Mentre
gli opinionisti scodinzolanti di regime continuano ad elogiare l’operato del governo Monti, evidenziando soprattutto
(e soltanto aggiungo io) la capacità di avere fatto abbassare lo spread fra i titoli di stato italiani
decennali e gli omologhi bund tedeschi al di sotto dei 300 punti base (con
rendimenti ancora alti intorno al 4,8%, per via del leggero deprezzamento dei
bund), il quadro generale dell’economia
italiana diventa ogni giorno che passa sempre più agghiacciante.
Gli
ordini per il comparto industriale
sono calati rispetto al mese precedente del -7,4% (rispetto ad una previsione
molto più ottimistica del -3,2%), le vendite
sempre per le industria si sono contratte del -4,9%, riportando l’Italia al suo
punto più basso della crisi nel 2009. Le entrate
tributarie si sono ridotte in gennaio del -0,5%, i prezzi dei generi alimentari sono in continuo aumento, i consumi sono tornati ai livelli di 30
anni fa, aumentano anche le ore di cassa
integrazione, il debito pubblico ha toccato nel mese di
gennaio un nuovo picco di 1935 miliardi di euro. E questi sarebbero i dati
entusiasmanti del miracoloso effetto
Monti?
Se
a questo aggiungiamo che l’abbassamento dello spread è dovuto principalmente
all’intervento della BCE che con due
iniezioni successive di liquidità delle operazioni di rifinanziamento non convenzionali LTRO ha fornito alle banche italiane più di 250 miliardi di euro
per costringerle a comprare titoli di stato italiani sia in scadenza che già circolanti
sul mercato secondario, il giudizio sull’operato del governo Monti diventa
ancora più severo. Soprattutto perché, a parte l’aumento delle tasse e il massacro
dei lavoratori, i tecnici sono privi di vere soluzioni da mettere in campo
per risolvere i problemi strutturali della nazione, che non siano soltanto rattoppi improvvisati e molto discutibili per tamponare lo stato di emergenza.
E
c’è dell’altro. Come riportato su un comunicato della Banca Centrale Svizzera,
l’Italia non è uscita affatto dal centro della bufera finanziaria, come
qualcuno si ostina a ripetere, e la sfiducia degli investitori esteri è ancora
molto alta. Senza andare troppo lontano basta guardare i dati della bilancia dei pagamenti del mese di gennaio (riportata sotto), per capire come gli
stranieri giudicano la situazione italiana. Gli investitori esteri hanno
comprato titoli italiani a breve scadenza per circa 8,63 miliardi, per ottenere magari qualche profitto con rapide operazioni di speculazione, ma nello stesso periodo
hanno venduto in modo massiccio titoli a media e lunga scadenza per 8,23 miliardi, perché non hanno alcuna fiducia su una ripresa sostanziale e duratura
dell’Italia. In questo modo il saldo complessivo degli investimenti esteri si
colloca ad un misero importo di 404 milioni di euro, mentre tutto il grosso
degli acquisti dei titoli di stato viene svolto, come già detto, soltanto dalle banche
italiane.
Questo
dimostra in generale che l’operazione LTRO della BCE ha funzionato bene per i
titoli con una scadenza inferiore a tre anni, che è la durata dei prestiti
concessi della banca centrale agli
istituti privati, ma per i finanziamenti con maturazione più lunga permane ancora
parecchio scetticismo. E, visto lo scenario che abbiamo descritto prima, questa
sfiducia nei confronti dell’Italia non sembra neppure tanto ingiustificata. Non
perché l’Italia sia una nazione in assoluto priva di risorse ma perché è ingabbiata
nella trappola dell’eurozona e dell’euro, che la rende incapace di sfruttare
appieno le sue risorse e le sue infinite potenzialità.
Eppure,
la tendenza attuale dei soliti mezzi di informazione e menestrelli di regime è
quella di ritenere che il governo Monti stia lavorando bene e ci abbia salvati
dal baratro, senza mai degnarsi di sprecare qualche parola per descrivere i
motivi per cui un paese come l’Italia, un tempo fra i primi paesi del mondo in
termini di sviluppo e crescita economica, sia sceso così in basso nel giro di
un decennio. Molti pensano davvero (o in assoluta malafede) che varando la riforma del mercato del lavoro,
improvvisamente l’Italia risorgerà dalle ceneri e riprenderà ad esportare in
tutto il mondo i suoi prodotti, senza mai chiedersi per quale motivo concedere
agli imprenditori la facoltà di licenziare
più facilmente i lavoratori e quindi ridurre la capacità produttiva dovrebbe fare ripartire l’economia. Questo
rientra nell’usuale modo di vedere le cose con i paraocchi, senza ragionare,
tipico dei fanatici o degli invasati di un’ideologia, di una fede.
