Forse
non tutti conoscono la teoria dell’area
valutaria ottimale (AVO in italiano e OCA in inglese, Optimum Currency Area), che descrive i criteri per i quali due o
più stati possono avere dei vantaggi e delle convenienze economiche ad
abbandonare le loro monete nazionali e ad adottare un’unica moneta comune. Questa
teoria è stata tirata in ballo più volte per dimostrare che l’Unione Monetaria Europea non poteva
reggere a lungo perché non rispettava quasi nessuno dei criteri richiesti per
la creazione di un’area valutaria ottimale.
In
un periodo in cui l’euro sta dimostrando
tutti suoi limiti e la sua debolezza, forse è bene fare un ripasso della
teoria dell’area valutaria ottimale, per dimostrare ancora una volta, qualora
ce ne fosse bisogno (e forse in questa fase storica di oscurantismo
culturale il bisogno c’è e eccome) che quando l’intelligenza e la razionalità
umana si mette al lavoro per descrivere il reale funzionamento dei fenomeni non
c’è fanatismo di sorta che regga.
Nonostante abbiano tutti i dati e le evidenze contro, i fanatici tecnocrati europei, i loro politici fantoccio, i giornalisti
e gli economisti di regime a loro devoti sono infatti gli unici ad essere ancora
convinti che l’euro va bene così com’è e indietro non si torna.
Ma
andiamo per gradi. La teoria delle aree
valutarie ottimali è stata elaborata dall’economista canadese Robert Mundell nel 1961, con la pubblicazione di un articolo in cui venivano esposti i
vantaggi e gli svantaggi del regime dei
cambi fissi o flessibili delle monete, stabilendo quindi i criteri per cui
un regime di cambio fisso (area valutaria o unione monetaria fra due o più
stati) risulta preferibile rispetto all’adozione di un regime di cambio flessibile
(oscillazione libera dei tassi di cambio delle monete di due o più stati).
Mundell prese in considerazione come modello di indagine la più grande unione monetaria esistente in quel
periodo, gli Stati Uniti d’America,
per fare poi delle considerazioni generali sui paesi che avrebbero avuto
convenienza a fare accordi di tipo monetario (area valutaria con banda di oscillazione rigida dei cambi) o
addirittura ad adottare la stessa moneta (unione
monetaria).
In
verità la questione era stata sollevata nel 1953 da un altro economista americano,
Milton Friedman, il quale sosteneva
che in un’area o regione in cui si presentava una notevole rigidità sia dei salari che dei prezzi sarebbe stato meglio adottare
tassi di cambio flessibili fra i
paesi interessati in modo da riuscire a realizzare contemporaneamente gli
obiettivi di equilibrio interno (piena
occupazione, stabilità dei prezzi
etc) e di equilibrio esterno (pareggio
della bilancia dei pagamenti con l’estero). Friedman affermava che una
piccola variazione spontanea o intenzionale (svalutazione competitiva esterna)
del tasso di cambio della moneta nazionale sarebbe stata molto più efficace di
una revisione di migliaia di salari e prezzi individuali.
Ricordiamo
che a livello internazionale siamo ancora nel periodo in cui vigevano gli accordi di Bretton Woods, tramite i
quali era stato stabilito nel 1944 un anomalo regime di cambio fisso di tipo gold
exchange standard, in cui tutte le monete nazionali potevano essere
scambiate rigidamente con il dollaro e solo quest’ultimo era convertibile in oro, tramite un ancoraggio altrettanto fisso (35 dollari
equivalevano ad un’oncia d’oro). Quindi il dibattito sulla validità del regime
di cambio fisso o flessibile si era fatto piuttosto acceso ed è appunto in
questo contesto che si inserisce la ricerca di Mundell.
Mundell
prese spunto dal lavoro dell’economista James
Meade (1957), il quale riteneva che una moneta unica in Europa non avrebbe mai potuto
funzionare efficacemente a causa della scarsa
mobilità dei lavoratori tra i vari paesi europei, capace di compensare
eventuali crisi di domanda aggregata in una nazione. Mundell allargò ancora di
più questa visuale di osservazione nel suo modello teorico, argomentando che
un’area valutaria o unione monetaria ottimale è una regione geografica in cui
si verifica un’elevata mobilità dei
fattori produttivi (capitale e lavoro). Solo in questa maniera una regione
nel suo complesso è in grado di superare i cosiddetti shock asimmetrici, ovvero
le congiunture economiche temporanee che colpiscono soltanto alcuni particolari
settori produttivi o paesi della regione.
