Molti di voi avranno sicuramente
sentito parlare da qualche parte di una certa “mano invisibile”, che secondo la teoria classica dell’economia (quella settecentesca di Adam Smith e compagni per intenderci)
concede equilibrio al libero mercato,
favorisce la crescita e crea occupazione e ricchezza per tutti, lavoratori,
imprenditori, e stato. Una sorta di divina provvidenza che cala dal cielo per
portare la pace, la fratellanza e la prosperità per gli uomini della terra.
Questa concezione mistica dell’economia e della vita per qualche tempo ha messo
d’accordo un po’ tutti: i fanatici religiosi, gli atei, gli scettici, i ricchi,
i poveri e i poveracci, perché trattandosi appunto di un’entità astratta ognuno
poteva dare alla “mano invisibile” il
nome che voleva.
Tuttavia, da almeno 100 anni, da
quando alcuni pionieri del pensiero
libero hanno cominciato a sospettare che dietro la “mano invisibile” ci fosse qualcosa di “umano, troppo umano”, siamo tornati con i piedi sulla terra e
abbiamo varcato la soglia dell’epoca del relativismo storico, dove ognuno si
cerca le risposte che vuole e non crede più alle mistificazioni che risolvono
tutte le domande. Sarà forse per questo motivo che oggi quando si sente parlare
di “mano invisibile” veniamo assaliti
da un senso di frustrazione, sgomento e angoscia, perché grazie ai mezzi di
informazione di massa non solo possiamo vedere la mano che si diverte a
manovrare le sorti delle nostre vite ma anche la faccia e non è sicuramente un
bel vedere.
Sapere che oggi, in Europa, la “mano invisibile” tanto osannata in
passato appartiene alla faccia del governatore della BCE Mario Draghi, che in un ipotetico romanzo giallo somiglia tanto
alla figura losca e ambigua del maggiordomo, non è proprio una grande
consolazione. E se a questo aggiungiamo che i mandanti del maggiordomo
potrebbero essere i panzer tedeschi
seduti nel Bundestag o i banchieri e grandi capitalisti di Germania,
il finale del libro diventa ancora più agghiacciante. Per carità, con tutto il
rispetto per gli efficientissimi lavoratori tedeschi, il problema è che quando
i loro capi si mettono in testa di comandare qualcosa di importante esiste il
rischio concreto che combinino qualche danno
grave e irreparabile a tutto il resto dell’umanità.
Il governatore Mario Draghi infatti con manovre un po’ affannose e
disperate sta cercando di tenere in piedi l’Unione
Monetaria Europea, che di così eccezionale ha soltanto il fatto di non
essere mai stata ben regolamentata e soprattutto ben progettata. Non è un
mistero per molti eccellenti economisti nostrani o stranieri che l’introduzione
e la forzatura della moneta unica euro
in paesi che avevano strutture economiche, politiche, fiscali, culturali
profondamente diverse ha fatto saltare in aria quei delicati meccanismi di autoregolamentazione degli scambi e dei
flussi finanziari, che tutto sommato, bene o male, avevano funzionato per
circa quaranta anni (dalla fine della seconda guerra mondiale fino alla
sciagurata sottoscrizione dei Trattati
di Maastricht nel 1992). Ma il romanzo è troppo lungo, quindi come tutti i
lettori più curiosi, dobbiamo per forza saltare qualche capitolo e andare
subito alle ultime pagine per conoscere i fatti dell’attuale epilogo della
storia.
In un precedente articolo avevamo
visto, dati alla mano, che l’unica nazione a beneficiare davvero
dell’introduzione dell’euro è stata la Germania,
che in un regime drogato degli scambi è riuscita ad accumulare notevoli surplus
commerciali esportando i suoi prodotti nei paesi
PIIGS della periferia (Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda) e
importando molto poco i prodotti di queste nazioni, a causa dei livelli di inflazione e dei prezzi
costantemente più alti in questi paesi rispetto a quelli tedeschi.