Per
fortuna nostra però ci sono altri economisti
non allineati, ignorati da quasi tutti i giornalisti devoti al regime, che
ci aiutano a ragionare e a comprendere dove sono annidate le cause del
disastroso fallimento dell’Italia. In un recente articolo pubblicato su
blog-Micromega, l’economista Sergio
Cesaratto ha ripercorso con apprezzabile lucidità tutto il cammino che ha
condotto l’Italia ad aderire prima all’UME (Unione Monetaria Europea) e poi ad adottare la moneta unica euro:
un progetto che per quanto ambizioso e affascinante è stato da sempre poggiato
su basi fragilissime. Rileggiamo alcuni passaggi illuminanti dell’intervento di
Cesaratto.
“La
situazione europea è in verità
drammatica e non s’intravedono vie d’uscita. Non che queste in via di
principio non esistano, e questo è il grottesco della situazione. Un percorso
di crescita e di riproposizione del modello sociale europeo sarebbe
possibilissimo e alla portata. Ad esso si frappongono tuttavia scelte nazionali
che solo gli sciocchi definiscono egoistiche. Ho più volte scritto, ricordando
gli insegnamenti del realismo politico (che fu anche di Tucidide, di
Machiavelli, di Hobbes), che nelle relazioni internazionali non valgono valori
morali, tantomeno fra economie capitalistiche. Queste sono guidate da borghesie
nazionali con i propri disegni, e in molti casi attorno a questi si raccoglie
il consenso della maggioranza della popolazione, incluse le classi sociali e
relative rappresentanze tradizionalmente d’orientamento progressista.
Non
mi sembra un esercizio ora utile quello di colpevolizzare la Germania sino a questo punto, lasciamo
che i morti seppelliscano i morti, e questo valga per tutti. I francesi erano
preoccupati che la Germania si rafforzasse in termini relativi e guardasse a
Oriente (che va ben oltre l’Europa). Bene, lo sta comunque facendo, anzi, il fallimento acclarato dell’UME rafforza
tale forza relativa – come il palese mutamento dei rapporti di forza fra
Francia e Germania dimostra – oltre che le spinte a Oriente ed extra-Europee
della Germania. Se quello scambio doveva assicurare l’ancoraggio europeo della
Germania, allora esso non solo è fallito, ma ha peggiorato le cose. Non ho
dubbi che le scelte economiche siano in primo luogo politiche, ma di lì a
violare la legge di gravità ne passa. L’Eurozona non è quello che gli economisti
chiamano un’area valutaria ottimale,
gli economisti americani ci avevano avvertito, abbiamo gridato al complotto USA
per impedire la nascita dell’Euro, dunque ben ci sta. Comunque la Germania non
ha obbligato nessuno ad aderire a una UME in cui è stata lei tirata per i
capelli.
Meno
ossessionata dal pericolo tedesco, la decisione italiana di aderire all’UME è
stata frutto del disegno di portare a compimento il cosiddetto processo di “risanamento” dei conti pubblici e della
dinamica dei prezzi intrapreso negli anni 1990 – e a ben vedere sul finire
degli anni ’70 con l’adesione al sistema monetario europeo (SME) e il golpe bianco con cui nel 1981 la Banca Centrale assunse indipendenza dal Tesoro. Il combinato
disposto di SME e “divorzio” fu alla
base dell’esplosione del debito pubblico
e del debito estero, e ciò doveva
indurre cautela circa l’opportunità di aderire all’UME. Si preferì invece
attribuire la causa della crescita del debito alle malefatte dei cosiddetti
governi del CAF (Craxi-Andreotti-Forlani), piuttosto che agli sprovveduti
consigli del prof. Monti assai
influente nell’ispirare il “divorzio”
(e che a buon diritto può essere accostato ad Andreatta e Ciampi nella
sua paternità).
Nei
primissimi anni ’90 fu spazzata via la Prima
Repubblica e con essa, si ritenne, il partito della spesa facile.
Cancellato ogni residuo di scala mobile e riequilibrati i conti esteri con una
cospicua svalutazione, si ritenne
dunque di poter riprendere il percorso di risanamento guidato, per giunta, da
ben più affidabili governi di Centro-Sinistra. Il perseguimento tenace dell’ingresso
nella moneta unica va dunque ascritto a un disegno che prevedeva l’importazione
della stabilità tedesca sia con riguardo
a bassi tassi d’interesse sul debito pubblico, condizione essenziale per la sua
riduzione, che al contenimento delle rivendicazioni salariali. Mentre sul primo
obiettivo la scommessa fu vinta, ed anzi si generò un circolo virtuoso fra
aspettative di ingresso e riduzione dei tassi, forse si sbagliarono i conti e
obiettivi sul secondo punto.