Per
capire meglio i ragionamenti di Mundell bisogna però fare qualche passo indietro
e spiegare sinteticamente alcuni concetti chiave di macroeconomia classica, in particolare quelli che riguardano il prodotto interno lordo (PIL) di una nazione o di un’area
geografica, che corrisponde ai beni e servizi prodotti e consumati in un dato
periodo all’interno di quell’area e quindi indirettamente alla somma complessiva
dei redditi dei lavoratori e dei profitti delle imprese operanti in quella
stessa area. Possiamo scrivere che il PIL nazionale, indicato con la lettera Y
(yield, reddito) è uguale a:
Y =
C + G + I + (X − M)
dove C sono i consumi finali, G è la spesa dello stato, I gli
investimenti, X le esportazioni e M le importazioni; l'identità vale in quanto
la quota del prodotto destinata alla vendita ma non effettivamente venduta si
traduce in un aumento delle scorte, che sono una componente degli investimenti. Ora se noi definiamo
con i termini di domanda aggregata (AD, aggregate
demand) e offerta aggregata (AS, aggregate
supply) la domanda e l’offerta complessiva di beni e servizi presenti
nell’area specifica, possiamo scrivere anche che:
AD = C + G + I + X
AS = Y + M
Riprendiamo adesso il
modello di Mundell e supponiamo che
due paesi (Francia e Germania) formino un'unione monetaria (regime di cambio
fisso o moneta unica) e consideriamo che si verifichi per qualche ragione uno spostamento
della domanda in un particolare settore (shock
asimmetrico): ipotizziamo per esempio che i consumatori modifichino le
preferenze, passando dall’acquisto di determinati prodotti francesi a quelli
tedeschi. Graficamente, possiamo tracciare come segue le curve di equilibrio di
domanda e offerta aggregata dei due paesi.
Entrambi i paesi
dovranno fronteggiare un problema di aggiustamento,
perché in Francia si è verificata una traslazione della domanda verso il basso,
con una produzione minore, riduzione dei prezzi e maggiore disoccupazione, mentre la Germania è entrata
in una fase di espansione, con pressioni al rialzo dei prezzi, aumento della
produzione e della domanda di lavoro e conseguente flusso positivo delle
partite correnti della bilancia dei pagamenti (dato che sono aumentate le
esportazioni).
Ora, in un regime di
cambi flessibili, come sosteneva Friedman, i due paesi avrebbero potuto
affidarsi al meccanismo automatico o
volontario di aggiustamento dei tassi di cambio per riequilibrare le curve
di domanda e offerta aggregata, dato che la moneta francese si sarebbe svalutata
e quella tedesca apprezzata, riportando i consumatori alle precedenti
preferenze. Ma in una unione monetaria tutto ciò non può avvenire e si può soltanto
agire principalmente su tre fattori:
1) flessibilità salariale
2) flessibilità dei prezzi
3) mobilità del lavoro
Tramite la flessibilità dei salari e dei prezzi
possiamo assistere ad una riduzione dei prezzi e dei salari in Francia, che
trascinano verso il basso l’offerta e contemporaneamente riportano in alto la
domanda dei prodotti francesi che sono diventati più competitivi, ristabilendo
la condizione di equilibrio dei flussi commerciali fra Germania e Francia.
Analogamente in Germania si assisterà ad un fenomeno opposto, ovvero aumento
dei salari e dei prezzi, con le traslazioni rispettive sia verso l’alto dell’offerta
che verso il basso della domanda aggregata.
E’ chiaro che
affinchè si raggiungano tali nuovi equilibri, le economie dei due paesi in questione dovrebbero essere strettamente
integrate dal punto di vista commerciale, in modo che una piccola
diminuzione dei prezzi dei beni prodotti nel paese in perdita, la Francia,
porterebbe ad un aumento non trascurabile della domanda da parte dei
consumatori del paese in surplus, la Germania.
In mancanza di questa
flessibilità dei salari e dei prezzi e della necessaria elasticità della domanda, il fattore fondamentale diventa la mobilità del lavoro: i lavoratori
francesi disoccupati si trasferiscono in Germania dove c'è un eccesso di
domanda di lavoro. Ciò elimina la necessità di far diminuire i salari in
Francia e di aumentarli in Germania: il problema della disoccupazione in
Francia scompare e le pressioni inflazionistiche dovute all’aumento dei salari
in Germania svaniscono.
Tuttavia, se queste
condizioni non sono soddisfatte il problema dell'aggiustamento non verrà risolto:
se i salari e i prezzi in Francia non diminuiscono, nonostante la
disoccupazione e i lavoratori francesi non si trasferiscono in Germania, il calo di produzione in Francia assumerà
la forma di inflazione in Germania (in via ipotetica perché in realtà già
sappiamo che i tedeschi hanno sempre agito tramite la contrazione rigida dei
salari e dei consumi interni per mantenere un regime di inflazione basso, per
via della loro aggressiva propensione mercantilista).
Riassumendo quindi
possiamo dire che se i salari e i prezzi sono rigidi e se la mobilità del
lavoro è limitata, i paesi che formano un'unione monetaria incontreranno maggiori
difficoltà ad adeguarsi a variazioni della domanda rispetto a paesi che hanno
mantenuto le proprie valute nazionali e che quindi possono ricorrere a manovre spontanee
o volontarie di aggiustamento dei tassi di cambio delle rispettive monete (svalutazione e rivalutazione). Mentre un'unione monetaria tra due o più paesi è ottimale
se sono soddisfatte le seguenti condizioni: flessibilità salariale, flessibilità
dei prezzi e mobilità del lavoro.
Abbiamo volutamente
tenuto da parte il fattore della mobilità
dei capitali perché la faccenda in questo caso è un po’ più complessa e va
esaminata con maggiore attenzione, dato che spesso dipende da decisioni
politiche esterne ai flussi economici e un’impostazione errata di questo
fattore (come è avvenuta e avviene tuttora nell’eurozona) può causare una
rapida deriva dell’intera area valutaria o unione monetaria. Innanzitutto
dobbiamo distinguere fra capitale fisico
(mezzi di produzione, stabilimenti, capannoni industriali) e capitale finanziario.
