% di fine dicembre all’odierno 4,83%), anche se questa salutare discesa del rendimento è stata tuttavia meno contenuta rispetto all’asta dei BOT a 12 e 6 mesi di giovedì (12 miliardi di euro piazzati rispettivamente a 2,735% e 1,644%).
Purtroppo però le buone notizie finiscono praticamente qui, dato che il famigerato spread fra i BTP decennali e i bund tedeschi dopo una discesa in picchiata fino a 461 punti base è risalito di nuovo intorno alla soglia critica dei 500 punti base, dimostrando che i timori degli investitori internazionali sulla tenuta dei conti pubblici italiani sono ancora più che concreti e i problemi strutturali dell’economia italiana sono ben lontani da una risoluzione credibile e duratura.
La causa di questo rapido cambiamento di umore dei mercati rispetto alla tragica sorte dell’Italia è dovuta forse agli annunci poi confermati di possibili declassamenti del debito pubblico di alcuni paesi dell’Eurozona ( l’Italia è passata da singola A a BBB+, mentre è andata peggio alla Francia che ha perso la sua mitica tripla A) che sono arrivati da oltreoceano dalla società di rating Standard&Poors, ma secondo gli analisti finanziari più attenti i motivi di un simile atteggiamento sono molto più sottili e vanno ricercati nell’operazione di rifinanziamento del settore bancario della BCE dello scorso 21 dicembre, chiamata LTRO (Long Term Refinancing Operation).
In quella data infatti la BCE aveva concesso alle sgangherate banche europee un piano di prestiti a 3 anni con un misero tasso di interesse dell’1% piazzando circa 489 miliardi di euro e ritirando come garanzia tutti gli assets più tossici posseduti dalle banche (crediti incagliati o insoluti con le imprese, obbligazioni bancarie svalutate, titoli di stato sempre più traballanti), con l’obiettivo di pompare liquidità dentro gli istituti bancari da potere poi utilizzare per finanziare l’economia reale, i singoli cittadini e le imprese.
Le banche però sono sempre sorde da un orecchio, perché se sono state rapide a prendere con una mano con l’altra mano non hanno alcuna intenzione di dare ossigeno alle imprese con l’acqua alla gola, preferendo addirittura perdere qualcosa blindando i soldi nei depositi ad un giorno della stessa BCE con un tasso overnight dell’0,75% (quindi con una perdita netta del -0,25%), piuttosto di rischiare di perdere tutto prestando i soldi ad imprese o ai cittadini in difficoltà o potenzialmente insolventi.
L’unica concessione che gli istituti bancari possono fare è prestare i soldi agli stati (l’investimento più sicuro per le banche insieme all’acquisto di obbligazioni bancarie di altri istituti, perché nelle condizioni attuali di intreccio fatale se fallisce uno stato crolla tutto il comporto bancario e viceversa) presentandosi puntualmente alle aste di collocamento dei titoli di stato con offerte sempre più ragionevoli.
Tuttavia la generosità delle banche non supera dal punto di vista temporale il limite dei tre anni dei prestiti ricevuti dalla BCE mentre per i titoli con durata maggiore, fra cui anche i BTP decennali italiani, insiste ancora una certa riluttanza e incertezza, perché i governi nazionali e la stessa Unione Europea nel suo complesso non sono ancora riusciti a mettere a punto un credibile piano di sviluppo economico e politico di lunga gittata, tale da giustificare un simile azzardo (le banche come al solito non vogliono rischiare nulla, ma intendono vincere facile).
Le banche quindi navigano a vista e quale uomo di governo poteva interpretare bene questo atteggiamento se non un cyborg già programmato a svolgere il compitino giornaliero come il professore Mario Monti?