In
verità già dalla sconfitta alla Fiat del 1980 i sindacati dei lavoratori non avevano più rialzato la testa, come la
progressiva abolizione della scala mobile e l’accettazione della concertazione
nel 1993 volta al solo contenimento dei salari reali dimostrano. Se la
disciplina tedesca andava importata allo scopo di abbattere il gap
inflazionistico nei confronti di quel paese, questo non riguardava certo
l’andamento dei salari reali – da
tempo mortificante in Italia. Fattori strutturali incidono su di esso, e sono
così altre le istituzioni tedesche meritevoli di importazione come
l’atteggiamento meno ostile del padronato verso i lavoratori e l’attenzione dei
politici al benessere della popolazione, la formazione, la dedizione della
politica al successo commerciale e al consenso e benessere sociale diffusi
(tutte caratteristiche, a ben vedere, di un mercantilismo che criticheremo, ma non per questi aspetti). Il
governo Monti – e gran parte del centro-sinistra – si limita invece a ritenere
che le liberalizzazioni e, ahimè, le
privatizzazioni dei servizi
pubblici, siano la via maestra per abbattere lo zoccolo inflazionistico, una
strategia che ci appare assai modesta se non in molti casi sbagliata.
Tutto questo per dire
che non si può certo imputare la Germania
dell’esistenza dell’UME a cui, anzi, ha aderito in maniera riluttante. Che poi
essa abbia aderito cercando di trarne il maggior vantaggio possibile, dettando
i termini del patto, neanche glielo si può addossare: perché mai avrebbe dovuto
fare altrimenti? D’altronde è la sua la disciplina che si voleva importare.
Naturalmente quei vantaggi che la Germania ha ritenuto di poter trarre si sono
alla lunga rivelati, come spiegheremo poi, di carta (letteralmente). Quel paese
ha oggi una scelta davanti: fra la speranza di cavarsela da sola con un’Europa
che va in malora, o l’assunzione di una leadership progressista (chiamiamola
così).
Ho pochi dubbi sulla
scelta: forze potenti si oppongono in Germania alla seconda scelta: per esempio
attraverso il controllo di mass media come la Bild (10
milioni di lettori) o la “autorevole”
Frankfurter
Allgemeine Zeitung (FAZ);
l’accademia degli economisti tedeschi è quanto di più conservatore sia
immaginabile (torneremo su questo), e così la Bundesbank – che è politicamente assai controllata. All’opinione
pubblica tedesca sono stati propinati, probabilmente con anni di martellanti
campagne, moltissimi stereotipi – uno fra tutti il timore dell’inflazione,
secondo alcuni una invenzione della Buba.
Ad essa non viene invece raccontato che il nazismo,
lungi dall’essere un risultato dell’iperinflazione
del principio degli anni ’20, fu il frutto di assurde politiche francesi verso
la Germania la cui natura non è dissimile da quelle che quest’ultimo paese sta
imponendo ai suoi partner europei. Keynes,
che questo vide nel 1919 e contro cui si batté, dovrebbe essere un idolo in
Germania, fa tristezza che invece questo paese sia storicamente
anti-keynesiano.
3. Ma è l’opinione
prevalente in Germania, in particolare nella sua classe dirigente, frutto di
mera ignoranza o c’è dell’altro? Come scrisse Kalecki– il grande economista polacco che anticipò Keynes – dietro l’ignoranza c’è
sempre un interesse (“l’ostinata
ignoranza è di solito una manifestazione di motivi politici sottostanti”).
E allora andiamo a questi interessi che possono giustificare il tenace
attaccamento dell’establishment
tedesco a un modello, che definiremo mercantilista, palesemente incompatibile
se perseguito dalla quarta economia mondiale con la stabilità e la crescita
economica non solo europea ma mondiale.
Per mercantilismo si intende, com’è noto,
una strategia volta a perseguire avanzi
commerciali. Seguendo di nuovo la lezione di Kalecki, si può dimostrare che
questa è una strategia perfettamente razionale da parte dei capitalisti. Essi
hanno, infatti, convenienza a comprimere quanto possibile i salari domestici
allo scopo di massimizzare i propri profitti; così facendo, tuttavia,
restringono il mercato interno per le
loro produzioni. Ecco che i mercati esterni diventano uno sbocco naturale
per quella parte del sovrappiù (la parte del prodotto sociale che non va ai
lavoratori bensì ai capitalisti sotto forma di profitti) che non è possibile
vendere all’interno sotto forma di consumi di lusso dei capitalisti medesimi o
acquisti dallo Stato con la spesa in disavanzo (quest’ultimo mercato Kalecki
chiamava esportazioni interne).
Per vendere nei
mercati esteri si deve essere tuttavia competitivi.