Le variazioni del capitale fisico e, ove possibile, la
sua mobilità possono costituire un rimedio per compensare persistenti disparità
regionali all’interno dell’area valutaria, mentre a causa dei notevoli costi e
delle difficoltà di spostamento delle strutture produttive è sicuramente
sconsigliabile in caso di shock
asimmetrici temporanei.
I trasferimenti del capitale finanziario invece possono
avvenire attraverso due canali principali, quello pubblico e quello privato.
La libera circolazione dei capitali
privati attraverso gli investimenti finanziari favorisce sicuramente la
distribuzione del rischio di uno shock
asimmetrico fra i paesi dell’area valutaria, ma gli effetti spesso sono
limitati e provvisori. Riprendendo l’esempio della Francia e della Germania, se
i mercati finanziari dei due paesi sono completamente integrati e i francesi
investono molto in azioni di aziende tedesche e così i tedeschi, parte dei
titoli delle imprese francesi, che subiscono una riduzione del prezzo, potrebbe
essere detenuta da cittadini tedeschi e parte dei titoli delle imprese
tedesche, il cui prezzo è aumentato, rimarrebbe fra le disponibilità da
cittadini residenti francesi.
In questo caso si
assisterebbe ad una sorta di compensazione
delle perdite, che però come giustamente hanno sottolineato diversi
economisti può avere solo carattere temporaneo per tamponare nel breve periodo
eventuali squilibri interni ed esterni, mentre per soluzioni strutturali
sarebbe necessario ricorrere ad adeguate misure
di politica economica e fiscale. Inoltre questo trasferimento di capitali
privati riguarderebbe una ristretta fascia di cittadini abbienti che possiede
cospicui portafogli di attività finanziarie, mentre gli effetti redistributivi
verso le fasce più deboli e meno tutelate sarebbero minimi.
Nel caso invece di trasferimenti di capitale pubblico
bisogna ipotizzare all’interno dell’area valutaria un’unione fiscale completa, che venga gestita a livello
centralizzato di bilancio da un unico organismo politico e finanziario. Il
governo centrale avrebbe il compito di raccogliere parte o tutte le entrate
fiscali delle varie regioni e redistribuirle in modo da limitare gli squilibri
finanziari all’interno dell’area. I trasferimenti di capitale pubblico
potrebbero avere carattere strutturale e continuativo di lungo termine per
sostenere le aree tradizionalmente più depresse, o solo temporaneo di breve
periodo in caso di shock asimmetrici
passeggeri.
Questo è il tipico
caso di organizzazione fiscale degli stati federali americani, dei lander
tedeschi e delle regioni italiane e ha come unica controindicazione il
cosiddetto moral hazard, ovvero lo stato o la regione che beneficia di
questi trasferimenti permanenti di capitale pubblico potrebbe assumere con il
tempo dei comportamenti di attesa passiva che ostacolano gli altri meccanismi
di aggiustamento mediante le variazioni salariali o tramite la mobilità del
lavoro.
Nel corso degli anni
il modello originario delle aree valutarie ottimali di Mundell è stato aggiornato
grazie ai contributi di altri economisti come Ronald McKinnon (1963), Peter
Kenen (1969), Marcus Fleming
(1971), che possiamo riassumere in questi ulteriori requisisti:
- Grado di apertura dell'economia: quanto più un'economia è aperta agli scambi internazionali tanto meno è soggetta gli effetti di variazioni nei tassi di cambio negli scambi con un particolare paese, anzi la rigidità dei tassi cambio dell’area valutaria potrebbe essere vista come un fattore di stabilità, in quanto riduce i costi di transazione e i rischi di cambio associati alla presenza di più valute
- Diversificazione produttiva: un'area valutaria è tanto più efficace quanto più è diversificata, perché un calo della domanda in un determinato settore può essere compensato dall’aumento della domanda in un altro settore, evitando il drastico innalzamento del livello di disoccupazione causato dalla crisi di un’economia tipicamente monoproduttiva
- Integrazione fiscale: le politiche
fiscali unificate all’interno di un’area valutaria rendono più sostenibili
i problemi derivanti da oscillazioni nelle esportazioni combinate con una
imperfetta mobilità del lavoro, perché come abbiamo già visto possono
avere effetto redistributivo a lungo termine e stabilizzante a breve
termine
- Convergenza dei tassi di inflazione: in un'area valutaria o in un’unione monetaria caratterizzata dalla presenza di un’unica moneta i tassi di cambio sono fissi solo nominalmente; se vi sono differenze nei tassi di inflazione, cambiano comunque i tassi di cambio reali: se il paese A ha un'inflazione più bassa del paese B, i prezzi dei suoi beni sono minori di quelli del paese B e ciò comporta una sottovalutazione della valuta di A e una sopravvalutazione di quella di B, che crea evidenti squilibri macroeconomici in termini commerciali; per tornare ad una situazione di equilibrio, A dovrebbe rivalutare e B dovrebbe svalutare, ma dal momento che questo non è possibile in un regime di cambi fissi, le differenze nei tassi di inflazione tra i paesi di un’area valutaria avrebbero comportato una maggiore tendenza a sviluppare squilibri persistenti all’interno dell’area, con conseguente difficoltà ad uniformare e conciliare un’elevata occupazione e una ragionevole stabilità dei prezzi
- Minime differenze culturali: i paesi che
decidono di formare un’area valutaria devono necessariamente avere una
certa uniformità culturale, che include la stessa lingua, analoghe
tradizioni e abitudini sociali, una storia comune, simile diffusione dei
mezzi di informazione di massa come giornali, televisioni, accesso alla
rete internet, in modo da rendere meno traumatici e difficoltosi gli
spostamenti dei lavoratori da un paese all’altro all’interno dell’area
Tuttavia,
con il passare degli anni, mano a mano che il progetto dell’Unione Monetaria Europea diventava sempre più
concreto (a partire soprattutto dal 1979, quando 11 paesi europei hanno deciso
di aderire allo SME, un’area valutaria con banda di oscillazione rigida dei
cambi), gli economisti hanno preferito ragionare sui costi e i benefici che
comporta l’adozione di una moneta unica. Non mancano le ricerche e gli studi
privi di ogni fondamento scientifico, perché spesso venivano finanziati dalla
nascente commissione europea ed erano basati sulla rielaborazione di dati
falsati e manipolati ad arte per rendere più credibile l’impalcatura fragile
della moneta unica europea (nient'altro che spudorata propaganda, insomma).