In una situazione normale questi squilibri macroeconomici sarebbero
stati compensati dalle variazioni dei tassi
di cambio delle rispettive monete (lira, marco, peseta, franco, dracma,
sterlina), ma con la moneta unica tutto questo non è stato possibile e la
Germania ha continuato a vendere e a prestare soldi, mentre i paesi PIIGS
continuavano a comprare e a indebitarsi. Per avere un’idea immediata della
situazione descritta possiamo vedere il grafico sotto, dove si vede che i saldi delle partite correnti della
bilancia dei pagamenti (esportazioni meno importazioni di beni e servizi,
redditi da capitale soprattutto finanziario) hanno continuato ad aumentare in
Germania fino al 2008, mentre erano decrescenti o pressoché stabili in tutti
gli altri paesi dell’eurozona.
Sappiamo anche da altri dati e
dai saldi del sistema di compensazione
dei pagamenti delle banche europee TARGET2 che fino al 2008, prima della
scoppio della crisi finanziaria, questi squilibri commerciali venivano
bilanciati artificialmente dalle banche tedesche che investivano gran parte dei
loro surplus finanziari nelle banche
della periferia per dare a quest’ultime ossigeno e fornire liquidità necessaria
a continuare la loro attività creditizia senza troppi impacci. Le prospettive di crescita erano stabili e i
bassi interessi invogliavano gli imprenditori e i cittadini privati della
periferia ad indebitarsi. La mano invisibile in questo caso era quella dei
dirigenti delle potenti banche tedesche Deutsche
Bank e Commerzbank, che per
avere un ordine di grandezza avevano accumulato degli attivi pari a quello
del PIL tedesco di un intero anno (circa 3 trilioni di euro).
Dopo il 2008 il disco si è rotto
e le banche tedesche si sono lentamente ritirate, lasciando praticamente senza
liquidità le banche delle periferia, che però grazie al sistema TARGET2 hanno continuato a rifornirsi
presso le rispettive banche centrali
nazionali dell’Eurosistema, che mettevano a disposizione degli istituti
privati quantità illimitate di riserve bancarie tramite le operazioni periodiche di rifinanziamento interbancario. Questo
meccanismo contorto ha finito per spostare i crediti che prima erano posseduti
dalle maggiori banche private della Germania nel bilancio della banca centrale
tedesca Bundesbank, sotto forma di
crediti TARGET rivendicati nei confronti dell’intero Eurosistema (vedi grafico
sotto in cui si vede il progressivo incremento dei crediti TARGET della
Bundesbank insieme all’aumento dei debiti TARGET delle banche centrali della
periferia).
Questo tipo di crediti TARGET, per il modo particolare
con cui sono stati creati, sono però praticamente inesigibili perché il
maggiore garante dell’Eurozona è proprio la Germania e quindi tutto il sistema
si stava accartocciando su stesso. Da un lato le banche della periferia si ritrovavano nelle mani titoli disponibili sempre più deprezzati
da fornire come collaterali garantiti nelle operazioni di rifinanziamento con
le banche centrali, riuscendo a ricavare ad ogni passaggio sempre meno riserve di liquidità e dall’altro le
banche tedesche avevano cominciato a smobilitare grandi quantità di titoli di
stato e privati della periferia, accelerando il processo di deprezzamento.
Le banche della periferia, a
corto di riserve di liquidità, hanno avuto maggiori difficoltà a finanziare i
rispettivi paesi attraverso l’acquisto di titoli di stato e il famoso spread fra i titoli pubblici degli
stati PIIGS e i più solidi bund tedeschi
ha cominciato ad allargarsi inesorabilmente, perché per effetto di trascinamento e contagio, molti investitori
internazionali erano stati indotti a vendere gran parte delle loro scorte di
titoli europei.
A partire da giugno del 2011 è
stata la stessa BCE a cercare di
rimarginare la falla, comprando con una certa regolarità titoli di stato dei
PIIGS sul mercato secondario, ma
siccome questa operazione veniva fatta solo in via eccezionale (perché forma di
finanziamento diretto degli stati
non prevista dallo statuto della BCE) non ha ovviamente prodotto i frutti
sperati. In questo modo però anche la “patata
bollente” del debito pubblico della periferia stava lentamente cominciando
a trasferirsi dai bilanci delle banche private tedesche a Francoforte, fra le
attività della BCE e quindi in ultima istanza sempre alla Germania, che è il maggiore azionista della banca centrale
europea. Un vero corto circuito insomma, che ha toccato il suo culmine a
novembre scorso e se lasciato a se stesso avrebbe portato al crollo dell’euro
nel giro di pochi mesi.
