I PRESTITI LTRO DELLA BCE SONO RISERVE BANCARIE E NON CIRCOLANO NELL’ECONOMIA REALE

Non ho parole. Questo è stato il commento lapidario ed istintivo ad un articolo letto sul sito La voce.info, scritto dal sedicente economista Francesco Daveri (un bocconiano doc, vedere la sua biografia per credere), dal titolo già di per se abbastanza eloquente: “La Caporetto sulla crescita e i due Mario sul Piave”. L’autore di questo articolo, che ad una lettura più attenta sembra più che altro una velina inviata dall’ufficio stampa della Presidenza del Consiglio o recapitata direttamente dalla sede di Francoforte della BCE, si avvitava in una serie improbabile di sperticati elogi alla sagace politica del primo ministro Mario Monti e alla raffinata strategia monetaria del governatore della BCE Mario Draghi.

Bene. Fin qui nulla di strano, perché chiunque può essere d’accordo o no, favorevole o meno ad una certa linea politica oppure ad una determinata ideologia economica, ma la cosa più raccapricciante dell’articolo, che consiglio di leggere per intero, è la fondatezza delle teorie espresse a difesa dei due Mario: false, dalla prima all’ultima riga, e completamente fuorvianti. Per brevità riporto soltanto l’apologia di chiusura dell’articolo, in cui l’esimio economista si contorceva in appassionate liturgie fideistiche e complicate analogie storiche, riconoscendo al venerabile Mario Draghi il merito di avere ridato fiato e speranza alla voglia di riscatto di tutta l’economia europea:

“In secondo luogo, si capisce meglio perché l’altro Mario – Draghi - abbia inondato di liquidità i mercati monetari e finanziari dell’Europa poco prima di Natale. La sua iniziativa non sta ancora ridando tutto il fiato di cui ci sarebbe bisogno alle aziende europee, perché le banche hanno per ora messo a riserva per prudenza i fondi presi a prestito. Ma con la situazione in via di assestamento dal punto di vista delle finanze pubbliche (anche grazie all’approvazione del Fiscal Compact nel marzo 2012), nei primi mesi del 2012 le aziende ricominceranno a chiedere fondi per investire e le famiglie – oggi in difficoltà – proveranno a guardare di nuovo al futuro e quindi a rivolgersi in banca per acquistare beni durevoli e magari una casa. E, grazie a Draghi, le banche non potranno più dire di non avere soldi da prestare. Dobbiamo provare a ricordarci che quasi cento anni fa dopo Caporetto c’è stato il Piave.”

Trascurando per il momento la bontà dal punto di vista politico ed economico di uno scellerato accordo intergovernativo come il Fiscal Compact, di cui abbiamo già ampiamente discusso in precedenti articoli l’inconsistenza pratica (penalizza le finanze pubbliche quando il problema dell’eurozona è di indebitamento privato) e illegittimità istituzionale (obbliga i governi all’inserimento della norma del pareggio di bilancio in costituzione, mettendo in crisi il concetto stesso di stato democratico come entità giuridica a sovranità popolare e favorendo la nascita di un nuovo tipo di sovranità finanziaria e mercantile), concentriamoci sullo scenario proposto dal bizzarro professore bocconiano.

Secondo il docente di Politica Economica (sarebbe meglio dire “Economia Politicizzata”, ma è soltanto una questione di dettagli), le banche commerciali sono degli empori, dei grandi magazzini dove la gente e le imprese si recano per acquistare un particolare tipo di merce, chiamata moneta, soldi, denaro, che viene fornita alle banche con estrema parsimonia da una fabbrica di produzione dislocata a Francoforte dal nome altisonante: Banca Centrale Europea BCE. La BCE stampa, crea la moneta e la da in prestito alle banche commerciali, che a loro volta possono prestarla a cittadini privati e aziende, guadagnando sullo scarto di interesse fra prestiti in entrata e in uscita. “Venite, venite gente, accorrete!” sembra gridare entusiasta il banchiere banditore (o bandito, ma siamo sempre nel campo delle sottigliezze verbali) dell’emporio. “Ho gli scaffali pieni di moneta, arrivata fresca fresca da Francoforte. Entrate pure e comprate a piene mani, perché oggi svendo tutto a prezzi di saldo”.