Ad ogni
modo fra i principali vantaggi di
un’unione monetaria possiamo includere sicuramente l’azzeramento dei costi e dei rischi di cambio fra monete diverse e
una certa facilitazione degli scambi
commerciali, grazie alla maggiore trasparenza dei prezzi e alla migliore
integrazione finanziaria. Meno determinanti e misurabili i fattori legati
all’aumento di credibilità e al
maggiore peso politico nelle trattative internazionali di un’unione monetaria
rispetto ai singoli paesi che compongono l’unione, perché un tale giudizio
qualitativo dipende molto dal modo in cui viene creata e gestita la struttura
politica unitaria (nel caso specifico dell’eurozona abbiamo assistito spesso
alla perdita di credibilità a causa dei ridicoli e contraddittori comportamenti
dei macchinosi apparati burocratici, commissioni europee, consiglio,
parlamento, non di rado in contrasto con le autorità politiche dei singoli
stati: chi comanda di più? E soprattutto chi comanda cosa?).
Fra i
maggiori costi associati ad un’unione
monetaria dobbiamo invece annoverare la perdita della sovranità monetaria e di autonomia nelle scelte di politica monetaria,
che diminuiscono nel complesso le capacità di reazione dei singoli paesi alle
crisi economiche temporanee o strutturali. Nel contesto specifico europeo, è
stato giustamente notato come la risposta dell’unione monetaria sia poco
efficace o tardiva in caso di shock
asimmetrici che coinvolgono solo uno o pochi stati dell’unione, mentre
diventa molto incisiva e tempestiva qualora si verificassero shock simmetrici che coinvolgono contemporaneamente
tutti gli stati (per dirla in altre parole, se la crisi non colpisce direttamente
anche la Germania, che è il paese economicamente più forte e politicamente più
influente dell’unione monetaria europea, il processo di ricerca e applicazione
delle soluzioni potrebbe diventare lungo, frammentario e inefficace, come
quello a cui stiamo assistendo in questi ultimi mesi e anni).
Non è
nemmeno trascurabile l’effetto di una minore autonomia nelle politica fiscale di ogni singolo paese,
dato che l’unione monetaria comporta una serie di restrizioni (vedi il Fiscal
Compact e l’imposizione del pareggio di bilancio) nell’utilizzo della spesa pubblica e del prelievo fiscale che alla lunga possono
portare alla paralisi dei parlamenti nazionali e all’inerzia delle manovre di
politica interna. Questi effetti perversi delle politiche fiscali, che possono
spingere ad eccessi di spesa in alcuni paesi e privazioni in altri, vengono
attenuati dalla presenza di un’unione monetaria in cui tutto diventa più
impalpabile e rarefatto. Non essendo infatti più sanzionati automaticamente e
con immediatezza dalla svalutazione del tasso di cambio come avviene in un
regime di cambio flessibile, la copertura rigida unitaria può condurre la
classe dirigente ad intraprendere scelte dissennate e infelici nell’ottica di
una sempre maggiore deresponsabilizzazione dell’azione politica e delega delle
proprie funzioni e competenze ad enti sovranazionali sempre più distaccati e insindacabili
(del tipo: cosa me ne frega a me, tanto c’è l’unione europea che copre e
giustifica tutto!).
E
arriviamo così alla disastrosa
situazione attuale, in cui il dibattito sui vantaggi e gli svantaggi della
moneta unica euro ha assunto i connotati di una contrapposizione confusa e
disarticolata fra due opposte tifoserie calcistiche, che si sfidano a colpi di
slogan e messaggi propagandistici, senza aggiungere di fatto nulla all’analisi
scientifica e rigorosa effettuata da Mundell nel 1961. Le fazioni dei pro-euro
e dei contro-euro si dibattono con argomentazioni spesso sterili e
superficiali, ma se volessimo seriamente rifarci appunto al modello scientifico
originario di Mundell e alle sue successive integrazioni, non potremmo non
notare innanzitutto e curiosamente come l’eurozona
non rispetti quasi nessuno dei criteri richiesti per rendere efficace un’unione
monetaria ottimale.