Ma a quel punto a chi sarebbe servito il crollo dell’euro?
Sicuramente non alla Germania che fra crediti
TARGET, finanziamenti ai vari fondi
salva-stati EFSM-EFSF e quota di
partecipazione alla BCE aveva già raggiunto un’esposizione complessiva di
circa 600 miliardi di euro nei
confronti dei paesi PIIGS. Mentre tutto sommato, a parte le difficoltà iniziali
di svalutazione e rilancio dell’economia, avrebbero sofferto molto meno i paesi
della periferia, che ritornando alla propria moneta o introducendo un euro più
debole sarebbero finalmente stati in grado di scrollarsi di dosso la
competizione aggressiva della Germania con opportuni automatismi di aggiustamento dei tassi di cambio.
Ed è proprio in questo momento
che iniziano infatti le grandi manovre
politiche della Germania (ricordiamo le lunghe telefonate fra la cancelliera
Merkel e il presidente Napolitano), che impone due governi di banchieri (Monti
e Papademos) in Italia e Grecia e
appoggia l’elezione di un altro banchiere (Rajoy)
in Spagna (per banchiere si intende ovviamente uomo affine e compiacente al
mondo della grande finanza e al disegno autoritario tedesco dell’unione europea,
ma nella sostanza poco cambia). E le cose cominciano a sistemarsi per il verso
giusto. Almeno per i tedeschi, che insieme ai grandi investitori
internazionali, sono i maggiori
creditori dell’enorme ammasso di debito che circola in Europa.
Il primo ministro greco Papademos
stringe accordi per il salvataggio della
Grecia e il risarcimento dei creditori, Monti e Rajoy (in effetti aveva già
cominciato Zapatero) fanno l’unica cosa che potevano fare per andare in
soccorso alle banche senza compromettere troppo i bilanci pubblici: mettono la garanzia dello stato sulle prossime
emissioni di obbligazioni bancarie, per consegnare agli istituti di credito
i collaterali necessari per prelevare liquidità presso il mercato
interbancario, da utilizzare poi per l’acquisto di titoli di stato. Intontiti
dalle discussioni sulla riforma delle pensioni, molti italiani non si sono
accorti che l’unica norma veramente importante della prima rapidissima manovra
Monti (importante sempre per i soliti noti) era esattamente l’articolo 8,
relativo alle misure per la stabilità
del sistema creditizio:
“…il Ministro
dell'economia e delle finanze, fino al 30 giugno 2012, è autorizzato a
concedere la garanzia dello Stato sulle passività delle banche italiane, con
scadenza da tre mesi fino a cinque anni o, a partire dal 1 gennaio 2012, a
sette anni per le obbligazioni bancarie garantite e di emissione successiva alla data di
entrata in vigore del presente decreto.”
Questa norma è stata
giustificata, a livello istituzionale e dai giornali di regime, dalla prospettiva
di mettere in condizione le banche italiane di raccogliere liquidità sui
mercati dei capitali, per fare poi maggiori
prestiti a imprese e famiglie. Tuttavia se avete seguito bene i discorsi
fin qui, abbiamo parlato soltanto di flussi
finanziari di riserve bancarie, che con il credito all’economia reale
c’entrano poco o nulla: come abbiamo già visto in un precedente articolo, le
riserve infatti circolano nel circuito interbancario e non nel sistema
produttivo reale, dove viene movimentata soltanto moneta creditizia di seconda
scelta creata dal nulla dalle banche commerciali. In linea di principio le
banche non fanno più prestiti non tanto perché si trovano a secco di riserve
operative (queste in ultima istanza vengono sempre fornite dalla banca centrale),
ma perché non ci sono più le condizioni
di crescita economica che rendono i prestiti rimborsabili e per ragioni di requisiti patrimoniali (Basilea II), le
banche non possono permettersi di esporsi mettendo a bilancio attività
rischiose con scarso merito creditizio.