Una visione della politica monetaria molto didascalica e infantile, che sembra uscita dalla guida delle marmotte o dai libri di testo per giovani aspiranti stregoni, ma che purtroppo contrasta e stride palesemente con ciò che accade nella pratica giornaliera dei flussi monetari. A differenza di quello che sostiene il professore (che sono quasi certo abbia conseguito una laurea con centodieci e lode per la sua cieca fedeltà al canone unico neoliberista e capacità sottile di alterare la verità dei fatti in nome di questa appartenenza settaria), le banche commerciali non sono degli empori, in attesa delle forniture di moneta dalla banca centrale, ma risultano esse stesse delle piccole fabbriche che producono però una merce monetaria di scarsa qualità, di seconda scelta, se confrontata con la mercanzia più nobile proveniente dalla banca centrale. Le banche private infatti creano quotidianamente dal nulla un tipo singolare di merce astratta completamente digitalizzata che si chiama moneta di banca commerciale (che indicheremo per brevità con il nome moneta bancaria), rappresentata fisicamente dai depositi dei risparmiatori e dai nuovi depositi che i funzionari di banca aprono a tutti quei clienti a cui è stato concesso un prestito o un mutuo.

Le banche commerciali non attendono nulla dalla banca centrale prima di aprire un nuovo deposito a favore del cliente, ma agiscono autonomamente verificando soltanto che il cliente abbia le credenziali e le garanzie giuste per meritarsi il prestito (e quindi il deposito, che per il cliente è lo strumento indispensabile per spendere i nuovi soldi elettronici forniti dalla banca): non tanto per una questione di fiducia del rimborso (anche se il cliente non riuscisse più a pagare le rate del prestito, cosa volete che abbia perso la banca: una stringa di bit elettronici che illuminano lo schermo di un computer, aria fritta), ma per una ragione di vincoli patrimoniali imposti dal BIS (Bank for International Settlements, in italiano Banca dei Regolamenti Internazionali) che obbligano la banca ad avere una serie di requisiti in termini di capitale proprio parametrati in base alle attività (i prestiti) ponderate per il rischio.

Senza entrare troppo nel dettaglio dell’accordo interbancario Basilea II (che da gennaio 2013 diventerà Basilea III) redatto dal BIS, diremo che le banche devono avere un patrimonio di vigilanza pari almeno all’8% delle attività in bilancio, ricalcolate secondo particolari strumenti di valutazione del rischio: più un’attività, un titolo acquistato dalla banca o un prestito concesso ad un cliente, è rischiosa e maggiori devono essere i vincoli patrimoniali della banca soprattutto in termini di capitale proprio di qualità (per intenderci, la banca dovrà ricapitalizzarsi chiedendo un altro piccolo sforzo ai vecchi azionisti o allargando l’ingresso in società a nuovi azionisti, come è stato recentemente fatto da Unicredit che ha ampliato il suo capitale sociale di 7 miliardi). Cosa c’entra tutto questo con la banca centrale e i suoi prestiti alle banche private? Niente, assolutamente niente. Perché le banche private non possono ricapitalizzarsi con un prestito della banca centrale o di un altro operatore finanziario, sarebbe troppo facile e soprattutto pericoloso per la solvibilità complessiva della banca stessa. Ma a cosa servono allora i prestiti concessi dalla banca centrale?

Andiamo per gradi e analizziamo l’operazione compiuta dalla BCE lo scorso 21 dicembre chiamata LTRO (Long Term Refinancing Operation). Con questa operazione la BCE ha messo all’asta una certa quantità di moneta pregiata, che chiameremo moneta legale a corso forzoso o moneta di banca centrale, accogliendo la domanda di questo tipo moneta fatta dalle banche private, che avevano bisogno come il pane di moneta legale perché da tempo non riuscivano più a rifornirsi di questa rarità nei circuiti interbancari a causa della scarsa fiducia che regnava nel mercato dei crediti bancari (credit crunch). Ma come mai è così pregiata la moneta legale? Dal punto di vista tecnico non cambia nulla rispetto alla moneta bancaria, si tratta sempre di semplicissimi bit elettronici, ma la moneta legale ha la caratteristica di essere stata emessa originariamente dalla banca centrale e non da una qualsiasi banca privata commerciale: le banche giustamente si fidano di più e pretendono di essere pagate fra di loro con moneta legale, perché sarebbe un po’ complicato per una banca accettare un compenso creato dal nulla da un istituto bancario di pari livello e importanza del loro. La banca centrale gode in pratica di una rilevanza strategica superiore, per un semplice motivo: a differenza di una qualsiasi banca commerciale, la banca centrale non può fallire (o meglio, fallisce soltanto se perde valore di scambio la sua moneta legale, come potrebbe accadere con l’euro fra qualche mese).