Parte di questo problema è risolto dalla premessa medesima del mercantilismo, i
bassi salari. Se a ciò si aggiunge
un adeguato livello tecnologico, frutto anch’esso di una lontana ispirazione
mercantilista volta ad assegnare priorità nazionale all’efficienza produttiva,
il gioco è quasi fatto. Il gioco è perfetto se poi esso si svolge in un quadro
di cambi fissi, come Bretton Woods, lo SME, l’UME. In questo
caso i paesi non-mercantilisti perdono l’unico strumento di difesa che hanno
per tutelare la propria competitività: la svalutazione
della moneta nazionale. Rimane un ultimo problema: i paesi mercantilisti
devono essere disponibili a finanziare
illimitatamente i paesi non-mercantilisti. In tal modo questi ultimi
potranno continuare ad acquistare le merci dei primi. Per giunta, il flusso di
capitali sosterrà le valute dei paesi non-mercantilisti impedendo la
svalutazione. Questo è quello che fa la Cina nei confronti degli Stati Uniti.
Questo è quello che ha fatto la Germania nei confronti dei famigerati PIGS (una sola i) e che, a quanto pare,
non intende continuare a fare.
Secondo alcuni la
Germania si era ben preparata a vincere la battaglia dei mercati dell’UME
attraverso una decisa riforma del
mercato del lavoro sotto il governatorato Schroeder, la quale aveva impresso un deciso orientamento moderato
alla dinamica dei salari e dei consumi interni. Si è tentati di vedere qui una
riedizione di ciò che un importante storico economico tedesco ha definito, per
giunta su una pubblicazione della Bundesbank,
“mercantilismo monetario”, una
strategia inaugurata al principio degli anni ’50 con la benedizione del potente
ministro delle finanze Erhard, il padre del miracolo economico tedesco.
L’allora governatore della banca centrale tedesca (chiamata Bank Deutscher Lander
sino al 1957) Wilhelm Vocke così
riassumeva tale strategia:
“Noi dobbiamo costantemente rimanere sotto il tasso di inflazione dei nostri competitori. E questa è la nostra
possibilità, è decisivo per la nostra valuta nazionale e specialmente per le nostre
esportazioni. La crescita delle
esportazioni è vitale per noi, e questo dipende a sua volta dalla nostra
capacità di mantenere un livello relativamente
basso dei prezzi e dei salari…Come io ho detto, mantenere il livello dei
prezzi più basso che in altri paesi è l’obiettivo principale dei nostri sforzi
come banca centrale, e un successo di tutti quei sforzi. Ciò dovremmo tenere a
mente quando alcuni ci dicono: le vostre misure
restrittive sono troppo severe e non sono più necessarie.”
Insomma se ci sono cambi fissi, come nel sistema di Bretton Woods, l’importante
è tenere l’inflazione un po’ più bassa dei concorrenti per sostenere le proprie
esportazioni, pur continuando a godere di un cambio forte. Negli anni 1950 le critiche alla Germania
sono così un de te fabula
narratur di quelle odierne, così come quelle rivoltele unitamente
al Giappone sul finire degli anni ’70 affinché essi agissero da “locomotiva” dell’economia mondiale
assieme agli Stati Uniti. Con lo SME e poi con l’UME Italia, Francia e gli
altri hanno voluto imitare i tedeschi al gioco della disciplina, come s’è
detto, ma loro si sono sistematicamente rivelati più bravi (anche perché, come
s’è detto, accanto alla disciplina hanno le istituzioni giuste).
E’ anche opinione
generalmente condivisa che la costituzione dell’UME abbia favorito flussi di capitale dai paesi centrali verso
i paesi della periferia europea, e che questi flussi siano stati alla base
della crisi (flussi che altro non rappresentano se non le menzionate
anticipazioni che il sistema finanziario dei paesi mercantilisti deve concedere
ai paesi non-mercantilisti). Si ritiene in genere – anche in ambito dell’UE o
del FMI – che a partire da questi flussi si sia generata una crescita effimera
di paesi periferici, basata sull’edilizia in Spagna e Irlanda o sulla spesa
pubblica in Grecia. Effimera perché si è tradotta, più che in uno sviluppo
dell’industria nazionale, in imponenti importazioni dai paesi centrali.
Questo anche dovuto
al fatto che alla crescita si è accompagnata una inflazione ben superiore a quella tedesca con una conseguente
perdita di competitività, a detrimento dell’industria nazionale e a favore di
quella dei paesi centrali. Il corrispettivo contabile dei disavanzi esteri dei
paesi periferici è nell’indebitamento dei settori privato e/o pubblico della
periferia verso la Germania e gli altri paesi centrali. In Spagna e Irlanda,
com’è noto a tutti tranne ai mass media tedeschi, la crisi nasce nel settore privato e solo in conseguenza della crisi il
settore pubblico ne è risultato coinvolto.