Nell’eurozona
infatti vi è scarsa flessibilità dei
prezzi e dei salari, anzi si assiste spesso alla tendenza opposta di alcuni
paesi, primo fra tutti la Germania, ad adottare politiche interne di
contrazione rigida dei salari e dei prezzi per ricevere qualche vantaggio
competitivo in termini commerciali nei confronti dei paesi alleati. A causa
delle ampie divergenze linguistiche e
culturali nell’eurozona si verifica una ridotta e difficoltosa mobilità dei lavoratori fra i vari paesi aderenti
all’unione monetaria. Sempre a causa di diverse ragioni storiche e culturali, legate
anche alle differenti abitudini di spesa e dei consumi dei cittadini europei, non è mai esistita e mai esisterà
all’interno dell’eurozona una convergenza dei tassi di inflazione e alcuni
paesi, sempre in testa la Germania, hanno beneficiato della loro lunga tradizione
mercantilista di privilegiare le esportazioni a danno della domanda interna,
mantenendo costantemente l’inflazione al di sotto della media degli altri paesi
europei e ricevendo ancora una volta vantaggi in termini commerciali.
Nell’eurozona
non esiste una vera e propria unione
fiscale, che gestisca in modo razionale e coerente attraverso un governo
centrale i trasferimenti finanziari dai paesi più attivi a quelli meno attivi
dal punto di vista economico, per limitare gli squilibri commerciali e
uniformare le bilance dei pagamenti dei singoli paesi. In ambito fiscale, l’unica
cosa certa che esiste nell’eurozona è un’accozzaglia di riunioni e decisioni
confuse prese durante i sempre più frequenti e interminabili vertici europei,
dove si manifesta tutta l’incompetenza dei tecnocrati europei e la loro incapacità
di fronteggiare con buona autorevolezza e lucidità (la cosiddetta governance) i problemi complessi
derivanti dalla gestione di un’unione monetaria così debole e malandata.
Come ha
fatto notare bene qualcuno, la stupidità
consiste nel ripetere sempre le stesse cose e attendersi ogni volta risultati
diversi: ecco l’ottusità ideologica dei tecnocrati europei e dei loro
politici e politicanti fantoccio, che spesso sfocia in puro fanatismo, consiste
appunto nel ripetere come un mantra alcune convinzioni dottrinali (euro, euro,
euro, austerità, austerità, austerità, privatizzazioni, liberalizzazioni, etc)
e mettersi poi religiosamente in attesa che gli effetti siano come per magia miracolosi:
ma se l’austerità, come tristemente notato, non ha funzionato in Grecia e in
generale nella storia della civiltà umana, per quale motivo dovrebbe funzionare
in Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia? Sono pazzi tutti gli economisti che
da ogni parte del mondo accusano di scarsa lungimiranza la tecnocrazia europea,
oppure i pazzi sono proprio questi tecnocrati dall’aspetto così rispettabile e
imperturbabile ma affetti da una preoccupante fissità nello sguardo?
Ma questi
sono solo due degli interrogativi che avvolgono in una nebulosa cortina di fumo
l’introduzione di un’unione monetaria in Europa, che sebbene sia un progetto affascinante
e umanamente ambizioso, è purtroppo appoggiato su basi scientifiche fragili e indifendibili. A tutti piacerebbe
vivere sulle nuvole, ma la fisica purtroppo ce lo impedisce. Una seria analisi scientifica, come abbiamo
visto, avrebbe quindi dovuto ragionevolmente condurre i politici europei a mantenere
e rafforzare l’unione commerciale già
esistente e ben rodata ma ad evitare con cura qualsiasi accelerazione in direzione
di un’unione monetaria. E a questo
punto, bisognerebbe davvero chiedersi perché sono andati avanti lo stesso? Perché
hanno nascosto all’opinione pubblica tutte le magagne? Chi ha voluto veramente la moneta
unica? Quali erano le reali intenzioni dei padri fondatori dell’unione monetaria
(Mitterand, Kohl, Prodi)? Possibile che nessuno si sia accorto che il progetto
dell’eurozona non stava in piedi?
Possiamo
consolarci con l’unificazione della lega calcistica europea in Champions
League, ma per il resto, anche il più sprovveduto dei cittadini europei avrà
notato che in Europa non è cambiato assolutamente nulla rispetto alle fasi
precedenti l’introduzione dell’euro: in ogni paese si leggono i propri
giornali, si guardano le proprie trasmissioni televisive, a scuola si insegnano la propria storia, la propria cultura, la propria lingua, a casa si ascoltano le proprie tribune
politiche, i dirigenti nazionali sono sospinti dall’opinione pubblica locale
(dato che non esiste un’opinione pubblica europea) a seguire le indicazioni e
gli interessi egoistici del proprio paese, infischiandosene altamente dei danni
causati o delle tragedie arrecate ai paesi alleati. Questa è l’eurozona oggi,
un mostro istituzionale giuridico
senza capo né coda che non ha alcun senso di esistere, a meno di stravolgimenti
epocali nell’organizzazione e nella conduzione dell’unione monetaria stessa,
che sono umanamente difficili da prevedere.