Il primo ministro Monti, per sua stessa ammissione, è intenzionato a dirigere un governo che lavori alla giornata, applicando alla lettera e con i paraocchi tutte le nozioni di economia classica imparate e insegnate all’Università Bocconi (liberalizzazioni sfrenate, privatizzazioni selvagge, competizione e concorrenza aggressiva come unico stimolo per la crescita, minimizzazione dei costi e massimizzazione dei profitti immediati), senza alcuna prospettiva o visione generale delle cose che superi l’arco temporale delle 24 ore.
Avete mai sentito parlare Mario Monti di un decente piano industriale per l’Italia, oppure di uno strategico piano energetico nazionale, o di una riorganizzazione complessiva dello stato sociale che non si limiti solamente alla sopravvivenza giornaliera?
No, perché nei manuali accademici vengono scritte formule, alchimie, sillogismi che senza un’appropriata verifica sperimentale rimangono solo vuote parole e teorie senza senso: come giustamente sosteneva l’economista tedesco E. F. Schumacher (1911-1977, foto a destra e vedere qui una sua brillante biografia), l’economia non è una scienza esatta come la fisica, la biologia, la chimica o la stessa matematica, perché a differenza di queste ultime che sono discipline basate su leggi universali e su alcuni postulati indimostrabili, l’economia cambia in base alle istruzioni che le vengono date dall’uomo.
E’ l’uomo che deve decidere da quale parte deve andare l’economia e non viceversa, come purtroppo accade ai nostri giorni, ma per fare questo bisogna avere la capacità di andare a fondo nell’origine dei guasti del sistema e di parlare apertamente alla gente con discorsi di ampio respiro: e il professore non è l’uomo giusto per fare un simile salto nel buio, non è certa colpa sua, lui è fatto così, Mario Monti non è trascinatore di folle ma un calcolatore elettronico che elabora numeri, dati, tabelle, senza alcuna compassione per il genere umano, senza alcuna empatia con la sorte di un paese, senza alzare mai lo sguardo verso l’alto, per vedere cosa ci aspetta al di là dell’orizzonte, perché come tutti i fanatici di un’ideologia (in questo caso si tratta del neoliberismo economico e del cosiddetto turbocapitalismo finanziario) lui non ha idee che possono essere discusse apertamente o riviste in caso di palese errore ma ha dei mantra, dei dogmi che devono essere applicati rigorosamente senza remissione di peccati, pena la dannazione eterna di tutto il genere umano.
Se un giorno qualcuno chiedesse a Mario Monti quanto costa allo stato e alla società il suicidio di un pensionato, di un operaio, di un disoccupato, non è escluso che il professore risponderebbe con un dettagliato elenco dei costi sostenuti dalla famiglia per una dignitosa onoranza funebre, pensando fra sé e sé ai vantaggi che una tale spesa e transazione finanziaria comporta in termini di aumento del PIL nazionale: spesso guardando con attenzione la sagoma di questo puntiglioso uomo di ghiaccio, mi viene in mente un famoso film di Nanni Moretti, in cui un esasperato militante implorava Massimo D’Alema di dire qualcosa di sinistra e cambiando di poco il senso della domanda, mi aspetto che prima o poi qualcuno chieda al ministro Monti quando dirà qualcosa di umano?
Se a questo si aggiunge la ligia osservanza dei regolamenti comunitari europei, basati sulla dilapidazione della sovranità democratica e monetaria delle singole nazioni secondo l’odioso canone della socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti, si capisce bene come Mario Monti sia per una certa èlite finanziaria e casta di fulminati (definirli “illuminati” come fece una volta il ministro Tremonti mi sembra improprio) l’uomo giusto al posto giusto, l’unico uomo capace di tenere la barra dritta e di farci andare avanti, giorno dopo giorno, verso il cuore della Tempesta Perfetta, dove nessuno sa ancora cosa accadrà per il solo fatto che nel mondo e nella storia non si era mai verificata una coincidenza così precisa di eventi catastrofici come quella attuale.