Tutto questo si è
svolto con una “benevola disattenzione” del governo tedesco che
ben sapeva cosa stava accadendo e anzi, come nel caso dell’amico governo greco,
benediceva i cospicui acquisti di armamenti dalla Germania (peraltro proseguito
anche dopo la crisi). Si rammenti che l’Italia non è stata coinvolta in questi
flussi centro-periferia; il suo debito
pubblico maturò nello SME e non è stato certo causa della crisi europea
come Monti ha voluto farci credere lo scorso autunno, solo per trasmetterci un
senso di colpa e farci digerire le (inutili)
manovre restrittive.”
L’analisi di
Cesaratto è più che mai condivisibile. I fenomeni e i flussi commerciali
avvenuti nell’eurozona negli ultimi dieci anni, dovuti principalmente all’atteggiamento mercantilista tedesco, hanno portato alla situazione che conosciamo già con un disavanzo delle partite correnti (saldo
fra esportazioni e importazioni, redditi da capitale e da lavoro) dei paesi
europei periferici (South) e un surplus
simmetrico delle esportazioni da parte di quelli centrali (North), come è
evidenziato bene nel grafico sotto.
Se analizziamo in
particolare la situazione italiana
possiamo vedere chiaramente che a partire dal 2002, data di ingresso nell’euro,
le importazioni hanno cominciato a superare progressivamente le esportazioni.
Nel grafico mostrato sotto sui bilanci settoriali dell’Italia, vediamo che il surplus estero è stato chiaramente
compensato dall’indebitamento pubblico,
mentre per fortuna è rimasta bassa e costante la propensione all’indebitamento privato, vera e unica
ricchezza del popolo italiano, che ha impedito e sta ritardando il collasso
avvenuto in paesi come Irlanda, Grecia e gli stessi Stati Uniti.
Se entriamo ancora
più nel dettaglio, verificando nel grafico sotto l’andamento dei saldi delle partite
correnti italiane negli ultimi dieci anni, vediamo come l’Italia anno dopo anno,
dall’ingresso nell'euro in poi, da esportatore
netto sia diventato un importatore
netto, con le inevitabili ricadute in termini di perdita di competitività e
riduzione degli investimenti per il rilancio e lo sviluppo dell’economia nazionale.
Se passiamo adesso ad
esaminare il prodotto interno lordo PIL
e la ricchezza complessiva, invece l’Italia è praticamente in una chiara
condizione di stagnazione da almeno
tre anni, perché dalla caduta dovuta alla crisi del 2009 l’Italia non si è più
ripresa e negli ultimi due trimestri nel 2011 ha visto calare consecutivamente
il PIL, entrando in uno stadio ancora più preoccupante di recessione tecnica. Recessione a cui la cecità dei governanti
tecnici vuole rispondere soltanto inasprendo il prelievo fiscale e rendendo più
flessibile (dal lato soprattutto dei licenziamenti) il mercato del lavoro.
Ma la scarsità di
visione del governo Monti e di tutta
la sua macchina mediatica non si accorge che uno stato non può diventare
improvvisamente un esportatore da un
giorno all’altro, diminuendo i diritti dei lavoratori, liberalizzando le
farmacie o lasciando aperti i negozi anche la domenica. Queste sono iniziative
che possono andare bene per instupidire ancora di più le masse con messaggi propagandistici, che
concretamente si risolvono in una bolla di fumo. Per rimettere in piedi
un’economia servono investimenti veri, mirati che possono essere fatti soltanto
agendo ad ampio raggio con tutte le leve
della politica monetaria e fiscale.
Senza una piena sovranità monetaria, che consenta ad
uno stato di ritornare ad avere una capacità di spesa praticamente illimitata e
un controllo dei tassi di cambio della propria moneta non si può andare da
nessuna parte e al massimo si può aspirare a diventare come i cinesi, cercando
di abbassare fino alla soglia dello sfruttamento i salari e i diritti dei lavoratori
per incentivare gli investimenti esteri. Una strategia, quest’ultima, che la storia ha già giudicato fallimentare perchè comporta un aumento
della dipendenza e dell’indebitamento con l’estero e ha condotto
negli anni novanta interi paesi del Sudamerica alla bancarotta finanziaria.
Ma poi
a cosa servirebbe schiavizzare i lavoratori per farli lavorare di più se nessuno
compra i tuoi prodotti? Come ha evidenziato bene un altro economista non
allineato come Alberto Bagnai sul
blog Goofynomics il calo della produttività
media (rapporto fra il valore aggiunto/numero di occupati totali) dei
lavoratori italiani rispetto a quelli tedeschi non è dovuto ad una mancanza di
efficienza strutturale e di applicazione individuale, ma più che altro a fattori macroeconomici esterni, primo
fra tutti l'impossibilità di fare fluttuare liberamente il tasso di cambio della
moneta nazionale rispetto alle monete dei paesi stranieri dove si intende esportare i propri prodotti.