Malgrado
siano innumerevoli e difficili da elencare tutti gli appelli dei maggiori economisti di fama internazionale (in particolare americani, che vivendo negli Stati Uniti conoscono
bene cosa sia e come funzioni una vera unione monetaria ottimale) contro il
progetto unitario dell’euro, concludo con una frase del grande economista
irlandese Wynne Godley, che nel 1992
cercava di mettere in guardia i propri concittadini sui pericoli della moneta
unica e sintetizzando bene quali sono i mali dell’eurozona e i motivi per cui
il crollo dell’euro è diventato oggi un evento più che mai auspicabile, ammoniva:
“La incredibile lacuna nel programma europeo è che non c’è nessun progetto di
qualcosa di analogo, in termini comunitari, di un governo centrale… Se un paese o regione non ha alcun potere di svalutare, e se non può
beneficiare di un sistema di
trasferimenti fiscali che tendano ad eguagliare le condizioni, allora non
c’è nulla che possa impedirgli di soffrire di un processo di declino cumulativo
e definitivo che alla fine farà sì che l’emigrazione
sia l’unica alternativa alla povertà e all’inedia.”
Un grande primo ministro canadese, William Mackenzie King,[1] ebbe a dichiarare prima delle elezioni del 1935: “Una volta che a una nazione rinuncia al controllo della propria valuta e del credito, non importa chi fa le leggi della nazione. … Fino a quando il controllo dell’emissione della moneta e del credito non sia restituito al governo e riconosciuto come la responsabilità più rilevante e sacra, ogni discorso circa la sovranità del Parlamento e della democrazia sarebbe ozioso e futile”.
RispondiEliminahttp://vocidallestero.blogspot.it/2011/06/sovranita-monetaria-e-democrazia.html
Saluti, Nicola
Venne posta a Rodrigue Tremblay (professore emerito di economia presso l'Università di Montreal) tale domanda:
RispondiElimina« Quali sono le regole da adottare per un’unione monetaria stabile in presenza di una moneta comune? »
La sua risposta fu questa :
1 - In primo luogo, i Paesi membri devono avere strutture economiche e livelli di produttività del lavoro simili, in modo che la moneta comune non appaia sopravvalutata o sottovalutata a seconda della particolare economia del singolo Paese aderente. Un'alternativa è quella di avere un alto grado di mobilità del lavoro fra le economie regionali in modo che i livelli di disoccupazione non rimangano eccessivamente elevati nelle regioni meno competitive.
2 - In secondo luogo, se una delle due condizioni di cui sopra non è soddisfatta , l'unione monetaria deve essere guidato da un soggetto politico forte (forse un sistema di governo federale) che sia in grado senza problemi di trasferire fondi dalle economie a surplus fiscale alle economie con deficit fiscale, attraverso fondi gestiti centralmente sotto forma di pagamenti di perequazione fiscale. Questo per evitare le tensioni politiche e di incertezza quando il tenore di vita aumenta nelle ricche economie regionali e cala invece in quelle meno ricche. Infatti, dal momento che i tassi di cambio regionali non possono essere regolati verso l'alto o verso il basso per ristabilire l'equilibrio di ogni Paese membro e dato che la legge del prezzo unico si applica in tutta la zona monetaria, il principale meccanismo di aggiustamento agli squilibri esterni resta quello di contrastare le fluttuazioni nei livelli di reddito ed occupazionali.
3 - Una terza condizione per un buon funzionamento dell'unione monetaria è quello di avere la libera circolazione dei capitali finanziari e bancari all'interno della zona monetaria. Questo per assicurare che i tassi di interesse (corretti per il fattore di rischio) siano coerenti all'interno di tale zona e che i progetti produttivi abbiano l'accesso ai finanziamenti ovunque essi avvengano. Negli Stati Uniti, per esempio, l'elevata liquidità nel mercato dei fondi federali consente alle banche (in temporaneo deficit nel controllo di compensazione) di prendere in prestito fondi a breve termine dalle banche che si trovino in una posizione di temporanea eccedenza. In Canada, le grandi banche nazionali hanno filiali in tutte le province e possono facilmente trasferire fondi dalle filiali con fondi in eccedenza alle filiali con fondi in disavanzo, senza intaccare il loro credito o le operazioni di prestito.
4 - La quarta condizione è quella di avere una Banca centrale comune la cui politica monetaria si rivolga non solo al controllo dell’inflazione ma anche alla reale crescita economica e dei livelli occupazionali. Tale Banca centrale dovrebbe essere in grado di agire come prestatore di ultima istanza non solo nei confronti delle banche ma anche dei governi della zona monetaria.
Questo tipo di banca centrale dovrebbe essere atta ad agire come un prestatore in ultima analisi, non solo alle banche ma anche ai governi della zona.
Continua.......
.......segue
RispondiEliminaSfortunatamente l’Eurozona ha fallito spesso incontrando alcune delle più fondamentali condizioni per il funzionamento di unione monetaria.
Guardiamole una ad una.
Primo, i livelli di produttività lavorativa (produzione per ora di lavoro) varia sostanzialmente tra gli stati membri. Per esempio nel 2009, se il livello dell’indice di produttività in Germania era 100, in Grecia era solo il 64,4, quasi un terzo più basso. In Portogallo ed Estonia per esempio, era rispettivamente anche più basso tra il 58 e il 47. Questo significa che l’euro, come valuta comune, può sembrare svalutata in Germania ma sopravvalutata per molti altri membri dell’Eurozona, stimolando la rete delle esportazioni nel primo caso ma andando a colpire male la competitività degli altri paesi membri.