A questo punto i politici
fantoccio hanno fatto per intero il loro dovere (quello che Mario Monti
chiamava il “compito a casa”) ed
entra in gioco la mano invisibile del
governatore della BCE Mario Draghi, che su pressione della Bundesbank (ricordiamo che la BCE non
si muove mai senza il consenso della banca centrale tedesca, perché in
definitiva sono la stessa cosa e non a caso le due sedi si trovano a poche
centinaia di metri di distanza a Francoforte) decide di fare la mossa
azzardata: creare un po’ di denaro
fresco dal nulla da dare in pasto alle banche della periferia, per
consentire all’intero sistema bancario europeo di reggersi ancora in piedi e
alle banche dei PIIGS di reperire riserve per acquistare titoli di stato e
titoli bancari in scadenza (circa 1700 miliardi di euro complessivi di titoli
di stato nel solo 2012, più una buona fetta, circa 650 miliardi di euro, di
obbligazioni bancarie da rifinanziare, soprattutto nel primo quadrimestre,
guarda grafico sotto).
Il 21 dicembre del 2011, la BCE
riesce a piazzare in asta 489 miliardi di euro con la prima operazione di rifinanziamento a lungo
termine LTRO (Long Term Refinancing
Operation)
mai effettuata in precedenza dalla banca centrale di
Francoforte, con prestiti di tre anni all’1%: partecipano all’asta 523 banche
europee e nello specifico gli istituti di credito italiani prelevano in totale
116 miliardi di euro, una cifra però ancora insufficiente per soddisfare le
loro esigenze di liquidità (ricordiamo che in Italia andranno in scadenza nel 2012
circa 300 miliardi di euro di titoli di stato e 200 miliardi di euro di
obbligazioni bancarie). In realtà non si tratta di vera e propria moneta fresca
ad alto potenziale emessa dalla banca centrale, perché dei 489 miliardi
soltanto 200 miliardi circa sono nuove iniezioni di liquidità per il mercato
interbancario, mentre la restante parte sono rifinanziamenti e rinnovi di
debiti già esistenti fra la BCE e le banche coinvolte. Ma la boccata d’ossigeno
è comunque importante.
Per venire incontro ai declassamenti dei rating subiti in
rapida successione dai titoli pubblici e privati europei, la BCE accetta come
collaterale a garanzia dei prestiti titoli obbligazionari più scadenti (il
rating è stato ridotto da tripla AAA a singola A) e sempre per far fronte alle
notevoli richieste di liquidità per la prima volta vengono ammessi agli scambi
anche i titoli cartolarizzati creati dalle banche riferiti ai prestiti concessi
in passato alle imprese (quelli con rating migliore e probabilità di default
inferiore all’1%).
Non solo. In concomitanza con
l’annuncio dell’operazione LTRO, le banche sono state autorizzare a compiere
azioni altamente rischiose e irregolari come quelle di sottoscrivere da sole e quotare rapidamente in borsa le proprie
obbligazioni emesse per l’occasione: in pratica le banche hanno utilizzato
come collaterale per i prestiti della
BCE dei titoli che non avevano ancora fra gli attivi di bilancio, ma hanno
inventato dal nulla come nuovi attivi in realtà inesistenti (una sorta di autocertificazione della propria
capacità di rimborsare i prestiti ricevuti). Questa operazione alla lunga
potrebbe rilevarsi un modo molto pericoloso e artificioso di gonfiare gli
attivi di bilancio senza avere le necessarie coperture, che a causa della già
discussa garanzia apposta per decreto dallo stato sui titoli obbligazionari
bancari andrebbe poi a ricadere sulle spalle
dei soliti cittadini contribuenti.
In ogni caso, da questo momento
in poi la BCE si ritira praticamente dall’acquisto di titoli degli stati PIIGS
sul mercato secondario (una media che ricordiamo da luglio 2011 si era
stabilizzata intorno ai 6-9 miliardi di titoli a settimana per un totale a
dicembre di 220 miliardi di titoli di stato acquistati) e in un infinito gioco
di rimbalzo, ripassa l’intera “patata
bollente” del debito pubblico e privato dell’eurozona (il cosiddetto rischio sistemico) di nuovo alle banche
commerciali della periferia, che avranno ora il compito di sostenere da sole le
rispettive nazioni, acquistando titoli di stato sia sul mercato secondario che
alle aste primarie di collocamento e facendo così scendere progressivamente gli
spread a livelli più ragionevoli.