Ogni tanto Mario Monti si impegnerà in faticosi e inutili viaggi della speranza verso Parigi o verso Berlino o a Bruxelles per cercare di patteggiare un “fiscal compact” o un “six pack” dell’ultima ora e alleggerire l’unico pensiero che assilla la sua coscienza: lo spread, l’elevato tasso di interesse a cui l’Italia è costretta a rifinanziare il suo enorme debito pubblico che ha sforato ormai i 1900 miliardi di euro e si avvicina pericolosamente alla cifra colossale dei 2000 miliardi di euro.
Ad occhio e croce, sembra proprio che il premier Monti sia convinto che il problema dell’Italia non sarebbe tanto di insolvenza strutturale quanto di liquidità e con rendimenti più accettabili tutte le miserie di questo paese verrebbero quindi risolte; ma il professore non si chiede mai che accettando i ricatti che arrivano da Bruxelles e dai tecnocrati dell’Unione Europea, la quota di tagli obbligatori da imporre alla spesa pubblica italiana verrebbe incrementata di altri 45 miliardi, perché una delle sciagurate norme del six pack (sei norme e sanzioni automatiche da imporre agli stati che non rispettano il patto di stabilità di bilancio) messo a punto dal perfido commissario europeo Olli Rehn prevede appunto che i paesi che non rientrano nella soglia del 60% del rapporto debito pubblico/PIL, siano costrette ad autoimporsi una riduzione di tale rapporto di un 1/20 all’anno, che per l’Italia (120% di rapporto debito/PIL) si traduce in un 3% all’anno e quindi in questi altri fatidici 45 miliardi di euro.
Questo significa che il primo ministro Monti non solo si dovrà impegnare a rispettare il pareggio di bilancio annullando il deficit ma dovrà accumulare un surplus di bilancio di 45 miliardi all’anno da destinare o meglio bruciare con la riduzione del debito pubblico, facendo ancora progressivi e sistemici programmi di tagli e tasse fino a raschiare il fondo del barile.
Ma come fa a sapere Mario Monti che riuscirà a trovare questi soldi senza rischiare l’insolvenza dello stato italiano? Facile rispondere, il premier Monti controllando i suoi dati e verificando le sue tabelle sa già che per quanto riguarda il debito privato delle famiglie l’Italia non è il paese più indebitato del mondo, perché con il suo discreto rapporto debito privato/PIL del 43% viene surclassata da paesi come gli Stati Uniti d'America in cui solo il debito delle famiglie ammonta al 240% del PIL o la Gran Bretagna che ha un debito privato delle famiglie che supera il 103% del PIL.
Mario Monti quindi mirerà a spostare i risparmi degli italiani dritto nelle casse dello stato per ripagare le rate del piano di risanamento ventennale del debito pubblico, perché come abbiamo visto sopra le famiglie italiane oltre ad essere abbastanza remissive sono anche molto parsimoniose, seconde soltanto a quelle della Germania e meglio della Francia e di tutti gli altri paesi dell’Unione Europea: questo è il piccolo ma non trascurabile tesoretto che Monti vuole utilizzare durante la sua turbolenta navigazione a vista giornaliera, verso una salvezza che purtroppo per noi non potrà che essere sempre parziale e provvisoria (il titolo di questo articolo quindi è incompleto o quantomeno avrebbe bisogno di un bel punto interrogativo).
Per il resto Mario Monti trascinerà lentamente la scricchiolante nave Italia in mezzo alla tempesta sapendo che a destra c’è uno squalo feroce (l’uscita disordinata dall’euro) e a sinistra un’orca assassina (i mercati) e l’ammiraglio meccanico con lo sguardo da cyborg, puntando tutto sulla sua proverbiale mancanza di visione e sul suo impeccabile vuoto pneumatico (che qualcuno si ostina ancora a chiamare “sobrietà”), sa già che non avrà mai il coraggio di sfidare a viso aperto né l’uno né l’altro, anzi utilizzerà queste oscure e spesso impalpabili minacce come micidiali armi di ricatto di massa per continuare ad andare avanti, giorno dopo giorno.
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