A cosa serve quindi la moneta legale? La moneta legale è fondamentale per l’operatività delle banche commerciali, perché con questo tipo di moneta gli istituti bancari privati possono compensare i propri pagamenti incrociati (ricordiamo il sistema di regolamento dei pagamenti TARGET2 descritto in questo articolo), acquistare titoli pubblici o privati da altri operatori finanziari e rimborsare i propri titoli obbligazionari in scadenza, perché per accedere e operare nel mercato o borsa dei titoli (in Italia si chiama MOT, Mercato Telematico delle Obbligazioni e dei Titoli di Stato) bisogna avere soltanto moneta legale, mentre non è assolutamente ammessa la moneta bancaria. Nello specifico, se leggiamo cosa viene scritto sul sito della società Monte Titoli S.p.A. che gestisce di fatto il MOT italiano presso la Borsa di Milano, troveremo questa precisa descrizione: “E’ un sistema di regolamento titoli in moneta di banca centrale, collegato in tempo reale con TARGET2, il sistema dei pagamenti dell’Eurosistema”.                

Quindi abbiamo capito bene a cosa serve la moneta legale: con questa moneta le banche possono operare sui mercati finanziari e senza invece sono fuori dai giochi. Ragion per cui, le banche sono sempre affamate di moneta legale e hanno bisogno di continui foraggiamenti per continuare a giocare con i loro videogames impazziti di acquisti, vendite e prestiti di liquidità in cambio di titoli usati come collaterale. Tuttavia questo carosello interminabile si svolge tutto nei circuiti telematici dei mercati interbancari, dove circola appunto soltanto moneta legale, mentre non esce mai allo scoperto nei flussi a vista dell’economia reale (acquisto di beni, servizi, pagamenti di stipendi, bonifici, giroconti, prestiti) dove la transazioni finanziare vengono concluse utilizzando moneta bancaria di scarsa qualità. Noi esseri umani “normali” non abbiamo diritto ad utilizzare la moneta legale, che rimane un privilegio esclusivo delle banche e degli altri operatori finanziari che hanno accesso al circuito interbancario o al MOT. Questo il professore della Bocconi avrebbe dovuto saperlo, ma con ogni probabilità essendo stato addestrato a mentire e a non capire dallo stesso preside Monti, il giovane economista ha avuto un piccolo svarione.

In verità, l’unica volta che una persona normale ha l’onore di potere toccare con mano una moneta legale è quando si reca allo sportello ATM per prelevare delle banconote tramite la carta Bancomat: le banconote sono a tutti gli effetti delle monete legali in forma cartacea e non elettronica e circolano prevalentemente nei circuiti a vista e non in quelli interbancari, dove le banche possono soltanto agire sui conti di deposito in banconote detenuti presso la banca centrale e inviare particolari richieste di prelievo alla stessa banca centrale quando sono sprovviste di riserve in contante cartaceo. Non a caso il primo ministro burattino Mario Monti, su indicazione del suo manovratore e burattinaio Draghi, ha incluso la norma sulla limitazione di prelievo in banconote a 1000 euro nella manovra salva-Italia: la scusa come sempre in questi casi è la lotta all’evasione fiscale, ma il vero obiettivo è quello di impedire la dispersione incontrollata di moneta legale, con cui le banche possono fare affari ben più remunerativi nel grande casinò della finanza (con questo provvedimento le banche hanno potuto in pratica spostare moneta legale dalle riserve cartacee in eccesso a quelle elettroniche, che sono le più pregiate in assoluto).

A questo punto però, dobbiamo aprire una breve parentesi, perché il docente bocconiano potrebbe avere ragione su una piccola ma non trascurabile questione: quando la banca commerciale apre un nuovo deposito in conseguenza alla concessione di un prestito, prima o dopo il cliente mutuatario comincerà a spendere i soldi del deposito, e come già sappiamo (vedi articolo sui prestiti che creano dal nulla nuovi depositi) si verificherà una doppia circolazione di moneta elettronica fra la banca depositaria e le varie banche coinvolte nelle spese del cliente: nel circuito a vista transiteranno flussi di moneta bancaria, mentre nel riservatissimo sistema interbancario si muoveranno soltanto pacchetti di moneta legale da una riserva bancaria all’altra, per compensare i pagamenti effettuati dal cliente mutuatario con tutte le altre transazioni incrociate, sia in entrata che in uscita, dei clienti delle varie banche.