La mossa difensiva della BCE per
svincolarsi dallo stritolamento ferale dei debiti pubblici degli stati PIIGS è
(pro domo sua) geniale e ridà fiato
alla Germania, il cui unico obiettivo è quello di ripristinare la normalità assurda della situazione
precedente: i tedeschi producono, vendono, accumulano surplus commerciali e
crediti e gli altri paesi dell’eurozona comprano, si indebitano e sono
costretti a privatizzare e liberalizzare gran parte delle loro risorse
produttive, naturali e umane, contratti di lavoro compresi, consentendo infine
ai grandi capitali della Germania e internazionali di investire a
condizioni molto più favorevoli direttamente negli stati ora più impoveriti e
indebitati.
Questo fenomeno può essere
indicato con il termine di “argentinizzazione”
dell’economia, perché è lo stesso schema utilizzato dalla Banca Mondiale e dal Fondo
Monetario Internazionale FMI per sfruttare le risorse dei paesi del terzo
mondo o delle nazioni emergenti in via di sviluppo e senza andare troppo
lontano era già tutto spiegato nella famosa “lettera segreta” che i governatori della BCE Trichet e Draghi (non
uno ma addirittura due maggiordomi!) avevano inviato il 5 agosto scorso
all’allora governo italiano di
Berlusconi e Tremonti (alla faccia di quelli che ancora sostengono l’autonomia
e l’indipendenza della banca centrale dalle scelte politiche degli stati).
Non si può spiegare altrimenti
l’accanimento del primo ministro fantoccio Monti nel sostenere la linea dura
per l’eliminazione parziale o totale
dell’articolo 18 dal contratto nazionale dei lavoratori, perché in effetti
prima d’ora nessuna azienda italiana aveva mai sollevato questioni particolari
o considerato davvero limitativa questa norma, dato che consente già il
licenziamento per motivi di grave crisi economica e offre al lavoratore
soltanto la sponda del ricorso legale per richiedere il reintegro sul posto di
lavoro. Proprio quello che, guarda caso, vogliono invece evitare le aziende
straniere intenzionate ad investire in Italia: le cause legali, la burocrazia,
gli ingranaggi macchinosi e lenti del kafkiano apparato amministrativo
italiano.
Con l’operazione LTRO, la BCE e
quindi la Germania sono riuscite insomma a limitare al massimo il rischio,
perché rispetto all’acquisto diretto sul mercato secondario la formula del prestito consente in teoria
alla banca centrale di recuperare le riserve di liquidità e riconsegnare alle
banche delle periferia i titoli presi in garanzia alla scadenza dei tre anni
(che a quel punto potrebbero essere diventati pura carta straccia). Rispetto
alle operazioni di quantitative easing
(alleggerimento quantitativo) effettuate in contemporanea dalla Federal Reserve
o dalla Bank of England, la BCE non “compra”
a titolo definitivo ma “presta”: la
differenza fra il QE delle normali
banche centrali dei paesi a sovranità
monetaria e il LTRO della BCE
sta tutta nell’immenso spazio che divide questi due termini, comprare e
prestare.
La BCE, ovvero la Bundesbank, non
ha alcuna intenzione di rimanere incastrata per sempre nelle sorti dei paesi di
cui in teoria dovrebbe essere la banca centrale (in teoria, perché in pratica, a causa della rinuncia alla
sovranità monetaria stabilita nel 1992 dai Trattati di Maastricht, la BCE si
comporta nei confronti degli stati che adottano l’euro al pari di una normale banca privata straniera, né più
né meno) e rimane in superficie, in una posizione
attendista di puro galleggiamento: se nei prossimi tre anni la situazione
si evolverà positivamente e l’euro non crollerà, la BCE recupera i suoi prestiti,
se invece tutto andrà in frantumi, l’euro verrà spazzato via e la BCE sparirà, allora
i suoi vecchi azionisti, fra cui la stessa Bundesbank, pretenderanno dalle
banche private europee il pagamento dei debiti contratti, in un rapporto
diretto, vis-à-vis, che esclude e
limita l’intervento degli stati nazionali. Fuori da qualsiasi logica di risoluzione strutturale e
definitiva dei problemi, la soluzione trovata dalla BCE è quindi soltanto temporanea e ha lo stesso effetto
placebo di un calmante che viene gettato alla rinfusa per placare le nevrosi
isteriche del comparto bancario europeo.