Secondo, e possibilmente uno dei più importanti requisiti, l’Eurozona non ha il sostegno di una forte e stabile unione politica e fiscale. Questo permette trasferimenti fiscali tra gli stati membri che devono essere fatti con decisioni politiche ad hoc, e questo crea incertezza. Infatti, no ci sono dei meccanismi permanenti di pagamenti equanimi tra forti e deboli economie all’interno della zona. Perciò possiamo dire che non esiste una solidità economica permanente all’interno della zona.
Terzo: i progettisti eletti dell’Eurozona per limitare la Banca Centrale Europea ad un suo ruolo strettamente definito, hanno come principale obbligo quello di mantenere la stabilità dei prezzi mentre non hanno responsabilità nella stabilizzazione di tutta la macro economia della zona e di prevenirla se fosse il caso se i governi creassero denaro. Per questa ragione possiamo dire non c’è nell’Eurozona una solidarietà finanziaria istituzionale.
Infine, anche se la mobilità ed il lavoro dell’Eurozona è alta, storicamente è molto meno sicura rispetto al caso della unione monetaria americana.
..............
Link: http://www.bibliotecapleyades.net/sociopolitica/sociopol_globalbanking154.htm
saluti, Nicola.
Grazie Nicola,
Eliminaquesti articoli che mi hai segnalato vanno assolutamente ripresi e pubblicati, perchè rappresentano un chiarimento ulteriore e preciso della situazione ridicola in cui siamo stati incastrati...speriamo che battendo costantemente su questi tasti tante altre persone riescano finalmente ad aprire gli occhi...
leggete questa citazione...^
RispondiElimina'Pochi ricordano pero' che a quell' epoca il debito
pubblico era tutto interno . Quando si diceva che ogni
italiano nasceva con venti milioni di lire di debito ci
si dimenticava di aggiungere che aveva diciannove
milioni di credito perchè' i titoli di stato erano per
il oltre il 90% nelle mani delle famiglie italiane.
Insomma era il debito che non cedeva alcuna sovranita'
alla finanza internazionale e che avrebbe richiesto
almeno dieci anni per ricondurlo entro limiti
accettabili .Purtroppo nel 1990 una scelta scellerata
di carlo azilio ciampi colloco' la lira nella banda
stretta di oscillazione del sistema monetario europeo
.
Quella decisione impose una politica monetaria di alti
tassi d'interesse che scarico' sul bilancio dello stato
20mila miliardi annui di maggior spesa , aumentando
cosi' il debito pubblico vertiginosamente e
portando dritto alla svalutazione del
settembre 1992 e alla fine del sistema monetario
europeo .Era la tesi del vincolo esterno che avrebbe
dovuto spingere il governo e parlamento a comportamenti
piu' virtuosi .In realta' era solo l'alibi per mettere
in ginocchio il paese e prepararlo alla stagione di
tangentopoli .
(geronimo-cirino pomicino 2008 cairo editore)
Si capisce che comunque non ha compreso il problema
dell'euro pero' come commento lo trovo significativo
perchè lo sme è un anticipazione dell'euro e gia'
allora evidentemtne c'era consapevelozza dell'errore...
altra citazione ...gia' barnard aveva citato
RispondiEliminatremonti ora tremonti ricambia...
18/03/2012 - Uscita di Sicurezza
Gentile Professore, ho letto con interesse il Suo volume e condivido la maggior parte delle tesi in esso contenute. Nel tentativo di approfondire diversi approcci alla critica dell'attuale sistema economico ed alla costruzione di reali alternative mi sono imbattuto nelle tesi della MMT (Modern Money Theory), recentemente diffusa in Italia dal giornalista Paolo Barnard nel suo saggio "Il più grande crimine" ed in un meeting organizzato a Rimini. Volevo sapere che pensa di queste teorie, se le ritiene valide o fallaci (e in quali punti). Per molti aspetti mi sembrano simili alle Sue proposte, per altri aspetti invece forse opposte in quanto basate sul concetto keynesiano di Deficit Spending (tenendo sotto controllo l'inflazione) che mi sembra in contrasto con la Sua idea di ridurre il debito pubblico. Potrebbe chiarire quest'ultimo punto? Grazie per la disponibilità e buon lavoro. (L. Siniscalco)
LA RISPOSTA
Caro Siniscalco: ho letto il volume da Lei citato. E’ un volume che contiene molte idee interessanti. Tanto cordialmente, Giulio Tremonti
ps:per me tremonti è un furbastro pero' se guardiamo a quello che hanno fatto draghi/prodi/ciampi ecc...sembra quasi ^bravo^
Sulla scaltrezza di Tremonti non ho dubbi...sta solo cavalcando l'onda per vendere un pò di copie del suo libro, ma non penso che farebbe mai una e dico una azione concreta per cambiare le cose...evocare la grande finanza come male assoluto è un pò come discolparsi e non assumersi le proprie responsabilità, perchè se la finanza ha conquistato tutto questo potere significa che gli stati e la politica sono stati compiacenti...sulla figura di Ciampi invece non ci sono tanti dubbi, è stato la vera anima nera (non tanto ombra, per la verità, ma ben visibile a tutti...) della macchinazione messa in atto per espropriare lo stato della sua sovranità monetaria, un progetto lungo ma concluso in modo preciso e impeccabile...la citazione di Pomicino va sicuramente ripresa e divulgata...e pensare che gli italiani consideravano Ciampi un simpatico nonnetto!!!