Quindi l’apertura di prestiti comporta la necessità di elevate riserve in moneta legale? Non sempre e non in ogni momento, perché nessuna banca può sapere con certezza quando i propri clienti, mutuatari o semplici depositanti, decideranno di spendere i loro soldi e a causa del notevole numero di variabili in gioco è praticamente impossibile prevedere quale sarà il livello ottimale di riserve di moneta legale da mantenere in un determinato periodo e adoperare durante i processi di regolamento dei pagamenti: proprio per questo motivo esiste il mercato interbancario dei capitali. Nel mercato interbancario, le banche possono prestare o richiedere ad altre banche quote di riserve di moneta legale in eccesso o in difetto, e nei casi di scarsa movimentazione dei capitali dovuta a crisi di fiducia come quella attuale (credit crunch), agisce sempre come prestatore di ultima istanza la banca centrale che fornisce alle banche commerciali tutta la moneta legale di cui hanno bisogno, creandola spesso dal nulla. 

La banca centrale non interviene soltanto nei casi di necessità, ma anche con normali attività periodiche (giornaliere, settimanali, mensili, annuali) per stabilire una corretta distribuzione delle riserve fra le varie banche e indirizzare la domanda e l’offerta di moneta legale al tasso di interesse di riferimento, fissato di tanto in tanto con decisione unilaterale e strategica dalla stessa banca centrale. Per raggiungere i suoi obiettivi intermedi e di medio periodo (espansione di un certo aggregato monetario, tasso di interesse di riferimento, inflazione), la banca centrale può utilizzare una notevole quantità di operazioni e strumenti finanziari, che si distinguono non solo per la frequenza ma anche per il numero di controparti bancarie ammesse ad operare:

ü  Operazioni di Mercato Aperto

ü  Operazioni di Rifinanziamento Principali

ü  Operazioni di Rifinanziamento a più Lungo Termine

ü  Operazioni di Fine-Tuning

ü  Operazioni di Tipo Strutturale

ü  Operazioni su Iniziativa delle Controparti

ü  Operazioni di Rifinanziamento Marginale

ü  Depositi presso la banca centrale

           

Avendo dunque dimostrato che non c’è nessuna relazione di causa ed effetto fra l’aumento delle riserve bancarie e l’aumento del credito alle imprese e alle famiglie (casomai è al contrario: l’aumento del credito provoca un corrispondente aumento della domanda e del livello di riserve), perché le banche avevano già abbastanza mezzi e strumenti per concedere tutti i prestiti che volevano, il professore della Bocconi doveva invece concentrarsi su un altro aspetto del LTRO: la durata del prestito. La BCE infatti non aveva mai utilizzato una durata così lunga di prestiti a tre anni e la straordinaria lunghezza di un’operazione di rifinanziamento come il LTRO non poteva essere giustificata da esigenze di stretta operatività delle banche. Quindi? Dopo avere smontato la versione semplicistica del giovane docente che considera le banche alla stregua di empori di moneta (solo lui nel mondo) e avere escluso necessità stringenti di liquidità giornaliera, cosa rimane? Non bisognava avere competenze accademiche e capacità finanziarie eccezionali per capire che  le banche utilizzeranno queste riserve di moneta legale per due azioni principali: acquisto e rifinanziamento di titoli di stato e rimborso di titoli obbligazionari bancari in scadenza.

Nei prossimi tre anni vanno in scadenza un valore enorme di titoli pubblici e privati in Europa e le banche non avevano più risorse per fronteggiare le scadenze, in termini di riserve di liquidità monetaria legale e titoli facilmente liquidabili. Solo in Italia, nel 2012 andranno in scadenza più di 300 miliardi di euro di titoli di stato e circa 200 miliardi di euro di titoli bancari: non a caso nell’asta del 21 dicembre, dei 489 miliardi di euro all’1% piazzati dalla BCE, ben 116 miliardi di euro sono stati richiesti dalle banche italiane e nella prossima asta di fine febbraio, è molto probabile che questa domanda sia destinata ad aumentare. Ecco spiegato l’arcano dunque: la BCE non è assolutamente interessata a finanziare l’economia reale (non potrebbe farlo concretamente, perché produce e crea dal nulla una tipologia di moneta che non circola nel sistema produttivo nazionale), ma cerca soltanto di mettere una pezza e garantire la sopravvivenza del sistema bancario di cui rappresenta l’ideale vertice piramidale.  