Ma ancora non basta. Considerando
l’enorme quantità di debito in scadenza nel 2012, la BCE deve dare un’altra
bella dose di valium alle banche europee: il 29 febbraio scorso, con
l’operazione LTRO II, la BCE piazza
in asta altri 529,5 miliardi di euro di riserve bancarie (di cui 311 sono
netti, mentre la parte restante serve a rifinanziare i soliti debiti in
scadenza), sempre con prestiti a tre anni con interesse dell’1%. Questa volta
il numero delle banche europee partecipanti è superiore, perché ben 800 istituti di credito si presentano
alla corte della BCE per ritirare un po’ di vera moneta ad alto potenziale, quella per intenderci che serve per
acquistare titoli e azioni in borsa (mentre, ripetiamo per chiarezza, questa
tipologia di moneta ha un effetto molto limitato e solamente indiretto per
facilitare i crediti all’economia reale).
La liquidità fornita dal LTRO II
questa volta è molto più diluita, perché dato l’elevato numero di banche
richiedenti i prestiti, il ritiro medio per banca è passato da 935,4 milioni di
euro a 661 milioni di euro, cosa che potrebbe ridurre in parte le capacità di
investimento di ogni singola banca. Ma
come mai si è avuta questa impennata di banche richiedenti?
Esaminando i dati, notiamo subito
che rispetto al LTRO I dove le banche
più attive erano state quelle spagnole
e italiane (Unicredit aveva stabilito il record di 38 miliardi di prestiti di
liquidità), nel LTRO II le banche
tedesche si sono fatte sotto. Anche se le banche italiane (139 miliardi, di
cui 24 miliardi della sola Banca Intesa
Sanpaolo) e spagnole (120 miliardi di euro, di cui 25 miliardi della banca
commerciale Bankia) hanno mantenuto
ancora le posizioni di vertice della speciale classifica delle banche più
assetate, questa volta anche le banche tedesche hanno fatto scorte di riserve
per 100 miliardi di euro, in via del tutto precauzionale, dato che al momento
sono quelle che tendenzialmente hanno meno problemi di liquidità e maggiori questioni
legate casomai alla solvibilità generale dei loro bilanci.
Il motivo di cambio di strategia delle banche tedesche potrebbe essere molto
semplice: se le condizioni economiche nei prossimi anni dovessero peggiorare e
la Germania non sarà più in grado di produrre i suoi costanti surplus
commerciali a causa di un progressivo calo della domanda dai maggiori
importatori dell’eurozona (i paesi PIIGS sempre più in crisi), le banche
tedesche avranno bisogno di attingere ad un tesoretto di riserve perché le entrate dal settore imprenditoriale
saranno minori. Non a caso le banche tedesche sono state quelle più incentivate
a lasciare bloccate le riserve nei depositi
della BCE, che proprio in questi giorni sono cresciuti fino alla cifra
record di 777 miliardi di euro
(guarda grafico sotto, dove in seguito alle due operazioni LTRO i depositi in
BCE hanno mantenuto un costante aumento, smentendo ancora una volta, qualora ce
ne fosse bisogno, coloro che pensavano ingenuamente che questi fondi sarebbero
stati riversati nell’economia reale).