Basta verificare con
attenzione il confronto diretto fra la produttività italiana e quella tedesca
(grafico sopra) per vedere come tutte le volte che l’Italia ha dovuto irrigidire il tasso di cambio nei
confronti degli altri paesi dell’eurozona (ingresso nello SME nel 1979 con oscillazione
di cambio fisso del ±6%,
adozione nella banda più stretta del ±2,5% nel
1990, rientro nello SME nel 1996, ingresso definitivo nell’euro nel 2002) la produttività si è appiattita, non
perché i lavoratori italiani sono diventati più pigri e svogliati ma perché a
causa di un cambio sfavorevole sono diminuite le esportazioni e quindi si
produceva e si lavorava meno. Situazione opposta invece si verificava quando
l’Italia ha potuto svalutare, come accade nel 1992 con la svalutazione del 20%,
perché sono aumentate le esportazioni e quindi si è assistito ad un improvviso incremento della produttività.
Ragionare solo dal
punto di vista dell’offerta, facendo
lavorare di più gli operai e aumentando la produzione, non porta da nessuna
parte, se allo stesso tempo non si crea anche una corrispondente domanda e degli sbocchi di vendita di
questi surplus di prodotti. Come abbiamo potuto sperimentare in molti casi, è
la domanda che trascina l’offerta e non
viceversa, perché avere molti prodotti accatastati in un magazzino non
significa automaticamente che esisterà qualcuno disposto a comprarli. Ragionamento
peraltro valido e applicabile anche in campo monetario, dove è sempre la
domanda a spingere l’offerta di moneta da parte della banca centrale. Ancora
una volta, qui si tratta di pura logica e non di economia in senso stretto.
Siccome uno dei
fattori che stimola di più la domanda, oltre alla qualità e alla manifattura, è
soprattutto il prezzo dei prodotti,
i paesi come l’Italia che non possono più agire sul fattore prezzo perché
ingabbiati in un sistema di cambio rigido di tipo gold standard, che rende
impossibile non solo qualsiasi iniziativa volontaria di svalutazione competitiva della moneta
ma anche i normali automatismi di
adeguamento del tasso di cambio (quando un paese esporta di più apprezza la
sua moneta ed esporterà di meno l’anno successivo, secondo un semplicissimo
meccanismo di domanda e offerta della moneta), sono costretti a vedere
tragicamente restringere i margini di manovra a pure politiche di contrazione
dei salari, dei costi fissi di impianto e dei costi generali di produzione,
penalizzando tutto ciò che ne consegue (innovazione, ricerca e sviluppo).
Ma in ogni caso la
pura logica mercantilista cinese e
tedesca ha parecchi limiti, perchè tende a privilegiare le esportazioni a
danno dei consumi interni (cosa volete che consumeranno dei lavoratori ridotti
alla fame?) ed è stata già bocciata a suo tempo dal padre dell’economia moderna
Adam Smith. Questo altro “economista non allineato” evidenziava in
maniera abbastanza intuibile e immediata che non tutti i paesi possono essere
degli esportatori netti e quindi bisogna trovare sbocchi alla propria
produzione anche e soprattutto stimolando
la domanda interna. E come riportato in questo interessante articolo del
giornale on line Linkiesta, Adam Smith, al contrario di quello che pensano i
sostenitori del mercato libero e deregolamentato, riteneva che in alcuni casi
doveva essere lo Stato ad
intervenire per risanare alcune falle e anomalie della libera circolazione delle
merci e dell’organizzazione del lavoro. Avvicinandosi così più alle posizioni
di Keynes che a quelle di Friedman.
Ma il regime
imperante attuale (giornali e televisioni soprattutto) crede purtroppo che dei tecnocrati invasati e degli pseudo-economisti, teorizzatori di un
neoliberismo retrogrado che ha perso su tutta la linea, del calibro di Mario
Monti, Mario Draghi, Manuel Barroso, ma anche Francesco Giavazzi e Alberto Alesina
siano superiori per acume e capacità di analisi agli stessi fondatori
dell’economia moderna, come Adam Smith e John Maynard Keynes, e a questo punto,
rebus sic stantibus, possiamo tristemente dedurre che ad ogni uomo
o civiltà spetta l’economista che si merita.
Nel
prossimo articolo indagheremo meglio sulla teoria delle aree valutarie ottimali, espressa da un altro economista di poco
conto come Robert Mundell, premio Nobel
per l’economia nel 1999, che pensate già nel 1961 aveva dimostrato che una
moneta unica in Europa non poteva funzionare per una svariata serie di ragioni.
Ma a noi cosa importa, noi abbiamo Mario Monti, che pur non avendo mai vinto
nulla (men che meno citazioni nelle pubblicazioni specializzate) e avendo
invece in più occasioni palesato la sua incompetenza e incapacità di previsione
economica (ricordiamo ancora il memorabile video in cui sostiene che l’euro sia
stato un bene soprattutto per la Grecia), ci traghetterà dritto nel cuore della
Tempesta Perfetta. Si salvi chi può.