Eliminaquoto tutto quello che hai detto e concordo in pieno, confermo che la mia percezione ingenua e 'bambinesca' di allora di ciampi nonno buono , che in realta' fosse ^l'orco^ l'ho capito solo recentemente (E penso siamo ancora in pochi , il male ^vero^ è sempre nascosto)
Eliminanel libro di geronimo/pomicino da cui è tratta la citazione ci sono anche altre considerazione approfondimenti su draghi che non conoscevo...e sono note tremende...
simili alle cose raccontate da benito livigni (scoperto recetemente via goofyeconomics e youtube)
(comunque leggendo il libro viene nostalgia per l'italia anni'80 davvero...)
tremonti è troppo ambiguo...lui i dati e la realta' li conosce da moltissimi anni ...e
ora che ha la percezione che la rovina si avvicina si riposiziona in un certo senso ...
nell'attesa che il disastro sia compiuto per poi dire : io ve l'avevo detto...
Grazie 1000, Piero.
RispondiEliminaLeggerti è sempre un vitale arricchimento delle mie conoscenze.
Se posso, una domanda.
In merito alla necessità di ciascuno di noi di chiederci: "perché sono andati avanti lo stesso? Perché hanno nascosto all’opinione tutte le magagne? Chi ha voluto veramente la moneta unica? Quali erano le reali intenzioni dei padri fondatori dell’unione monetaria (Mitterand, Kohl, Prodi)? Possibile che nessuno si sia accorto che il progetto dell’eurozona non stava in piedi?"
Quali sono le "ipotetiche" risposte che tu ti sei dato quando ti sei posto tali interrogativi?
Saluti.
Filippo
Sinceramente penso che siamo il più grande esperimento mai poi provato prima nella storia...quello di privatizzare completamente la creazione e la gestione della moneta...mai nessuna nazione era arrivata fino a tanto, neppure gli ultraliberisti e capitalisti Stati Uniti e per questo ci guardano con tanto interesse e curiosità, perchè sono impazienti di vedere come va a finire ed eventualmente riprodurre lo stesso modello in suolo americano (non a caso anche negli Stati Uniti è iniziato un acceso dibattito sulla necessità di ridurre il deficit di bilancio e lo stesso Clinton ha preso quella strada facendo credere ai cittadini che il pareggio di bilancio fosse una grande virtù nazionale)...i cittadini dell'eurozona sono insomma cavie di laboratorio, perchè se accettano passivamente questo processo di impoverimento collettivo, il gioco è fatto e la società sarà divisa in due soli tronconi: chi ha i soldi e può averne in quantità illimitata e chi invece deve lavorare come uno schiavo per garantirsi una provvisoria sussistenza...tutti i politici (destra, sinistra, centro) stanno puntando su questa scommessa, perchè se viene vinta, come purtroppo è probabile che sia, per loro il compito sarà molto molto semplice... amministrare, tenere a bada le pecore, chiudere i bilanci in pareggio, mentre governare come sappiamo implica scelte molto più impegnative e soprattutto comporta una maggiore redistribuzione delle ricchezze e delle risorse...il loro discorso è molto semplice: le risorse sono scarse e quindi facciamo in modo di canalizzarle in una ristretta cerchia di persone, invece di averne poche per tutti quanti...perchè il discorso inverso, quello di trovare un modo più razionale e sostenibile di sfruttamento delle risorse a loro e ai loro finanziatori non conviene, è troppo complicato, è troppo equo...
EliminaIl discorso più semplice che spiega questo meccanismo è quello dei consumi energetici: i consumi e i costi di approvvigionamento dell'energia sono sempre più alti, tuttavia con un programma serio di efficienza energetica degli edifici si potrebbero dimezzare, ma a chi conviene? Non conviene a Putin per il gas, non conviene ai petrolieri, non conviene all'ENI, non conviene ai politici pagati dall'ENI, allora che si fa? Si continua a consumare, ma facciamo in modo che il maggior peso dei consumi e dei sacrifici ricada soltanto sulla massa, alzando le bollette...e via via di questo passo si cerca di far pagare alla massa tutti i maggiori costi derivanti da questo sistema accelerato e sfrenato di sfruttamento delle risorse...comprese quelle finanziarie...ci fanno credere e ci hanno sempre fatto credere che le risorse finanziarie sono scarse (pensa un pò, pigiare un tasto di un computer per loro è una risorsa scarsa), ma questo è solo un modo per riallocare queste risorse secondo quelli che sono i loro interessi e le loro intenzioni...ma il discorso è davvero molto lungo e complicato, e avremo modo di approfondirlo nei prossimi articoli...a presto!!! Piero
Non ho letto tutto pero credo che dietro la bce ci sia un disegno da parte dei potenti che e quello di metterci in riga come tanti burattini e loro lo fanno attrverso l euro facendoci vivere grazie al debito pubblico una vita di affanni e di privazioni salvando se stessi e la loro cerchia e come avere i popopli sotto controllo e decidere il loro destino e poi parliamoci chiaro i soldi sono carte non e oro e le bce stampa carta in pieno deserto vale piu un bicchier dacqua che 100mila euro e allora che vlore hanno le carte niente per questo hanno creato la crisi e la bce
RispondiEliminaStavo cercando di capire la teoria AVO e mi sono imbattuto nel tuo blog. Nel mio piccolo e con i miei limiti di conoscenza cerco di condividere analisi... tutto molto interessante; userò delle tue parti e citerò ovviamente il tuo blog
RispondiEliminaSaluti
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