L’unico sostegno che la BCE poteva fornire all’economia reale, lo aveva già dato qualche giorno prima decidendo di abbassare il coefficiente di riserva obbligatoria all’1% dei depositi e dei titoli di debito (liberando quindi una certa parte di riserve operative delle banche) e di ridurre il tasso di riferimento per i rifinanziamenti nel mercato interbancario all’1% (che si ripercuote su un abbassamento progressivo degli interessi applicati dalle banche ai prestiti privati e favorisce l’espansione del credito). Stop. Oltre a queste due operazioni, la BCE non poteva fare altro, a meno di non stravolgere e modificare radicalmente il suo statuto per diventare una vera banca centrale di emissione che offre assistenza finanziaria non solo al sistema bancario ma anche agli stati nazionali che utilizzano la sua moneta legale a corso forzoso (come peraltro accade in tutti i paesi civili e normali del mondo).

Alle banche private, e non alla banca centrale, spetta il compito esclusivo di fornire i prestiti all’economia reale tramite la creazione dal nulla di nuova moneta di banca commerciale, ma non lo assolvono più al meglio da un po’ di anni per diversi motivi, nessuno dei quali può essere ricondotto ad una mancanza di liquidità nelle proprie riserve: problemi generalizzati di fiducia del mercato, prospettive negative di crescita, merito creditizio scadente dei mutuatari e requisiti patrimoniali sempre più severi. Gli ultimi allarmanti dati snocciolati dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco sulla stretta creditizia in atto in Italia raccontano bene quella che è la tragedia in corso: solo nel mese di dicembre il credito bancario alle imprese si è ridotto di 20 miliardi di euro. Queste sono cifre che avrebbero dovuto fare sobbalzare sulla sedia qualunque economista o statista degno di questo nome, perché meno credito significa meno produzione, meno investimenti, meno lavoro, meno sostegno all’economia. Bisognerebbe quindi rimettere in discussione tutto il sistema economico attuale incentrato sul ruolo chiave delle banche e capire se esistono alternative valide al sistema della moneta debito. Questo è il vero punto dolente della questione monetaria che un economista serio dovrebbe sforzarsi di esaminare.    

Invece di scrivere messaggi promozionali o veline sdolcinate ai suoi due adorati Mario, il professore della Bocconi doveva ragionare (sto usando una parola grossa, perché capisco che lui ha ricevuto una formazione che non incentiva il libero ragionamento ed è stato indottrinato a dovere per scrivere quelle sciocchezze) sulle cause che hanno ridotto un’intera economia mondiale al collasso: a quel punto avrebbe dovuto bruciare tutti i libri letti alla Bocconi e rinnegare il suo rapporto di diretta discendenza e sudditanza nei confronti dei due Mario, che non staranno mai sul Piave per difendere i confini e gli interessi nazionali, ma stanno già spianando le Alpi per il motivo opposto, ovvero consentire alle imprese straniere di razziare impunemente in Italia tutto ciò che vale la pena ancora depredare, lavoratori inclusi.

Per la cronaca, ho tentato di comunicare direttamente con il professore di economia Francesco Daveri, scrivendo un commento in stile “sobrio” (come piace a loro) e un po’ sarcastico al suo  articolo, ma il docente o chi per lui ha ritenuto opportuno censurare il mio commento e ridurlo a queste due o tre frasi tagliuzzate: “Le riserve prestate dalla BCE alle banche europee non circolano nell'economia reale, ma vengono movimentate soltanto nei circuiti interbancari...con quelle le banche possono solo comprare titoli di stato o privati, soprattutto titoli in scadenza, le banche le hanno messe in deposito alla BCE non per attendere il momento migliore per prestarle a famiglie e imprese, ma per utilizzarle quando i titoli di stato o privati andranno in scadenza. Se le banche avessero voluto fare prestiti avrebbero potuto farli anche senza il rifinanziamento di Draghi”.      

A causa di questo improprio utilizzo dello strumento della censura, ho deciso di scrivere  un intero articolo di risposta per far capire che razza di economisti circolano a piede libero in Italia (questi sono poi gli stessi che scrivono sui giornali, intervengono alle trasmissioni televisive e manipolano l’opinione pubblica della gente). E concludo come ho iniziato: non ho parole.