In conclusione, possiamo dire che
la mano invisibile del maggiordomo Draghi, su sollecitazione del mandante
tedesco, ha commesso soltanto un altro piccolo (o grande, dipende dai punti di
vista e dallo stato di insofferenza nei confronti della dittatura tecnocratica
europea) delitto nei confronti del popolo e dei lavoratori europei, facendo un
esplicito favore esclusivamente al comparto finanziario che era in evidente
stato di sofferenza e aggravando ancora di più le possibilità di ripresa dell’economia
reale e produttiva dei paesi PIIGS. Volendo Sintetizzare le maggiori criticità che ancora insistono
nell’eurozona a causa della singolare politica monetaria della BCE, potremmo
riassumerle come segue:
1)
Le operazioni di rifinanziamento LTRO hanno fornito
riserve di liquidità alle banche
europee, che con queste potranno soltanto tamponare temporaneamente l’emergenza
dei titoli in scadenza e ricreare una pericolosa
situazione di illusoria e apparente stabilità economica, dato che il LTRO risponde soltanto alle esigenze immediate
di liquidità ma non a quelle di solvibilità strutturale delle banche (qualità
degli attivi, utilizzo esagerato della leva finanziaria)
2)
Gli squilibri
macroeconomici che sono stati all’origine della crisi finanziaria europea
permangono ancora intatti e l’apparente situazione di stabilità, dovuta
all’abbassamento degli spread sui debiti pubblici dei paesi periferici ai livelli
pre-crisi, potrebbe incentivare di nuovo quei flussi finanziari dal nord al sud
Europa con conseguente aumento del divario fra le nazioni creditrici (Germania,
Olanda, Finlandia) e quelle debitrici (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia,
Irlanda)
3) Con le operazioni LTRO viene nuovamente e
artificialmente coperto il principale problema finanziario dell’eurozona che è l’indebitamento privato senza limiti e
non il debito pubblico
4)
La politica
di centralizzazione della BCE di finanziamento delle banche commerciali,
potrebbe indurre queste ultime a dipendere eccessivamente dalla banca centrale
e ad allontanare le banche dal loro originario ruolo di raccolta del risparmio
privato attraverso operazioni irregolari e rischiose come quella di sottoscrivere
e quotare autonomamente i propri titoli obbligazionari
5)
Il
LTRO della BCE, così come il QE della Federal Reserve o della Bank of England,
non immette in effetti nuova liquidità nei mercati, ma cambia soltanto il grado di liquidità del mercato
interbancario e la struttura di
aggregati monetari già esistenti (vengono tolti titoli poco liquidi dagli
attivi delle banche e vengono ampliate le riserve bancarie, ma il valore
complessivo dell’aggregato monetario maggiore M3 presente sul mercato non
cambia): sappiamo già infatti che l’unica operazione capace di creare veramente
nuova liquidità dal nulla è la monetizzazione
dei deficit pubblici (cosa che la BCE non può fare per statuto, ma Fed e
BoE sì, perché a differenza dell’eurozona, Stati Uniti e Gran Bretagna sono nazioni
sovrane)
6)
Sia
nelle singole manovre nazionali che forniscono garanzie di stato alle obbligazioni
bancarie che nei prestiti LTRO della BCE, non sono richieste alle banche particolari disposizioni sull’utilizzo dei
fondi raccolti, che potranno così essere convogliati esclusivamente verso
attività speculative finanziarie senza creare le premesse di un maggiore
sostegno creditizio alle aziende e all’economia reale
7)
La
maggior convenienza ad investire in titoli con operazioni come il carry trade sui prestiti della BCE
(prendo all’1% e investo al 4%-5%), ha reso ancora più stringenti le condizioni di credito nei confronti di famiglie e
imprese (solo in Italia i prestiti alle aziende si sono ridotti di 20
miliardi nel mese di dicembre, mentre nello stesso periodo gli investimenti in
titoli sono aumentati di 50 miliardi)
8)
Questa ulteriore stretta creditizia potrebbe sistematicamente favorire i finanziamenti
bancari verso le grandi società
multinazionali con elevati rating a danno delle piccole e medie aziende, che potranno al massimo ricevere prestiti
per finanziare il capitale circolante di rotazione ma non i nuovi investimenti:
escluse da questo contesto risulterebbero pure le nuove imprese di recente fondazione che non hanno ancora alcun
rating pregresso e quindi vengono valutate dalle banche con un merito
creditizio altamente incerto e rischioso (aggravato peraltro dalle pessime
aspettative di crescita economica per i prossimi due anni)
9)
Anche
ammettendo che nei prossimi tre anni tutto dovesse cominciare a girare nel
verso giusto per la tecnocrazia europea (privatizzazioni, liberalizzazioni, svalutazione
interna dei salari, deflazione), siamo sicuri che a scadenza dei prestiti LTRO
la BCE riuscirà a drenare l’enorme massa
di liquidità immessa nei mercati finanziari? Oppure questa continuerà a
girare nel circuito interbancario fino a ricreare le premesse di una nuova bolla speculativa?
10) Ultima osservazione: ma se le banche europee hanno sempre
bisogno della garanzia dello stato per riuscire a piazzare sul mercato le
proprie obbligazioni e raccogliere liquidità, intrecciando così in modo
indissolubile il loro destino a quello degli stati a cui appartengono, non ha
forse molto più senso nazionalizzarle direttamente,
almeno in parte, come accade fra l’altro nella morigeratissima e moderna (sempre
a modo suo) Germania?