Dall'alto della mia nuova posizione, ti posso chiedere di leggerti questo articolo del SOLE? E' L'ITALIA LA SCATTISTA DEL COMMERCIO GLOBALE
RispondiEliminaQui si vede che nel 2011, prima della cura miracolosa, abbiamo battuto tutti, compresa Germania e Giappone, nell'export. A gennaio invece inversione di tendenza. Vorrei sapere che ne pensi. Soprattutto mi chiedo come mai i nostri successi in tutto il mondo non compensino i problemi con la Germania. A piu'alti tardi
Ho visto anche i dati delle importazioni e ahime' tutto si spiega!
RispondiEliminaBrava Cristina!!! Ormai sei talmente preparata che riesci a farti le domande e a rispondere da sola...l'articolo del sole24 è volutamente ingannevole perchè parla di tasso di crescita delle esportazioni e non di volumi complessivi di esportazioni: ciò significa per esempio che l'Italia ha aumentato le esportazioni da 300 a 350, mentre Germania e Giappone sono passati soltanto(!!!) da 3000 a 3100 e da 2500 a 2565 (sono numeri a caso per fare capire che quando si ragiona con i tassi di crescita tutto diventa relativo a ciò che tu riesci a fare in termini assoluti...)
EliminaSe poi, come giustamente hai fatto notare tu, prendiamo in considerazioni anche le importazioni vediamo che le importazioni sono costantemente superiori alle esportazioni, ecco spiegato il motivo per cui l'Italia è un importatore netto (saldo negativo fra esportazioni e importazioni) e non un esportatore netto...però questo articolo che hai portato all'attenzione è molto utile per capire come lavora e come distorce le notizie l'informazione mainstream di regime...titolone di prima pagina: l'Italia batte Germania e Giappone nell'export...poi vai a leggere e ti accorgi che è soltanto una bufala...ma noi ormai ci siamo attrezzati a dovere!!!
Ho avuto dei bravi maestri.....promossa in primina! Dici che l'articolo e' falso e tendenzioso, ma a beneficio di chi secondo te? Dei semidei no, perche' erano ancora di la' da venire....e allora ...Berlu,sembra strano, ormai. Fammi sapere
RispondiEliminaSole 24 ore= Confindustria...quindi è chiaro che ogni tanto i giornalisti del sole 24 siano costretti a fare qualche spot propagandistico ai loro datori di lavoro...nulla di male in questo, ma almeno che spiegassero realmente come stanno le cose...e non dimentichiamo che il Berlu non è mica morto, è sempre lì in prima fila sia in Confindustria che al parlamento, perchè tutto sommato quello che sta facendo Monti adesso era quello che avrebbe voluto fare lui da tempo ma non era mai riuscito a fare...se passa la riforma del lavoro, l'esperienza politica del PD e della sinistra progressista italiana già imbarazzante si può ritenere davvero conclusa...e inizia una fase nuova, partiti nuovi, facce nuove, una nuova sinistra che venga dal basso...se tu ci stai, apriamo un partito domani!!!
Eliminasai che secondo me è un po' piu' intricata...nel senso che quello che avrebbe voluto fare il berlu -per me- non è quello che voleva fare ma piuttosto quello che i 'poteri' reali
Elimina(bce ,lobby finanziaria multi trans europea fmi ecc ecc ) gli avevano imposto di fare...
e questo nel disegno della crisi-deflazione dell'italia prevista e prevedibile e che avrebbe provocato delle ripercussioni permanente (come ci dice mmonti) quindi impoverimento
provatizzazioni proletarizzazione di tutte le classi a parte le elite e conseguente utile allentamento dei diritti dei lavoratori...a dimenticavo liberalizzazioni per diminuire un po' la disoccupazione e impoverire -in sostanza- alcune categorie
Sono abbastanza convinto che tremonti-berlu non fossero driver di questo progetto ma per motivi diversi non ne fossero cosi' entusiasti , non fosse che la loro base elettorale ne sarebbe stata danneggiata troppo...comunque un piccolo merito di aver frenato sulle privatizzazioni al tremonti glielo riconosco...
per rispondere alla contessa : secondo me la risposta al tuo cui prodest la disinformazione
Eliminaè molto semplice : l'establishment (sia confindustria che grande finanza italiana) sta' appoggiando il progetto di questo governo e quindi deve nascondere il fatto che l'italia
va' e andra' male e gli italiani soffriranno per le misure prese da governo ...
insommma non possono scrivere che da quando c'è monti le cose sono ulteriormente peggiorate
ulteriormente...insomma gli italini devono essero sempre piu' rassicurati visto camminano tranquilli verso il baratro...diversamente chi sarebbe felice di fare i necessari sacrifici per salvare l'europa ^ ?
ps: ricordiamoci che mmonti ha un grandissimo gradimento anche a ^sinistra^ ...ho visto
in certi forum utenti di sinistra che si erano messi l'avatar con mmonti fino a pochi giorni fa...
Questo lo capisco benissimo, il punto e' che i dati sbandierati sono quelli dell'anno scorso e quindi non avvalorano dI certo l progetto Monti. Di qui la mia perplessita'.Anche i dati di gennaio non sono favorevoli al governo. la cosa percio' funziona solo con il titolone!
EliminaL'analisi di Robert è corretta, stanno cercando in tutti i modi di far credere agli italiani con il grande professore Monti, economista di fama mondiale (???), tutti i problemi saranno risolti...però è anche vero che fino a qualche tempo fa neanche il Berlu dava tanto fastidio al vero potere, in fondo si faceva i fatti suoi e ogni tanto infilava una leggina di espropriazione dei diritti o almeno ci tentava...ricordiamoci che se non ci fosse stato il referendum, Berlu e Tremonti avrebbero fatto passare una legge sulla privatizzazione dell'acqua davvero indegna ed è proprio lì che si è rotto l'incantesimo...ma come, dice il vero potere, con tutte le televisioni che hai, i giornali non sei riuscito a vincere il referendum??? Ma allora caro Berlu non ci servi più perchè non sei più capace di instupidire e spegnere questa fastidiosa voglia di democrazia degli italiani...infatti poco dopo il referendum inizia la corsa dello spread sui titoli di stato e iniziano le grandi manovre montiane, che già sapeva dall'estate scorsa che avrebbe dovuto sostituire Berlusconi in autunno...sul fatto che la sinistra (la pseudo sinistra di bersani, veltroni, d'alema) appoggi monti stendiamo un velo pietoso...finalmente gli italiani spero avranno la possibilità di rendersi conto che razza di personaggi assurdi siano questi politicanti fasulli e ipocriti fino al midollo...
Elimina@contessa : per semplificare secondo me quel tipo di articoli hanno la stessa funzione della panna nei piatti dei ristoranti quando gli ingredienti non sono cosi' freschi e magari sono proprio vecchi e scaduti...coprono il vero sapore...quindi gli articolisti 'cucinano' i dati per farti sentire solo il 'sapore' che interessa a loro---
Eliminapropobabilmente poi il 100%dei lettori leggi il titolo mentre solo un minoranza è in grado
o ha la voglia/forza di leggere e interpretare i dati dell'articolo...
Ottimo, seguo da poco questo blog e non sembra scritto da un "ingegnere gestionale": chiaro, semplice, comprensibile facilmente :). Sono un giornalista e per questo devo davvero dirti bravo, ce ne fossero così
RispondiEliminadiffondi il verbo allora per quanto ti è possibile!
Eliminain effetti piero valerio è bravissimo ^__^
Benvenuto fra noi Pier Paolo...in effetti sono un ingegnere pentito, perchè ho più volte rinnegato la mia stessa categoria...troppo ripiegati su stessi, sul presente, incapaci di avere una visione...comunque grazie per i complimenti, fatti da un giornalista valgono il doppio e qualunque consiglio, suggerimento è sempre bene accetto...e poi come dice Robert cerchiamo di diffondere il verbo, ognuno di noi deve farsi messia e portatore sano di intelligenza!!! Cerchiamo di fare ragionare questi italiani, che ancora non capiscono che i problemi da cui sono attanagliati non riguardano tanto l'economia, la politica, la finanza, la tecnica, ma la logica, la pura e semplicissima logica!!!
Eliminaho divulgato qualche post tramite Facebook ma leggo molto anche qui per capire meglio molti passaggi. Da tre mesi sul mio giornale ho aperto un blog personale dove tratto spetto questi temi (io invece sono un laureato in economia prestato al giornalismo). Qui trovi alcuni articoli http://www.rivieraoggi.it/tag/titoli-di-coda-2/, ma ad esempio qui trovi l'articolo scritto ieri proprio in riferimento al problema del giornalismo nazionale e invece alla bellezza di questi blog molto curati e precisi http://www.rivieraoggi.it/2012/03/23/140156/a-sandra-amurri-giornalista-de-il-fatto-quotidiano/. Continua così, bravo!
RispondiEliminaHo letto gli articoli e ricambio i complimenti, perchè scrivi davvero benissimo! In quanto a chiarezza e lucidità di esposizione anche tu non scherzi...complimenti davvero!!! In particolare l'articolo sul Fatto Quotidiano ha centrato in pieno la questione, perchè fissando l'attenzione sui fatti di inchieste giudiziarie nazionali, spesso i giornalisti del Fatto, per quanto bravissimi, preparati e professionali, perdono di vista che intanto a Bruxelles e Francoforte i veri criminali stanno espropriando l'Italia di ogni diritto ... dovrebbero ampliare un pò di più la loro visuale di osservazione...teniamoci in contatto!!! Saluti. Piero
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