Complimenti per l'ottimo articolo: chiaro, esauriente, professionale, puntuale e dettagliato, in breve non fà una piega!
RispondiEliminaUna curiosità, ma che mestiere fa?
Grazie 1000
Filippo
Ciao Filippo,
Eliminaintanto grazie per i complimenti perchè mi fanno capire che il mio impegno di rendere comprensibili argomenti che in apparenza potrebbero sembrare complicati è ben ripagato...per quanto riguarda il mestiere, sai che è una bella domanda? Ho lavorato come ingegnere presso aziende metalmeccaniche, finanziarie e nel settore delle energie rinnovabili e ora mi limito alla consulenza sempre nel campo delle energie rinnovabili...avendo molto più tempo libero posso dedicarmi alla mia passione per la scrittura e all'analisi dei sistemi complessi, fra cui soprattutto quello monetario...diciamo pure che sono un esempio vivente della flessibilità!!! A proposito dammi pure del tu perchè non sono ancora così vecchio...a presto! Piero
Ciao Piero,
RispondiEliminagrazie per la tua cortese e personale risposta, continuerò a dissetarmi dalla fonte del tuo sapere ed a divulgare il tuo lavoro.
A presto.
Filippo
Ciao Piero,
RispondiEliminaarticolo impeccabile!
Ma che c'entra la mano invisibile se persino un cieco la vede?
P.S. Non c'entra niente con l'articolo e non vorrei sporcare il blog con cose che nulla c'entrano. Volevo chiedere: posso approfittare (in senso buono s'intende) per un consiglio della tua competenza nel settore delle rinnovabili?
In effetti...sta mano di Draghi tanto invisibile non è, però per adesso è l'unica vera "mano invisibile" che riesce a stravolgere le condizioni del mercato europeo (altro che riforme di Monti, l'abbassamento dello spread è dovuto soltanto all'effetto LTRO e a nient'altro...)...
EliminaCarlo, sono a tua completa disposizione per eventuali info sulle rinnovabili...scrivimi pure su questa e-mail piero.valerio@gmail.com (se stai valutando l'idea di fare un impianto, segnalami l'indirizzo dell'abitazione, così verifico quali sono le potenzialità di esposizione solare)... a presto! Piero
Caro Piero, sui debiti Target stendiamo un velo pietoso, sono proprio al di là delle mie papille intellettive...quasi peggio dei # e dei b; riguardo alla manona di Draghi ..lui sì che è spierto! sigh. Vorrei capire un pò meglio la questione dei litri (bagnai docet) anzi ettolitri che la suddetta manona ha elargito. Ho capito che le banche possono usare questo denaro praticamente per pagarsi i debiti tra di loro, per acquistare titoli di stato e azioni e che a noi non arriva niente. Ma vorrei capire,questo shopping lo fanno come loro investimento o per conto dei clienti? E quando scade una nostra obbligazione ci danno qualche centilitro oppure usano la normale moneta commerciale? Mi raccomando dammi una risposta ad usum cristinae...Ciao e a presto
RispondiEliminaCristina, cercherò di fare del mio meglio!
EliminaLe banche useranno i litri solo per conto loro e lo stanno già facendo...per noi i litri non sono previsti...quando tu acquisti una obbligazione bancaria non te la porti a casa, ma rimane nel portafoglio della banca, nel passivo di bilancio...la banca usa quella obbligazione per fare un pò di profitti giocando in borsa, con operazioni di vendita e riacquisto rapido (short selling)...quando scade l'obbligazione, la banca fa una semplice operazione contabile eliminando i soldi dall'obbligazione e incrementando il tuo conto corrente della stessa cifra (moneta fasulla di banca commerciale)...la banca è costretta a sborsare litri e quindi riserve solamente quando tu spendi i soldi del tuo conto corrente altrimenti li usa come meglio crede...quindi prendi la carta di credito e vai a fare spese pazze così metti in crisi la banca, oppure vai al bancomat e ritira un sacco di contanti (la cosa che le banche odiano di più, manovra Monti docet!)...saluti! Piero
Lo sto gia' facendo da un pezzo! Quale miglior motivazione per spendere e spandere.....
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